Fra gli animali che da sempre accompagnano la vita degli uomini, il gatto e il cane si contendono la palma dei più amati, al punto che si potrebbe sostenere che buona parte dell'umanità si divide tra 'gattofili' e 'cinofili'. Tuttavia è certamente il gatto che ha giocato un ruolo più centrale di qualsiasi altro animale nell'ispirazione dei poeti, come dimostra questo volume, un'esauriente antologia di testi dedicati a questa presenza così comune, eppure sempre così enigmatica, nelle nostre case. Anche se l'antologia è particolarmente incentrata sulla poesia moderna e contemporanea, non potevano mancare alcuni testi più antichi, come il sonetto di Torquato Tasso, l'apologia' felina del poeta inglese Christopher Smart, i due haiku del poeta giapponese Basho e del suo allievo Shiko, che rispettivamente aprono e chiudono il libro. Fra questi estremi di diverse e lontane classicità, troviamo le poesie di romantici inglesi come Wordsworth, Shelley, Keats; di francesi come Baudelaire, Verlaine, Apollinaire, Prévert; di alcuni dei massimi poeti del Novecento, da Yeats a Rilke, da Borges a Neruda, da Pessoa a Garcia Lorca, da Alberti a Bukovsky, fino a grandi poeti dei nostri giorni come l'irlandese John Montague, la polacca Wieslawa Szymborska, la brasiliana Marcia Theophilo. Anche nella poesia italiana moderna la figura del gatto è ben presente. L'antologia offre, anche qui, una ricca messe di poeti fra i nostri maggiori, fino ad arrivare alle generazioni a noi più vicine.
Pubblicato nel 1901, La signora Berta Garlan narra la vicenda amorosa di un'insegnante di pianoforte. Sposata a un uomo che non ama, Berta resta ben presto vedova e continua a vivere da sola con il suo bambino in una piccola città danubiana. Nulla sembra poter ormai cambiare un destino già segnato da rinunce e privazioni, quando una gita a Vienna la farà incontrare di nuovo l'unico uomo che abbia davvero amato, un compagno di conservatorio divenuto nel frattempo un famoso virtuoso di violino... In questo romanzo Schnitzler ci regala una bellissima figura femminile, della quale sonda l'anima con grande sensibilità e modernità, descrivendo la difficile condizione sia economica che sociale di una donna di quei tempi e l'impossibilità di sfuggire a un'esistenza infelice. Ma la profondità di Schnitzler va al di là delle contingenze dell'epoca storica: come fece notare il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, la sua arte, con il suo scetticismo, la sua penetrazione nella verità dell'inconscio e nella natura delle pulsioni umane, la demolizione delle certezze convenzionali della società e la polarità di amore e morte, attinge a un valore universale.
"Muss. Ritratto di un dittatore", è un documento prezioso per comprendere il complesso e spesso conflittuale rapporto di Malaparte con il fascismo. La sua stesura, iniziata durante la permanenza di Malaparte a Parigi, ha occupato un lasso di tempo di venti anni, dal 1931 fino ai primi anni Cinquanta. Proprio questa lunga gestazione è il miglior indice del travagliato rapporto di Malaparte con il regime e più ancora con la figura di Mussolini. Previsto inizialmente come una biografia di Mussolini con il titolo "Il Caporal Mussolini", il saggio si è in realtà sviluppato come un'analisi critica del fascismo, che a Malaparte appariva nei suoi tratti di stato di polizia come l'ultimo portato della Controriforma. Oltre che sul rapporto dello scrittore con il fascismo, le pagine di Muss sono interessanti proprio per l'acuto giudizio critico di Malaparte anche sul nascente nazismo, visto come un primo esempio di dittatura moderna capace di indurre il popolo a credere che «il dittatore moderno sia un essere soprannaturale». Non deve dunque sorprendere che poco dopo il suo ritorno in Italia Malaparte venisse arrestato nel 1933, su denuncia di Italo Balbo, con l'accusa di avere svolto all'estero attività antifasciste, e inviato al confino sino al 1934, quando venne riabilitato dallo stesso Mussolini. Lo scritto "Il grande imbecille" completa questo volume.
