Due città rivali, Siena e Firenze. Due fazioni in lotta, guelfi e ghibellini. Due poteri che si scontrano, Impero e Chiesa. Tutti questi conflitti convergono il 4 settembre 1260 a Montaperti per dare vita a una battaglia che segna una svolta nella storia d'Italia. "Balestracci ricostruisce la battaglia di Montaperti basandosi su cronache e su storie, scavando nei vuoti documentali, analizzando gli antefatti, le astuzie, le contro astuzie e i tradimenti, gli intrecci sublimi, i presagi positivi e nefasti per entrambe le fazioni" (Sabina Minardi, "L'Espresso"). "Un libro godibile, ricco di informazioni e suggestioni riapre il dossier sulla battaglia di Montaperti. Duccio Balestracci utilizza in modo parallelo e quasi cinematografico le fonti di entrambe le parti: alcune, più vicine al tempo della battaglia; altre, più lontane, recuperate da quella memoria collettiva che nel corso dei decenni ciascuna delle città in causa ha coltivato" (Gianluca Briguglia, "Il Sole 24 Ore").
Due città rivali, Siena e Firenze. Due fazioni in lotta, guelfi e ghibellini. Due poteri che si scontrano, Impero e Chiesa. Tutti questi conflitti convergono il 4 settembre 1260 a Montaperti per dare vita a una battaglia che sembrò segnare una svolta nella storia d’Italia. Lo scontro fu durissimo. La sera sul campo rimasero così tanti cadaveri di uomini e cavalli che il sangue, come scrive Dante, «fece l’Arbia colorata in rosso». Verso Siena si incamminavano le migliaia di prigionieri che erano tutto ciò che restava dell’imponente esercito messo insieme da Firenze e dalle sue alleate, sconfitto dai ghibellini e dai cavalieri di Manfredi.
Per uno dei paradossi della storia, la vittoria dei senesi e degli svevi ebbe esiti opposti rispetto a quanto ci si sarebbe potuti aspettare all’indomani della battaglia. Il trionfo ghibellino, infatti, rafforzò la scelta anti-sveva dei papi. Una vittoria, quindi, che si trasformò rapidamente nell’inizio della crisi del ghibellinismo e della svolta che riportò i papi e i guelfi nuovamente al centro della vita politica italiana.
Sono stati tanti, più di quanti in genere ci si immagini, i viaggiatori che fra il Medioevo e la prima età moderna si addentrarono in Estremo Oriente, nelle più sperdute e fredde terre del Nord, nei deserti dell'Asia centrale e dell'Africa. O che dall'Oriente più lontano arrivarono fino al cuore della cristianità. Ciascuno raccontando la sua avventura e le meraviglie che aveva osservato. Dall'incontro con i cannibali nelle isole Andamane alla visita nella "casa dei pazzi" a Valencia, dalla scoperta dei disinibiti costumi sessuali delle donne del Malabar alla descrizione del regno del prete Gianni, si accumulano storie e leggende che spingono gli uomini del Medioevo, cristiani o musulmani, europei o cinesi, a interrogarsi sugli "altri" e sulle "Gran diversitadi" del mondo. I viaggiatori non esitano a infarcire i loro racconti di mostri e luoghi stregati, miracoli e eventi improbabili. Ma queste invenzioni sono uno stratagemma per catturare l'attenzione dei lettori. In realtà, "chi viaggia non è interessato più di tanto a cercare e a descrivere le fantasticherie dell'universo sognato, ma è soprattutto attirato dal modo in cui gli altri vivono, e resta incuriosito quando rileva che questo modo è diverso dal proprio".