Questo testo del 1965 rappresenta l'omaggio critico che Nina Berberova ha voluto dedicare ad uno dei grandi maestri del Novecento, Vladimir Nabokov, russo come lei e, come lei, forzatamente cosmopolita (entrambi furono costretti infatti a lasciare la propria patria a causa degli avvenimenti successivi alla Rivoluzione d'Ottobre). E proprio il rapporto di Nabokov con la sua terra d'origine è uno degli aspetti su cui si sofferma la Berberova nel suo saggio, anche in relazione al fatto che in inglese e non in russo era stato scritto Lolita, il grande romanzo che, uscito per la prima volta a Parigi nel 1955 e a distanza di pochi anni tradotto ormai in tutto il mondo, ancora non aveva potuto oltrepassare le maglie della censura sovietica.
"E qui comincia il mio Quaderno nero che ancora oggi odora di terra: un tempo fu sotterrato in una cantina e si ricoprì di macchie di muffa verde scuro." Con queste parole Nina Berberova introduce il suo diario segreto, intermittente, fedele ai ritmi oscillatori delle emozioni e del pensiero, una sorta di nucleo primigenio intorno al quale andarono via via formandosi le concrezioni madreperlacee della memoria, quelle stesse che avrebbero visto la luce nel 1969, in forma autobiografica, con "Il corsivo è mio".
Nei racconti che compongono questo volume non si parla d'amore, ma delle emozioni senza nome, senza etichetta, che vincolano il cuore di un'umanità spaesata, non connotata da ruoli o qualifiche, stupita dal fluire del tempo come dagli scarti improvvisi del destino, in cerca di sé nelle stanze di case non riconoscibili, in chiese abbandonate a una sacralità senza riti, in città sospinte dalla storia di altri mondi. Quel sommovimento di tutto, quel senso di perpetua precarietà che la Rivoluzione russa impose in una vasta parte del mondo diventano qui un clima e un fondale psicologico. L'esilio come condizione dello spirito, espressione dello smarrimento e della vulnerabilità dell'anima e nonostante tutto un'ostinata vitalità dei sentimenti.