Da Istanbul a Diyarbakir, in terra curda, un treno corre lungo un'immensa steppa. A bordo c'è Yusuf, che non ha più né padre né madre, e neppure un nome: Yusuf è un sospetto agli occhi di un potere sempre più totalitario, e lascia alle spalle la sua città attraversando un paese scosso da una serie di attentati. Davanti a lui c'è 'Poeta': un terribile segreto sembra legarli indissolubilmente... Apparso nel 2002, e subito acclamato come uno dei migliori romanzi della nuova narrativa turca, "Tol" (parola curda che significa 'vendetta') è sì la storia di una vendetta, come recita il sottotitolo, ma è anche la storia di una misteriosa e paurosa odissea tra le colline dell'Anatolia e i guerriglieri del Kurdistan, sulle tracce di una rivoluzione impossibile: un viaggio nella geografia, nella storia e nell'anima di un paese, la Turchia, che è ancora oggi al centro dell'interesse del mondo intero, sia per la sua posizione strategica, sia per il suo complesso e contraddittorio cammino verso un'evoluzione democratica che pare ancora lontana.
La figura culturale, politica e umana di Piero Gobetti, il grande intellettuale di "Energie nove", de "La rivoluzione liberale", de "Il Baretti", lo scopritore di Eugenio Montale, la figura di un intellettuale che, secondo le parole di Norberto Bobbio, "resta un esempio unico e meraviglioso di un'opera consumata in pochissimi anni e apparentemente compiuta", è ben nota a tutti. Meno nota la figura di Ada Prospero, che Gobetti sposò nel 1924, due anni prima della morte, ma con la quale ebbe un rapporto privilegiato fin dal 1916. Si può senz'altro dire che, dato il rapporto tra i due, non si possa intendere appieno la storia di Piero Gobetti se non alla luce di quella di Ada Prospero. Questo volume ripercorre la storia di Piero e Ada Gobetti attraverso i loro diari inediti proposti in modo incrociato e un'amplissima selezione di lettere dal loro epistolario. In questo modo le pagine private si intersecano alle più importanti pagine politiche e alle vicende dell'avvento del fascismo e del formarsi dell'antifascismo. I testi sono preceduti da un esame storico e corredati da note che scandiscono e chiariscono le tappe della vita di Piero e di Ada. Ne scaturisce un affresco che restituisce i tanti fili di un'eccezionale storia di cultura e di impegno, oltre che di una straordinaria storia d'amore.
"Todo el Amor" rappresenta l'unica antologia 'personale' di Pablo Neruda, che è andato egli stesso scegliendo e raccogliendo in questo volume quanto poteva meglio rappresentare l'ispirazione amorosa della sua poesia. Se è vero infatti che per Neruda è l'amore la forza maggiore della vita, è anche vero che questa fonte essenziale della sua poesia ha tardato a essere riconosciuta, tanto che lo stesso poeta confidava a Giuseppe Bellini, suo amico e massimo interprete della poesia nerudiana in Italia, la sua contrarietà a essere considerato solamente poeta dell'impegno, quando nella sua poesia aveva tanto posto il sentimento. Possiamo dunque pensare che sia stato proprio questo iniziale 'disconoscimento' a spingere Neruda a sottolineare questo aspetto della sua poesia in una apposita antologia. Il risultato è, come scrive Bellini nella prefazione al volume, "un nuovo libro di confessioni nerudiane, tanto più personale in quanto il poeta stesso lo ha 'costruito'".
