Che cosa hanno in comune il pauroso carcere Mamertino dell'antica Roma e le prigioni italiane di oggi, il sudato affollamento dei nostri bus e le prevaricazioni dei potenti carrozzati che si aggiravano nei vicoli dell'Urbe, le orge alla corte imperiale e gli sfrenati festini di cui sono pieni i giornali? Tutto: carcerazioni ingiuste, vizi e abusi d'ogni genere, corruzione finanziaria e sessuale, compravendita di voti, propaganda, scontri di potere, brama sconfinata di denaro. Sono cose già viste, niente di nuovo sotto il sole, ma gli italiani non hanno imparato. In questo libro Luca Canali e Lorenzo Perilli ci mostrano come nelle parole degli antichi si possa ritrovare il nostro presente: ci dicono che la Storia non è "maestra di vita" ma, parafrasando Joyce nell'Ulysses, "un incubo" dal quale stiamo ancora cercando invano di svegliarci. Eppure resta lo specchio migliore - e forse l'unico - in cui guardare noi stessi: chissà che, fermandoci un momento a riflettere, non impariamo a capire un po' meglio chi siamo.
Questa "Storia della poesia latina" restituisce ai lettori moderni i poeti latini in tutta la loro vitalità e il loro fascino. Agli autori a lui cari e familiari, Canali si accosta con competenza di specialista ma anche con la trasparente fedeltà del lettore-traduttore. Il libro è così una ininterrotta conversazione che dagli arcaici e da Catullo e Lucrezio, i "sovversivi involontari", porta a Virgilio e Orazio, i "cortigiani perplessi"; da Tibullo e Properzio, gli "elegiaci malinconici", e Ovidio, l'elegiaco "imaginifico" e leggiadramente cinico, a Fedro, il favolista "per adulti" erroneamente insegnato ai ragazzini, e a Persio e Lucano, i due "ventenni contro Nerone"; da Manilio, l'astronomo e astrologo puntiglioso e allucinato, ai "grigi" Silio Italico, Valerio Fiacco e Stazio, a Giovenale e Marziale, i "giullari rifiutati", ai poeti della decadenza. Una biblioteca dell'antichità che affianca autori celebri a importanti riscoperte, fedele al desiderio di salvare voci poetiche che a noi moderni continuano a parlare con immutata intensità di sentimenti e di emozioni, di pensieri e di ragioni. Note e commento di Maurizio Pizzica. Testi latini in appendice.