Le grandi distopie immaginate da Orwell o da Huxley esprimevano la propria visione degli orrori del mondo solido-moderno abitato da produttori e soldati irreggimentati e ossessionati dall'ordine. Essi credevano nei sarti su misura, cioè nella possibilità di confezionare un futuro su ordinazione. Temevano gli errori di misurazione, i tagli scadenti o la corruzione dei sarti, ma non pensavano certo che le sartorie potessero fallire e scomparire. Le distopie del presente rappresentano un mondo in cui i sarti non ci sono più, in cui ci si crea da sé il proprio futuro che nessuno controlla, né vuole o sa controllare. In un mondo come questo non può che crescere lo scoramento e il disfattismo, l'incapacità di agire e la sensazione di essere condannati a soccombere. Eppure, secondo Bauman, questa è soltanto la descrizione di quello che stiamo vivendo. Non è vero che è «sempre la stessa storia»: il futuro non si deduce dal presente, il futuro non è un destino. Ancora una volta Zygmunt Bauman illumina, legge, interpreta e traduce ogni piega del tempo che viviamo.
Quando il dolore morale perde la salutare funzione di avvertimento, di allarme e di spinta ad aiutare il nostro simile, inizia il tempo della cecità morale. La cultura consumistica trasforma qualsiasi negozio o agenzia di servizi in una farmacia dove rifornirsi di tranquillanti e analgesici per attenuare o placare dolori che in questo caso non sono fisici ma morali. Man mano che la negligenza morale si estende e si intensifica, aumenta a dismisura la domanda di antidolorifici e il ricorso a tranquillanti morali diventa assuefazione. Il risultato è che l'insensibilità morale artificialmente indotta tende a diventare compulsiva, una sorta di 'seconda natura'. Il dolore morale viene soffocato prima che diventi davvero fastidioso e preoccupante, e la trama dei legami umani, intessuta di morale, si fa sempre più fragile e delicata, fino a lacerarsi. I cittadini vengono addestrati a cercare sui mercati, nel consumo, la salvezza dai propri guai, la soluzione ai propri problemi, e la politica si trova (anzi è pungolata, spinta, in ultima analisi costretta) a interpellare i propri governati come consumatori anziché come cittadini, facendo del consumo l'adempimento di un primario dovere civico.
Secondo Bauman, a differenza del passato illustre del continente, oggi l'Europa sembra aver perso la sicurezza in se stessa e il gusto dell'avventura. Presa nelle spire di un mondo che si trasforma, comincia a guardare agli altri con diffidenza e paura, si chiude agli immigrati, affoga nella povertà della sua fantasia, nella limitatezza delle sue risorse e non ha più volontà sufficiente per seguire le sue inclinazioni. Eppure mai prima d'ora questo pianeta ha avuto bisogno di un'Europa disposta a guardare oltre le proprie frontiere. Di un'Europa che può giocare un ruolo vitale a patto di ritrovare la sua identità e condividere quell'esperienza di libertà, democrazia e giustizia che ha appreso duramente lungo il suo percorso tortuoso.