Questo libro presenta la ricostruzione - resa possibile dai manoscritti benjaminiani ritrovati da Giorgio Agamben nel 1981 nella Biblioteca nazionale di Parigi - del libro su Baudelaire cui Benjamin aveva lavorato negli ultimi due anni della sua vita, quando, interrompendo la stesura dei "Passages di Parigi", decide di trasformare in un'opera autonoma quello che all'inizio si presentava come un capitolo del libro. Attraverso un paziente lavoro di edizione e di montaggio, che alterna testi inediti ad altri già noti (che trovano solo ora la loro collocazione e il loro senso nell'opera complessiva), il libro permette di seguire la genesi e lo sviluppo, nelle varie fasi della sua stesura, del work in progress che costituisce la summa della tarda produzione benjaminiana. Mentre del libro su Parigi noi abbiamo poco più che lo schedario, "Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato" offre un'immagine articolata e coerente, anche se frammentaria, del laboratorio benjaminiano e del suo metodo compositivo. Sfatando la leggenda di un autore esoterico, il libro ci presenta, nel suo stesso farsi, il modello di una scrittura materialista, in cui non soltanto la teoria illumina i processi materiali della creazione, ma anche questi ultimi gettano una nuova luce sulla teoria.
"La mano avanza attraverso la fessura della dispensa socchiusa, come un innamorato nella notte. Poi, una volta abituatasi al buio, eccola cercare a tentoni zucchero o mandorle, uva sultanina o conserva. E come l'amante che prima di baciare la sua amata l'abbraccia, così il tatto li conosce prima che la bocca ne assapori la dolcezza." Con la felicità espressiva che lo colloca tra i classici del Novecento, Walter Benjamin descrive così un "bambino goloso" in uno dei suoi scritti più affascinanti sull'infanzia e sull'educazione, nei quali pensiero, scrittura e immagine si fondono. Seguendo un ordine tematico, i testi qui raccolti per la prima volta in edizione italiana sono riuniti in sei sezioni, i cui titoli rimandano ad alcuni motivi centrali dell'intera produzione di Benjamin: i bambini, i libri, l'esperienza della lettura, i giocattoli, i teatri come luoghi dell'immaginario infantile e l'educazione come campo di avventura e redenzione.
Quando l'affermazione del nazi-fascimo generava, per le coscienze progressiste di tutta Europa, il crollo di ogni speranza, nella sua Tesi di filosofia della storia Walter Benjamin ha provato a indicare una dimensione temporale di libertà davvero rivoluzionaria, in rottura con l'ottimismo lineare e progressivo tipico della modernità, cioè con la storia scritta dai vincitori. Ma se la contemporaneità ha abbandonato ogni grande narrazione, ancora più valido resta il monito di Benjamin a una tensione messianica in cui ogni "secondo è la piccola porta da cui può entrare il Messia".
«L'importanza che Benjamin attribuiva a L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (e da ciò l'esigenza di una edizione come questa, che finalmente permettesse di comprendere nel loro insieme la sua genesi e tutte le sue "varianti") risulta evidente dalla nota lettera a Kraft del dicembre del 1935: egli afferma con enfasi di ritenere di avervi fissato la cifra dell'"ora del destino" che è scoccata per l'arte. Non può trattarsi, quindi, di una semplice fenomenologia delle piú recenti tendenze, né dell'apprezzamento del loro carattere rivoluzionario rispetto alla espressione artistica tradizionale, e neppure di una teoria delle nuove Muse: fotografia e cinema. L'ambizione è incomparabilmente maggiore: si tratta di comprendere la crisi del fatto artistico, dell'arte in quanto tale, di una filosofia della crisi dell'arte, destinata, per ciò stesso, ad assumere i toni di una vera e propria filosofia della storia».
Il narratore è un breve saggio scritto da Walter Benjamin nel 1936 e destinato a rimanere nel tempo un testo di riferimento per qualunque riflessione sullo statuto del narrare. Il suo pretesto è l'opera di Nikolaj Leskov, scrittore russo contemporaneo di Tolstoj e Dostoevskij, ma lo scopo è ricostruire la figura del narratore, i grandi e semplici tratti autentici che lo contraddistinguono, riportarne alla luce il significato originario. Ma non solo. Raccontando con una precisa drammaturgia da dove mai venga il narratore, Benjamin ci lascia in eredità la descrizione ideale di che cosa ancora oggi dovrebbe rappresentare chi narra storie, una figura che, innalzata nella cerchia dei maestri e dei saggi, «sa orientarsi sulla terra senza avere troppo a che fare con essa».
