Che cos'è per l'essere umano il tempo? Qual è il significato che assume nelle nostre vite? Quanto è rilevante nella definizione delle identità e delle esperienze di ciascuno? Il tempo sta in rapporto con la finitudine, caratteristica della mortalità, e insieme con l'infinito, ma anche con le emozioni, quali il dolore e la gioia. La vita non sarebbe tale se non fosse cadenzata dal passare delle ore, delle stagioni, delle età e di quel tempo più personale che non può venire misurato con esattezza, ma che contribuisce a definire l'esperienza della vita stessa. Il soggetto non sarebbe insomma tale in assenza di una traiettoria temporale. Il tempo non casualmente rappresenta un tema ricorrente in letteratura e in filosofia, e ha una grande importanza pure nella psicopatologia e nella cura. Nel suo trascorrere condiziona la vita quotidiana, così come colora le esperienze mistiche che lo trascendono. È elemento costitutivo dell'identità e permea la coscienza e l'esistenza di ciascuno. Nel sondare le profondità dell'animo non si possono dunque trascurare il tempo e l'esperienza diversa che ognuno ne fa. Può trattarsi di volta in volta di un tempo sospeso, come nel sogno, o frammentato, come nella memoria lacerata di chi soffre di malattie quali l'Alzheimer; può essere il tempo della noia, per chi si sente paralizzato nel presente, o quello della nostalgia di chi volge lo sguardo al passato, o ancora dell'attesa di chi guarda avanti, al futuro.
Il libro è indirizzato alla ricerca delle emozioni perdute: le emozioni che curano e quelle che, nel dolore e nella follia, anelano a essere riconosciute; le emozioni che, gracili e segrete, si colgono nella gioia e nel silenzio; le emozioni che si intravedono nella luce degli occhi e nei vasti quartieri della memoria; le emozioni che sono matrici di poesia. Sono emozioni che il libro intende fare riemergere nella loro verità psicologica e umana, e nell'importanza che esse hanno per la conoscenza di sé e per lo svolgimento di relazioni interpersonali dotate di senso. Sono emozioni che fanno parte della vita normale e della vita psicopatologica.
Noi non siamo mondi isolati, ma mondi aperti all'ascolto in una circolarità di esperienze che ci rendono consapevoli di quanta sia la nostra responsabilità nel determinare i modi di essere e di comportarsi degli altri. Sentiamo tale responsabilità nello scorrere delle giornate in cui siamo continuamente chiamati ad ascoltare gli altri, a rispondere alle loro angosce e alle loro speranze. Conoscere se stessi e gli altri è il modo piú intenso di essere responsabili. Nessuno si conosce del resto fino a quando è soltanto se stesso, e non, al medesimo tempo, anche un altro. Quale rapporto lega la responsabilità alla speranza? Quest'ultima è apertura al futuro, ci obbliga a pensare non solo alle conseguenze presenti e passate delle nostre azioni e delle nostre parole, ma anche a quelle future. Non lasciamo morire in noi la speranza se vogliamo aiutare chi la sta perdendo. Lo dice Walter Benjamin: "Solo per chi non ha più speranza ci è data la speranza".
La psichiatria è disciplina medica che si occupa della diagnosi, della comprensione e delle strategie terapeutiche necessarie per avvicinare ciò che convenzionalmente chiamiamo "disturbo psichico". Ma essa non può sfuggire a certe scelte etiche che richiamano i grandi temi del senso della vita, della libertà, della responsabilità verso le esistenze deboli ed emarginate. La psichiatria ha a che fare soprattutto con la cura, ma la cura non può essere soltanto farmacologica: è anche psicologica e sociale e dipende soprattutto dalla capacità di ascoltare, per cogliere quel colloquio interiore che ognuno di noi intrattiene con le voci e i silenzi della propria anima, anche quando ci si trova persi nelle pieghe più profonde della sofferenza psichica. Questo libro affronta il grande tema della psicopatologia e della sua modernità. Descrive alcune fondamentali condizioni psicopatologiche e le loro strutture portanti mettendo in luce come, tra gli aspetti cruciali della sofferenza mentale, vi siano i modi soggettivi di essere nell'angoscia e nella tristezza, nella disperazione e nella dissociazione, nell'ossessività e nell'euforia, vale a dire i vissuti emozionali di ogni esperienza neurotica o psicotica.
