"Quando torni io non ci sarò già più." Sono le ultime parole di S. a Matteo, pronunciate al telefono in un giorno d'autunno del 1998. Sembra una comunicazione di servizio, invece è un addio. S. sta finendo di portare via le sue cose dall'appartamento di Matteo dopo la fine della loro storia d'amore. Quel giorno Matteo torna a casa, la casa in cui hanno vissuto insieme per sette anni, e scopre che S. si è tolto la vita. Mentre chiama inutilmente aiuto, capisce che sta vivendo gli istanti più dolorosi della sua intera esistenza. Da quegli istanti sono passati quasi venticinque anni, durante i quali Matteo B. Bianchi non ha mai smesso di plasmare nella sua testa queste pagine di lancinante bellezza. Nei mesi che seguono la morte di S., Matteo scopre che quelli come lui, parenti o compagni di suicidi, vengono definiti sopravvissuti. Ed è così che si sente: protagonista di un evento raro, di un dolore perversamente speciale. Rabbia, rimpianto, senso di colpa, smarrimento: il suo dolore è un labirinto, una ricerca continua di risposte - perché l'ha fatto? -, di un ordine, o anche solo di un'ora di tregua. Per placarsi tenta di tutto: incontra psichiatri, pranoterapeuti, persino una sensitiva. E intanto, come fa da quando è bambino, cerca conforto nei libri e nella musica. Ma non c'è niente che parli di lui, nessuno che possa comprenderlo. Lentamente, inizia a ripercorrere la sua storia con S. - un amore nato quasi per sfida, tra due uomini diversi in tutto -, a fermare sulla pagina ricordi e sentimenti, senza pudore. Ecco perché oggi pubblica questo libro, perché allora avrebbe avuto bisogno di leggere un libro così, sulla vita di chi resta. Ma c'è anche un altro motivo: "In me convivono due anime" scrive, "la persona e lo scrittore". La persona vuole salvarsi, lo scrittore vuole guardare dentro l'abisso. Per vent'anni lo scrittore che c'è in Matteo ha cercato la giusta distanza per raccontare quell'abisso. E quando si è trovato nel punto di equilibrio, da lì, da quella posizione miracolosa, ha scritto queste parole, che, seppur lucidissime, sgorgano con la forza e la naturalezza dell'urgenza. Ciò che stiamo consegnando nelle mani di chi legge è un dono, sì, ma un dono di straordinaria gravità. Eppure, ognuna di queste pagine contiene un germe di futuro, la testimonianza di come, persino nelle pieghe di un dolore indicibile, la scrittura possa ancora salvare.
Può un maiale fare amicizia con un ragno? Certo che si, quando il maiale è un cucciolo come Wilbur e il ragno si chiama Carlotta. Il primo, vivacissimo e curioso, è stato adottato dalla piccola Fern, la figlia del fattore, la seconda, saggia e affettuosa, ha un grande talento artistico per la tessitura delle tele. Sarà proprio Carlotta a escogitare un fantasioso piano per salvare la vita dell'amico. E alla fine anche Fern avrà capito molte cose: per esempio che gli animali sono più vicini di noi al senso della vita... Età di lettura: da 9 anni.
Può un maiale fare amicizia con un ragno? Certo che si, quando il maiale è un cucciolo come Wilbur e il ragno si chiama Carlotta. Il primo, vivacissimo e curioso, è stato adottato dalla piccola Fern, la figlia del fattore, la seconda, saggia e affettuosa, ha un grande talento artistico per la tessitura delle tele. Sarà proprio Carlotta a escogitare un fantasioso piano per salvare la vita dell'amico. E alla fine anche Fern avrà capito molte cose: per esempio che gli animali sono più vicini di noi al senso della vita... Età di lettura: da 9 anni.
Jill Bolte Taylor ha trentasette anni, una laurea ad Harvard e un lavoro come neuroscienziata e ricercatrice universitaria quando, una mattina, un capillare esplode improvvisamente nell'emisfero sinistro del suo cervello provocandole un danno cerebrale esteso e devastante. Il suo percorso verso la completa guarigione è durato otto lunghissimi anni, nel corso dei quali ha potuto sperimentare la duplice veste di medico e paziente. E da questo insolito doppio ruolo ha ricavato spunti, consigli e suggerimenti terapeutici utili a chiunque sia rimasto vittima di un ictus o di un trauma cerebrale e a coloro che li curano e li circondano. Ma "La scoperta del giardino della mente" non è soltanto la cronaca dettagliata e diretta di una straordinaria ripresa fisica, è soprattutto la testimonianza di un'esperienza umana unica. Jill, infatti, non è più stata la stessa di prima: l'ictus, mettendo temporaneamente fuori gioco il preponderante e razionale emisfero sinistro, ha dato spazio alla creatività e alle sensazioni, emozioni e intuizioni proprie dell'emisfero destro; e oggi, pur continuando a occuparsi di ricerca, la neuroscienziata scrive, canta e realizza sculture in vetro colorato, felice di vivere e forte di una nuova pace interiore.