Ad accompagnarci alla scoperta di questo piccolo saggio è Alessandro Baricco che, con una nota introduttiva, una conclusiva e un commento puntuale a ogni capitolo, ci aiuta a comprendere perché Benjamin, meglio di ogni altro, può introdurci a riflettere su cosa mai veramente sia «il sortilegio della narrazione».
«L'arte di narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza. Ma si tratta di un processo che ha origini lontane. E nulla potrebbe essere piú sciocco che vedere in esso solo un "fenomeno di decadenza", per non dire un fenomeno "moderno"; mentre è solo un fenomeno concomitante di forze produttive storiche, secolari, che a poco a poco ha espulso la narrazione dall'ambito del discorso vivo e insieme fa percepire una nuova bellezza in ciò che svanisce».
Parigi, Marsiglia, Weimar, Napoli, San Gimignano, Mosca. Negli anni venti Benjamin scrive per giornali e riviste una serie di articoli-reportage sulle città dove gli capita di soggiornare. Libro postumo, assemblato da Peter Szondi nel 1955, viene qui riproposto in un'edizione amplita di tre nuovi scritti. "Alla base delle descrizioni delle città straniere di Benjamin non troviamo motivi meno personali di quelli che ispirarono "Infanzia berlinese". Ma ciò non significa che egli non abbia saputo vedere quei luoghi nella loro realtà. Ché un paese straniero riesce a operare la magica trasformazione del visitatore in fanciullo solo se gli si mostra così pittoresco e così esotico come una volta era apparsa al bambino la propria città. Simile al fanciullo che sta con occhi attoniti nel labirinto inestricabile, Benjamin nei paesi stranieri si consegna con tutto il suo stupore e tutta la sua avidità alle impressioni che lo investono. A ciò deve il lettore quelle immagini che non potrebbero essere più ricche, più colorite, più precise. Il linguaggio metaforico aiuta Benjamin - analogamente alla struttura da lui preferita: l'articolazione in brevi periodi - a dipingere le immagini di città come miniature. Nella loro sintesi di lontananza e vicinanza, nella loro incantata realtà, esse assomigliano a quei globi di vetro in cui la neve cade su un paesaggio, che furono fra gli oggetti preferiti da Benjamin". (Dalla postfazione di Peter Szondi).
Il libro è una autobiografia anomala, una sorta di mosaico, in cui Benjamin condensa le esperienze e la topografia della propria infanzia, ridando anima ai sogni facendo rivivere le ore e i luoghi di magia, e al contempo gli angosciosi presentimenti di un bambino ebreo nella Berlino dell'epoca. Ed è forse questa ambiguità il tratto più marcato dei trenta brani (più dodici frammenti proposti in appendice) che compongono il libro: "scavare" nell'infanzia, negli strati nascosti perduti della vita, per riattivare questa "promessa di felicità" che è patrimonio di ogni essere umano ("La fata, grazie alla quale si ha il diritto a un desiderio"), senza tuttavia dimenticare che questa possibile felicità è perennemente esposta ai venti della storia.
Nato dal desiderio di raccogliere in un "libriccino per gli amici" "aforismi, scherzi e sogni" e pubblicato nel 1928, "Strada a senso unico" si presenta come un montaggio di microtesti. Gli aforismi sono organizzati secondo una struttura particolare, in quanto ogni capitolo è presentato con il nome di un negozio, di un edificio, di un segnale o di un manifesto, in modo che la disposizione d'insieme finisce per dare l'idea di una città allegorica. È un documento del nuovo atteggiamento e della svolta determinatasi in Benjamin nel '24. Un libro che proietta il lettore nella vorticosa vita della Germania degli anni della grande inflazione. (Nuova edizione accresciuta)
"La figura di Benjamin è di quelle che si prestano più difficilmente alla definizione e collocazione critica. Saggista e critico letterario, il significato e l'intenzione dell'opera trascendono tuttavia i limiti della critica, o della storia letteraria nella accezione corrente. La sua originalità di pensatore fu piuttosto tutt'uno con la sua attività d'interprete e di critico, e si costituisce fondamentalmente solo in essa... La presente raccolta comprende proprio quelle che si possono considerare le eccezioni dell'opera di Benjamin: come il saggio su diritto e violenza, quello sulla traduzione, o il manoscritto inedito sulla lingua." (Dall'introduzione di Renato Solmi).