Nel corso della nostra vita siamo accompagnati da alcune esperienze fondamentali che ci consentono di conoscere cosa noi siamo e cosa sono gli altri; e fra queste esperienze come non ripensare alla tristezza, alla sofferenza, alla felicità, alla solitudine, alla tenerezza, al desiderio di comunità e di comunità di destino, alla speranza, alla malattia e alla morte volontaria, e ai modi con cui entrare in comunicazione con ciascuna di queste esperienze? Ma cosa è questa parola ambivalente, "comunicazione", che entra in gioco in ogni forma di discorso e di vita? Comunicare vuol dire rendere comune (dal latino munus, dono): è dialogo, relazione. Significa entrare in relazione con la nostra interiorità e con quella degli altri, nella convinzione che comunicazione sia sinonimo di cura. Noi entriamo in relazione con gli altri, allora, in modo tanto più intenso e terapeutico quanta più passione è in noi, quante più emozioni siamo in grado di provare e di vivere.
L'ombra e la grazia si possono considerare categorie esistenziali, metafore, per esprimere la dignità ferita e quella salvata. L'ombra è l'altra faccia della luce, come la pesantezza lo è della grazia. Vi è qualcosa di misterioso in tale intrinseca relazione tra lacrime e sorrisi, tra tristezza dell'anima e apertura alla speranza, a cui Eugenio Borgna presta attento ascolto e dà voce, riflettendo sulla dignità della persona, sul suo valore, nelle sue varie declinazioni, umbratili e luminose. La dignità è un valore etico fondamentale ed è la fonte dei diritti umani, tuttavia è stata crudelmente lacerata nel corso della storia, non ultima da quella psichiatria che ha distinto le vite degne di essere vissute da quelle che non lo sarebbero. Il problema del rispetto dell'altro si ripropone nell'ambito della cura, al centro della quale sta la fragilità del malato, fisico o psichico, esposto alla sofferenza della malattia e all'angoscia della morte. Il discorso sulla dignità non concerne solo l'aspetto doloroso dell'ombra, riguarda anche l'attesa del futuro e dell'ignoto. Le attese altrui vanno riconosciute e rispettate, per non fare al prossimo quanto non vorremmo fosse fatto a noi. Siano esse le attese di chi sta male o di chi per qualche ragione sia vulnerabile, occorre rispettarne la fragilità e la sensibilità, le quali non potranno proteggere la dignità dai colpi inferti dalla vita, ma consentono una più acuta e umana comprensione del lato oscuro dell'essere, della parte invisibile delle cose...
Le psicosi sono le forme più gravi di turba psichiatrica. Proprio intorno a questa forma così inquietante e sfuggente (il cui ventaglio di manifestazioni è vastissimo) si snoda il discorso di Borgna. Oggi è di moda, anche se già si sentono i primi segnali di inversione di rotta, l'interpretazione naturalistica della malattia mentale.Le cause prime andrebbero associate a un malfunzionamento dei centri cerebrali e le cure dovrebbero incentrarsi su terapie chimiche (farmaci) o di tipo affine (elettroshock). Questa impostazione è spesso viziata da motivi tutt'altro che scientifici. L'organizzazione sanitaria del nostro paese come di altri, tra cui gli Stati Uniti, non è in grado di sopportare i costi (anni di psicoterapia) di una psichiatria più umana. Eugenio Borgna, pur dichiarando che l'ausilio di farmaci può essere indispensabile quando si tratta di psicosi e non di nevrosi, difende la necessità di porsi in relazione con il paziente e di ‟penetrarne” il mondo. Il talento di Borgna consiste appunto nella capacità di penetrare il mondo psicotico tanto nel rapporto con i pazienti dell'Ospedale Maggiore di Novara quanto sulla pagina scritta, dove con l'ausilio delle storie dei suoi malati e dei testi letterari di famosi grandi psicotici, come Antonin Artaud e Gérard de Nerval, riesce a dare voce all'‟urlo silenzioso” di questa patologia. Il libro, accessibile a ogni lettore colto, si rivolge ai colleghi psichiatri perché dismettano gli alibi della scienza e si calino umanamente nel loro compito terapeutico.
L'ansia fa parte della vita, e ciascuno di noi ha a che fare con essa: con le sue figure fuggitive e arcane, camaleontiche e crepuscolari, nelle quali si riflette come in uno specchio la linea misteriosa e affranta delle realtà psicopatologiche e umane: al di qua, e al di là, di ogni malattia. Come riconoscere le figure dell'ansia, e come cogliere le sue trasformazioni e i suoi possibili sconfinamenti nella depressione, nelle malattie psicosomatiche, nell'esperienza ossessiva e in quella dissociativa, ma anche nelle situazioni umane contrassegnate dalla solitudine e dalla timidezza nell'adolescenza come nella maturità, dalla nostalgia e dall'attesa, dalle infinite agostiniane inquietudini del cuore: sono gli orizzonti di senso di questo libro che si confronta, infine, con l'ansia che sta nello sfondo tematico, umbratile e scintillante, di alcune esperienze creative. Il discorso sfolgorante di Simone Weil ci dice come solo le sonde luminose dell'intuizione consentano di scendere negli abissi dell'interiorità ferita e della sofferenza: che si nascondono, del resto, in ogni figura dell'ansia.