"Posa", "finzione", "provocazione", "teatro": ecco i termini associati per decenni al nome di Gabriele D'Annunzio. Con queste parole siamo stati abituati a descriverlo, così ci è sempre stato insegnato. Ma la suggestione della sua poesia, le imprese ardite e la retorica detta appunto "dannunziana" non sono sufficienti a svelare il segreto di una vita "inimitabile". Giordano Bruno Guerri ci conduce lontano da stereotipi, accompagnandoci nelle stanze folli e geniali della dimora dannunziana. Pagina dopo pagina, sfogliando il "libro di pietre vive" che il Vate ci ha lasciato, riscopriamo un uomo che fu seduttore e amante irresistibile, avvinto dal "bisogno imperioso della vita violenta, della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell'allegrezza". Grazie al diario (in gran parte inedito) di Amelie Mazoyer, ancella in servizio continuo che il Vate ribattezza Aélis, conosceremo Gabriele D'Annunzio uomo "intero". Geisha, complice e confidente, Aélis si contende il ruolo di preferita con l'elegante musicista Luisa Baccarà e con la cameriera Emilia. Aélis annota per lunghi anni tutto ciò che accade nelle stanze del Vittoriale, registrando ascese e cadute delle "badesse di passaggio": nobildonne, artiste, prostitute, semplici paesane o avventuriere; e un contorno di personaggi non secondari. Su tutto ciò, naturalmente lui, la sua grandezza di poeta e la sua strepitosa vitalità, fatta di genio e di cocaina, invenzione e di ironia: il suo essere un libertario e anarchico, modernizzatore e anticipatore.
Nella storia del brigantaggio e della durissima repressione scatenata dall'esercito sabaudo per il controllo del Sud, finora è stato dedicato poco spazio alle brigantesse, vittime senza diritto di replica della propaganda risorgimentale. Ridotte, nella memoria collettiva, alla stregua di sbandate immorali e sanguinarie, in realtà moltissime imbracciarono il fucile per passione, rifugiandosi nei boschi e condividendo la vita delle bande. Erano spinte, ci racconta Giordano Bruno Guerri, più che da una volontà politica, dalla forza di un istinto profondo, dettato da leggi ataviche e naturali: "Una donna meridionale dell'Ottocento diventa una combattente pronta a tutto se le si impedisce di vivere, amare, accudire; se le si nega la possibilità di essere donna come erano state la madre e la nonna prima di lei, come le avevano insegnato; se le si toccano i figli, il proprio uomo". La storia di Maria Capitanio, figlia di un ricco proprietario terriero, che appena quindicenne si innamorò del brigante Antonio Luongo e si unì alla sua banda. Processata e assolta, preferì suicidarsi piuttosto che continuare a vivere senza il suo uomo. E quella di Filomena Pennacchio, la più celebre delle brigantesse. In seguito all'uccisione del brigante Schiavone, padre del figlio che portava nel grembo, decise di collaborare con il nemico. La sua straordinaria vicenda, dopo essere rimasta a lungo confinata nel mito, è finalmente ricostruita con rigore storico in queste pagine...
In questo libro, ricco di un'avvincente documentazione, Giordano Bruno Guerri rilegge la vicenda del Risorgimento e del brigantaggio come una "antistoria d'Italia": per liberare i fatti dai troppi luoghi comuni della storiografia postrisorgimentale (come la pretesa arretratezza e miseria del Regno delle Due Sicilie al momento della caduta) e per evidenziare invece le conseguenze, purtroppo ancora attualissime, della scelta di affrontare la "questione meridionale" quasi esclusivamente in termini di annessione, tassazione, leva obbligatoria e repressione militare. Il Sud è stato trattato come una colonia da educare e sfruttare, senza mai cercare davvero di capire chi fosse l'"altro" italiano e senza dargli ciò che gli occorreva: lavoro, terre, infrastrutture, una borghesia imprenditoriale, un'economia moderna. Così, le incomprensioni fra le due Italie si sono perpetuate fino ai nostri giorni. Alcuni briganti spiccano per doti - umane e di comando - non comuni, come Carmine Crocco, che per tre anni tenne in scacco l'esercito italiano; e così le brigantesse, donne disposte a tutto per amore e ribellione; altri rientrano più facilmente nel cliché del bandito o dell'avventuriero, ma tutti contribuiscono a dare volti e nomi a una triste e sanguinaria pagina della nostra storia, che si voleva cancellare. "Non si tratta di denigrare il Risorgimento, bensì di metterlo in una luce obiettiva, per recuperarlo - vero e intero - nella coscienza degli italiani di oggi e di domani".
