Le tredici epistole attribuite a san Paolo si distinguono in lettere maggiori, lettere della prigionia e lettere pastorali. Tra le maggiori, la seconda ai Corinzi è la più sofferta e personale. Il testo sembra essere una compilazione di più lettere e biglietti, piuttosto che uno scritto unitario, anche se non privo di una sopraffina organizzazione retorica. L'apostolo scrive perché sollecitato da informazioni riguardanti calunnie nei suoi confronti diffuse da imprecisati avversari. Dietro lo screditamento personale di Paolo si nasconde però un attacco frontale alla sua missione verso le genti. Di fronte al pericolo che a Corinto si possa decadere dalla purezza del Vangelo verso aspetti maggiormente legati alle forme e non più alla sostanza, con grande maestria Paolo riesce a controbattere agli avversari regalandoci pagine meravigliose in cui parla di sé, della sua mistica della debolezza, in una serie di passaggi di tale altezza da rendere a buon diritto la Seconda lettera ai Corinzi la magna charta del ministero apostolico.
Per focalizzare il contenuto di base dell'introduzione alla lettera ai Corinzi può essere utile partire dal testo degli Atti degli apostoli in cui Luca descrive l'evangelizzazione di Corinto. Siamo nell'ambito del secondo viaggio missionario di Paolo, quello che lo porta ad attraversare le terre europee. Dal racconto emerge anzitutto la costituzione di un nuovo gruppo missionario composto da Paolo, Aquila e Priscilla, Silvano e Timoteo. L'evangelizzazione di Corinto tocca in un primo momento i giudei, ma poi, a causa della loro resistenza e opposizione, si rivolge più direttamente ai pagani o meglio ai proseliti. Il capo della sinagoga tuttavia aderisce, mentre la casa di un proselito diventa base della giovane comunità. A Corinto, dunque, sorge una chiesa abbastanza composita, con presenza piuttosto consistente di membri provenienti da esperienze tra loro diversificate.
Apparire significa non essere, l'essere invece è e non ha bisogno di apparire. Di conseguenza chi non è, ostenta. Dio, però, non guarda ciò che guarda l'uomo, Dio scruta i cuori. A Lui non interessano le apparenze vane, ma le verità profonde che si muovono nell'animo umano. Diversamente dall'attenzione che troppo spesso l'uomo rivolge alla sola esteriorità, il discorso pervasivo che attraversa la Scrittura è molto più interessato a ciò che esso ritiene intimo e autentico.
Chi e come ha scelto i libri che compongono la nostra Bibbia? Dovunque, da chiunque e in qualsiasi momento venissero letti i libri canonici, dovevano generare sempre lo stesso risultato: fede in Gesù Cristo e comunione ecclesiale, evitando localismi, particolarismi e tendenze settarie. La scelta cadde così su testi che fossero in grado di creare comunione e fede tra tutti i credenti in Cristo sparsi nell'Oikoumene (il mondo di allora). Il criterio fu la selezione di quei libri che fossero i più attendibili e rappresentativi dell'evento cristiano. Canone e cattolicità camminano dunque insieme e scandiscono i primi passi del sentire della Chiesa delle origini, che andava sempre più caratterizzandosi come universale. La Chiesa, stabilendo il Canone, fissava la sua stessa identità.
Negli ultimi decenni l'invito a riprendere in mano la teologia dell'ispirazione si è fatto sempre più pressante. Si sono pronunciati in tal senso un importante Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (1999), il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio (2008), l'esortazione postsinodale di Benedetto XVI Verbum Domini e l'ultimo documento della Pontificia Commissione Biblica su Ispirazione e Verità della Sacra Scrittura. La parola che viene da Dio e parla di Dio per salvare il mondo (2014). Le grandi immagini patristiche dell'agiografo plettro, strumento, recettore di un dettato, come anche il più recente profeta messaggero, o uomo su cui soffia lo Spirito favorendo in lui l'evento della Parola, conoscono elementi di parzialità. Meglio sarebbe porre al centro il concetto di relazione. Tra Dio e l'agiografo è in atto una relazione di amicizia, che deve giocoforza crescere insieme, richiedendo un coinvolgimento di scelta nel partner umano. Se fosse una realtà già cresciuta non sarebbe una relazione, ma un elemento preconfezionato, da assumere a prescindere. Dio, invece, non impone mai la relazione, ma la costruisce sempre insieme con i suoi agiografi. Relazione straordinaria, tale da sconvolgere visioni precostituite che dovranno oramai essere passate al vaglio di quella novità assoluta che sta prendendo vita all'interno della storia di alcuni uomini di Dio, prima di estendersi attraverso parole e scritti alla storia della gente che vive attorno a loro.