"La nostra vita è guidata da correnti più profonde degli avvenimenti esteriori e un'intensa magia della vita governa i nostri destini, sia che l'azione si svolga ad Anversa durante le guerre di religione, o a Gerusalemme il giorno della Crocifissione": così scriveva Stefan Zweig a proposito di questi due racconti, pubblicati nel 1904 insieme a "L'amore di Erika Ewald" e "La stella sul bosco". Ciò che importa, infatti, non è tanto l'ambientazione dei racconti - l'Anversa del 1566 de "I miracoli della vita" o la Palestina all'epoca del Messia de "Il pellegrinaggio" -, quanto la 'fede' che anima i protagonisti, e non importa a quale religione o confessione appartengano, vissuta come la dimensione principale di quella umanità che tutte le forme di persecuzione vorrebbero negare.
Romain Rolland fu tra l'altro scrittore eccelso di biografie, genere al quale lo inclinava l'ansia di penetrare i motivi del genio, di indagare l'animo dei grandi creatori. Tra tutte, emerge questa "Vita di Beethoven", anche perché l'attenzione di Rolland per il grande musicista non fu mai superficiale o episodica, né d'altra parte può essere semplicemente ricondotta al suo generale interesse per la musica, testimoniato dall'insegnamento di storia della musica alla Sorbona: per tutta la vita, infatti, la figura di Beethoven costituì per lui una presenza costante e insieme un termine di confronto. E infatti, dopo quest'opera che, pubblicata nel 1903, riscosse un immediato, enorme successo, e che è ancora oggi una delle più penetranti letture della vita del grande musicista, Rolland tornò più volte sul genio beethoveniano con scritti ampi e tecnicamente agguerriti; ma nessuno dei suoi studi successivi poté raggiungere la potenza evocativa di questa pur breve biografia, non a caso considerata tra le opere più importanti dello scrittore francese.
Scriveva Saint-Exupéry, a proposito degli articoli che veniva via via pubblicando su diverse testate, di saper bene quali rimproveri gli sarebbero stati rivolti: "I lettori di un giornale", osservava, "pretendono reportages concreti, non riflessioni... Ma io ho un altro parere in proposito". Questo suo diverso parere lo troviamo alla base di tutti i suoi articoli, a cominciare da quelli riuniti in questo volume, che lo vedono di volta in volta alle prese con la sua professione di pilota di linea e con la differente geografia dei suoi viaggi, dall'Algeria alla Patagonia, dalla Russia dei soviet alla Spagna della guerra civile. Ma è proprio la "riflessione" che dà a questi articoli il loro sapore particolare e insieme la loro maggiore originalità: quello che interessa a Saint-Exupéry non è infatti il resoconto in sé di storie e paesi, che pure sono presenti nelle sue note di viaggio, ma il racconto di situazioni umane, nella ricerca di quei valori e ideali comuni a tutti che stanno alla base del suo "umanesimo".
Irène Némirovsky aveva pensato di iniziare questo suo secondo romanzo, "La nemica", con una citazione tratta dal "Ritratto di Dorian Gray" di Oscar Wilde: "I figli iniziano amando i propri genitori; più tardi, li giudicano; mai o quasi li perdonano". Quali ragioni l'abbiano poi spinta a non farlo, è difficile a dirsi; resta il fatto che tutto questo breve ma intensissimo romanzo si incentra sul complesso, drammatico rapporto tra una madre e una figlia, intorno alle quali l'intero mondo "familiare" diventa quasi un campo di battaglia che non risparmia né colpi né vittime. La "nemica" è infatti la madre, una donna frivola, incapace di amare altri che se stessa, tutta rinchiusa nella sua ansia di piacere, di essere amata, di non invecchiare, del tutto indifferente rispetto ai bisogni prima delle due figlie e poi dell'unica figlia che le resterà: Gabri, che coverà fin da bambina un rancore tale da soggiogare la propria stessa vita, da renderla una sorta di controfigura della madre, in attesa soltanto della sua vendetta finale. "La nemica" venne pubblicato originariamente a puntate sulla rivista "Les Oeuvres libres" dell'editore Fayard nel 1928, con lo pseudonimo di Pierre Nérey Nérey che è l'anagramma di Irène - quasi a mascherare e a svelare insieme il profondo e sofferto contenuto autobiografico della narrazione.