Dopo il Rinascimento, la creazione culturale italiana più originale e importante è stata il futurismo: avanguardia di tutte le avanguardie del Novecento, ha cambiato per sempre il modo di intendere l'arte e il rapporto arte-società. Da non molto la critica ha cominciato a riconoscere la forza dirompente di questo movimento che nel 2009, centenario del Manifesto, avrà la sua apoteosi, in un diluvio di mostre, studi e celebrazioni. Eppure si continua a trascurare la figura e l'opera del geniale inventore del futurismo. Filippo Tommaso Marinetti ebbe una vita affascinante di artista e rivoluzionario. Nato nel 1876 a Alessandria d'Egitto, fu poeta, editore, romanziere, saggista, oltre che uno straordinario provocatore, dissacratore e motore di cultura, in ogni ambito. La sua capacità di scoprire e suscitare talenti non ha pari. Per sostenere il futurismo, disperse il patrimonio di famiglia, ma una sua caratteristica peculiare fu essere un uomo felice, cui non venne mai meno l'entusiasmo. Seduttore dalle mille avventure, ebbe un lungo e appassionato matrimonio con Benedetta, pittrice e scrittrice futurista. Fra i tanti luoghi comuni che questo libro smentisce c'è quello del "disprezzo della donna", che in realtà Marinetti voleva emancipare fino a metterla alla pari dell'uomo. In politica fu sostanzialmente un anarchico: anche nello stesso pensiero anarchico, perché considerava la Patria più importante della libertà.
"Amante guerriero" nella seduzione come in letteratura e in politica, Gabriele d'Annunzio fu un uomo che seppe imporre i propri sogni. Discendente di tanti avventurieri italiani, da Casanova a Cagliostro, rivoluzionò la figura dell'intellettuale facendo della sua vita un'opera d'arte e influenzando più generazioni nel gusto e nella visione del mondo. L'Italia del secondo dopoguerra ha cercato in tutti i modi di sbarazzarsi di lui, alternando l'indifferenza alla condanna; e allora riscoprire d'Annunzio significa rivisitare la cultura di un'Italia appena nata, con i suoi fermenti, le sue aspirazioni, le sue contraddizioni, un'Italia di cui fu un campione smisurato. In questo saggio dai ritmi narrativi, Giordano Bruno Guerri svela un personaggio restituito al suo pensiero e alla sua arte, oltre che al suo tempo. Racconta nel dettaglio anche l'amante instancabile, rendendo omaggio a quelle donne, ispiratrici e compagne più o meno folli e coraggiose, che lo amarono sacrificandogli tutto, alle quali la letteratura italiana resta debitrice.
Un resoconto a tinte fosche dei vari aspetti, diplomatici e politici, delle guerre del Vietnam - contro Francia prima e USA poi - e delle loro conseguenze. Per la prima volta si dà eguale peso agli Americani e ai Vietnamiti, sconfessando l'idea che tutte le azioni compiute dai "buoni" americani contro i "cattivi" comunisti siano state lecite, concezione ribadita in molti interventi degli USA in politica estera (dal Libano a Panama). L'autrice analizza in queste pagine il più noto conflitto del Vietnam, i suoi molto sanguinosi precedenti e le pesanti conseguenze da un'ottica totalmente nuova per la storiografia americana, fornendo inoltre una buona mole di dati storici, molti dei quali inediti, sui conflitti stessi.
Il Meridiano offre al lettore tutte le poesie di Yeats, dalla prima produzione, che include liriche suggestive e di grande incanto, spesso legate a temi e leggende irlandesi, a prove più mature che rivelano una capacità visionaria nutrita, oltre che dal grande esempio di Blake, dagli studi occultistici, per arrivare alle ultime raccolte della fine degli anni Trenta. William Butler Yeats (1865-1939), premio Nobel nel 1923, oltre che poeta, fu narratore, drammaturgo e critico. Il Meridiano presenta le traduzioni di Ariodante Marianni, che per questo volume ha rivisto le proprie traduzioni di quattro raccolte già pubblicate nella BUR e ha realizzato appositamente quelle delle altre dieci.
In Occidente e in Israele è nota come "guerra dei sei giorni", ma nel mondo arabo è chiamata la "guerra di giugno" o semplicemente "la disfatta". In sei giorni di intenso combattimento, nel giugno 1967, Israele ha ottenuto il controllo della Striscia di Gaza e dei Territori, sbaragliando una coalizione di Stati arabi guidata da Siria ed Egitto. Già consigliere della delegazione israeliana presso le Nazioni Unite, membro dello Shalem Center di Gerusalemme, Oren individua in questo evento la radice di tutti i successivi sconvolgimenti che hanno scosso il Medio Oriente: la guerra dello Yom Kippur, la guerra in Libano, la controversia su Gerusalemme e sugli insediamenti dei coloni ebrei.