Che cos'è per l'essere umano il tempo? Qual è il significato che assume nelle nostre vite? Quanto è rilevante nella definizione delle identità e delle esperienze di ciascuno? Il tempo sta in rapporto con la finitudine, caratteristica della mortalità, e insieme con l'infinito, ma anche con le emozioni, quali il dolore e la gioia. La vita non sarebbe tale se non fosse cadenzata dal passare delle ore, delle stagioni, delle età e di quel tempo più personale che non può venire misurato con esattezza, ma che contribuisce a definire l'esperienza della vita stessa. Il soggetto non sarebbe insomma tale in assenza di una traiettoria temporale. Il tempo non casualmente rappresenta un tema ricorrente in letteratura e in filosofia, e ha una grande importanza pure nella psicopatologia e nella cura. Nel suo trascorrere condiziona la vita quotidiana, così come colora le esperienze mistiche che lo trascendono. È elemento costitutivo dell'identità e permea la coscienza e l'esistenza di ciascuno. Nel sondare le profondità dell'animo non si possono dunque trascurare il tempo e l'esperienza diversa che ognuno ne fa. Può trattarsi di volta in volta di un tempo sospeso, come nel sogno, o frammentato, come nella memoria lacerata di chi soffre di malattie quali l'Alzheimer; può essere il tempo della noia, per chi si sente paralizzato nel presente, o quello della nostalgia di chi volge lo sguardo al passato, o ancora dell'attesa di chi guarda avanti, al futuro.
Quale è il senso di un discorso sulla fragilità? Quello di riflettere sugli aspetti luminosi e oscuri di una condizione umana che ha molti volti e, in particolare, il volto della malattia fisica e psichica della condizione adolescenziale - con le sue vertiginose ascese nei cieli stellati della gioia e della speranza, e con le sue discese negli abissi della insicurezza e della disperazione -, ma anche il volto della condizione anziana, lacerata dalla solitudine e dalla noncuranza, dallo straniamento e dall'angoscia della morte. La fragilità, negli slogan mondani dominanti, è l'immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell'indicibile e dell'invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d'animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi.
Quale è la realtà della follia, e quale la sua immagine? In che relazione sta con le comuni esperienze di dolore o di malinconia? Attraverso quali linguaggi riesce a comunicare una sofferenza che pare riferirsi a un altro mondo, a una diversa realtà? Come tutto ciò finisce per condizionare la creatività? E in che modo dovrebbe porsi una psichiatria realmente umana che voglia immedesimarsi con le vibrazioni più intense delle anime sofferenti? Eugenio Borgna, nel tentativo di dare risposta a domande come queste, interroga quanti hanno provato a esprimere il senso delle lacerazioni dolorose o delle tormentose inquietudini sperimentate nelle loro vite. Ci introduce così, come in un'ideale galleria letteraria e artistica, ad alcune delle grandi opere che aiutano a cogliere un'altra immagine della follia: quelle di pensatori come Nietzsche o Kierkegaard, di poeti come Georg Trakl, Nelly Sachs e Paul Celan, di scrittori come Virginia Woolf, o di pittori come Friedrich o Böcklin, di registi come Bergman o Lars von Trier. Ma ci svela anche le modalità di esprimere le profondità e le ferite dell'anima di alcune delle sue pazienti, come Angela e Valeria, di grandi mistiche come Teresa di Lisieux e Teresa d'Ávila, o di vittime di una sorte atroce quale fu Etty Hillesum. Al centro del libro resta il significato della follia come esperienza umana, specchio nel quale si riflette, dilatata e radicalizzata, la nostra condizione.
Il libro è indirizzato alla ricerca delle emozioni perdute: le emozioni che curano e quelle che, nel dolore e nella follia, anelano a essere riconosciute; le emozioni che, gracili e segrete, si colgono nella gioia e nel silenzio; le emozioni che si intravedono nella luce degli occhi e nei vasti quartieri della memoria; le emozioni che sono matrici di poesia. Sono emozioni che il libro intende fare riemergere nella loro verità psicologica e umana, e nell'importanza che esse hanno per la conoscenza di sé e per lo svolgimento di relazioni interpersonali dotate di senso. Sono emozioni che fanno parte della vita normale e della vita psicopatologica.