L'ispettore Ferraro è tornato. È tornato da una città che non ha mai capito, Roma, dove ha lasciato il commissario Elena Rinaldi, un'altra storia andata male. È tornato al commissariato di Quarto Oggiaro, solo e sconfitto, e dopo tre anni in trasferta deve ricominciare da capo. Con la barba incanutita, una nuova casa, la figlia Giulia in piena preadolescenza e Lanza trasferito a Bruxelles. Poi c'è il lavoro: una rapina in villa, con un epilogo tragico. Morto il rapinatore, uno zingaro, e morto il padrone di casa. Una vera rogna. E il solito Comaschi lì a fare battute idiote. Nello stesso momento, a Lodi, una rocambolesca evasione dal carcere finisce in un bagno di sangue. Una carneficina con mistero: l'evaso è un nero di piccolo calibro, come si spiega il commando malavitoso allestito per liberarlo? Chi è davvero Towongo Haile Moundou? Ironia del destino, a questa domanda dovrà trovare risposta proprio Elena Rinaldi. In un frenetico inseguimento da nord a sud attraverso un'Italia oppressa da un cielo plumbeo - con assolati squarci di un'Africa arsa da un sole crudele e desertico - Gianni Biondillo disegna con questo romanzo la mappa dettagliata e cupa di una nazione senza memoria. Un noir contemporaneo che scava nelle più grandi paure dell'Italia di oggi e ci restituisce un paesaggio preciso e puntuale del nostro Paese. Senza mai perdere di vista la speranza.
Una semplice vacanza a Ostia, con la figlia Giulia. Doveva essere un momento di relax per l'ispettore Ferraro: qualche giorno di distensione per cercare di costruire un nuovo rapporto con quella ragazzina in piena adolescenza. Durante una nuotata al largo una barca alla deriva attira la loro attenzione. A bordo un biglietto lascia intendere che qualcuno ha deciso di porre fine alla sua vita. "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono", c'è scritto. E sotto, "Non fate troppi pettegolezzi". Parole prese in prestito da Cesare Pavese, che Giulia, lettrice appassionata, riconosce subito. Una volta chiamati i colleghi di Roma, la faccenda sembrerebbe finita lì per Ferraro, se non fosse che il suicida ha lasciato un'ex moglie a Milano, e all'ispettore tocca l'ingrato compito, tornato a casa, di informare la donna. E così, suo malgrado, in una calda estate milanese, Ferraro si trova coinvolto insieme alla figlia in un'indagine sul destino di un uomo qualunque, Giovanni Tolusso, che partito dal nulla era riuscito caparbiamente a costruirsi una vita dignitosa. Fino a quando, in un'assolata mattina romana, il recapito di una cartella esattoriale aveva segnato l'inizio della sua fine... Il più kafkiano dei gialli di Biondillo, il più disperato, il più intimamente legato alla crisi economica che stiamo vivendo in questi anni difficili, in cui le nostre illusioni sembrano crollare, una a una, impietose.
L'ispettore Ferraro è tornato. È tornato da una città che non ha mai capito, Roma, dove ha lasciato il commissario Elena Rinaldi, un'altra storia andata male. È tornato al commissariato di Quarto Oggiaro, solo e sconfitto, e dopo tre anni in trasferta deve ricominciare da capo. Con la barba incanutita, una nuova casa, la figlia Giulia in piena preadolescenza e Lanza trasferito a Bruxelles. Poi c'è il lavoro: una rapina in villa, con un epilogo tragico. Morto il rapinatore, uno zingaro, e morto il padrone di casa. Una vera rogna. E il solito Comaschi lì a fare battute idiote. Nello stesso momento, a Lodi, una rocambolesca evasione dal carcere finisce in un bagno di sangue. Una carneficina con mistero: l'evaso è un nero di piccolo calibro, come si spiega il commando malavitoso allestito per liberarlo? Chi è davvero Towongo Haile Moundou? Ironia del destino, a questa domanda dovrà trovare risposta proprio Elena Rinaldi. In un frenetico inseguimento da nord a sud attraverso un'Italia oppressa da un cielo plumbeo - con assolati squarci di un'Africa arsa da un sole crudele e desertico - Gianni Biondillo disegna con questo romanzo la mappa dettagliata e cupa di una nazione senza memoria. Un noir contemporaneo che scava nelle più grandi paure dell'Italia di oggi e ci restituisce un paesaggio preciso e puntuale del nostro Paese. Senza mai perdere di vista la speranza.
Per parlare di città e territorio usiamo a sproposito categorie desuete (città, campagna, centro, periferia), oppure ci lasciamo affascinare da nuove parole d'ordine (i "non-luoghi") che comprendiamo poco, ma che danno un tocco di modernità ai nostri discorsi. Critichiamo la città del Novecento, ma non conosciamo il nome di chi davvero l'ha sognata e, solo in parte, costruita. Discutiamo di marginalità, di sicurezza, per sentito dire, mai in presa diretta. Viviamo le trasformazioni urbane come dilettanti, con categorie critiche vecchie di un secolo. Abitiamo le nuove metropoli italiane, delle quali neppure ammettiamo l'esistenza, come principianti, pieni di nostalgia per un passato che non abbiamo mai conosciuto davvero. Di questo ed altro parla Gianni Biondillo nel suo libro. Lo fa, innanzitutto, da architetto quale lui è, come tecnico attento alle dinamiche urbane.
Chi ha sparato all'ispettore capo Lanza del commissariato di Quarto Oggiaro? L'ispettore Michele Ferraro è alle prese con uno dei più difficili casi che gli siano mai capitati. Perché, in quella periferia milanese dove tutti si conoscono e dove è quasi impossibile distinguere gli innocenti dai colpevoli, sta succedendo qualcosa di grosso. Cosa c'è dietro? Che parte ha il Baffo, un sognatore finito a fare il barbone? E che strani intrecci si sono formati tra le mafie pugliesi, calabresi e slave? Ferraro indaga, facendo quotidianamente i conti con i suoi malumori, con l'ennesimo tentativo di prendere una laurea, e con il popolo minuto di una città raccontata con durezza sarcastica e simpatia contagiosa.