Con il termine "anima" la teologia cristiana, riprendendo alcune acquisizioni della cultura biblica e della filosofia greca, ha voluto salvaguardare l'identità singolare dell'essere umano e la sua destinazione a superare la morte. Negli ultimi decenni, alcuni orientamenti delle neuroscienze hanno invece ritenuto che anche la dimensione "spirituale" degli esseri umani sarebbe espressione di processi neuronali. Il libro si confronta con questi orientamenti per verificare se quanto la tradizione ci ha lasciato in eredità sia da abbandonare o non piuttosto da interpretare come utile strumento per riaffermare l'originalità dell'essere umano tra i viventi. L'obiettivo che l'autore si prefigge è anzitutto metodologico: di fronte al fenomeno umano qual è la spiegazione che meglio corrisponde all'aspirazione al trascendimento che anche la cultura e la tecnica testimoniano? Il confronto si sviluppa a partire dai grandi pensatori del passato - in particolare Tommaso d'Aquino - e dalla ricerca esegetica attuale.
Nella vita della Chiesa è tornato in forma dirompente il tema della sinodalità. Questa rinnovata attenzione è dovuta alla riscoperta della partecipazione alla missione di Cristo nel mondo: il Concilio Vaticano II ha affermato che tutti i fedeli hanno il sensus fidei e quindi non soltanto possono contribuire a testimoniare la fede, ma anche a decidere gli orientamenti dottrinali e pastorali da assumere per custodirla e realizzarla. Questo riconoscimento ha risvegliato nella Chiesa cattolica la consapevolezza dell'utilità del Sinodo come strumento di attuazione della collegialità episcopale ed espressione della communio e della concordia che lo Spirito Santo crea nella Chiesa. Nel corso degli ultimi cinquant'anni l'istituzione fondata da Paolo VI ha trovato uno sbocco nel magistero di papa Francesco, che la descrive innanzitutto come esercizio di ascolto dal quale nessuno dei fedeli può essere escluso, in virtù dell'azione dello Spirito che opera in essi, rendendoli corresponsabili della missione e connaturali alla realtà divina. In quest'ottica la sinodalità produce nuove sfide per il futuro, richiede conversione e riforma per far sì che la Chiesa assuma un nuovo volto.
Fin dall'antichità risuona il dilemma:perché Dio ci fa o ci lascia soffrire? Se il non credente attribuisce le ragioni della sua sofferenza all'essenza della condizione umana, alla responsabilità delle persone, all'incompiutezza del mondo; per colui che crede l'interrogativo diviene un quesito di difficile risoluzione. Il libro, partendo dalla tradizione cristiana, elabora una riflessione critica che esclude le più comuni risposte: Dio non ci punisce dalle colpe, non educa tramite la sofferenza, non rende partecipi della salvezza del mondo. Di fronte al male sono possibili atteggiamenti diversi: dalla negazione dell'esistenza di Dio, alla rivolta nei suoi confronti; la protesta e la resa; fino a quello più sapiente, l'accettazione del limite e l'affidamento al Mistero, che è la vera cifra della realtà di Dio.
Giacomo Canobbio è docente di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale. Tra le sue pubblicazioni per Morcelliana: Dio può soffrire? (2006); Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua ricezione (2007); Il destino dell'anima. Elementi per una teologia (2009); Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico (2017); Fine dell'eccezione umana? La sfida delle scienze all'antropologia (2018); Quale riforma per la Chiesa? (2019).
La Chiesa si presenta come un'istituzione che, pur fondata sul ministero della manifestazione di Dio, è costantemente sottoposta allo scorrere del tempo, a processi di trasformazione indotti sia dalle necessità della missione sia dai comportamenti di chi la forma e dagli orientamenti di chi la governa. Essa subisce le incursioni della storia e si sviluppa talvolta guardando al passato e alla sua forma originaria, talvolta proiettando la propria identità nel futuro, prestandosi a tentativi di riforma che implicano mutamenti nei costumi, nella dottrina e nelle strutture organizzative. Il testo analizza il percorso di un'istituzione che per definizione è semper riformando, come si coglie dai tentativi della Riforma luterana, del Concilio di Trento e del Vaticano II, e da quelli oggi messi in atto grazie a Papa Francesco, che chiama tutti i fedeli a diventare protagonisti del rinnovamento che il Vangelo e il mondo attuale richiedono.
Confrontarsi con alcuni orientamenti delle neuroscienze significa accettare che siano messe in discussione le acquisizioni della tradizione filosofica e teologica, secondo le quali gli esseri umani si stagliano al di sopra di tutti gli esseri viventi perché, essendo dotati anche di un principio spirituale, costituiscono il confine tra il mondo dello spirito e quello della materia. Ma per comprendere il fenomeno umano basta attenersi all'indagine scientifica? Nessuna demonizzazione dei saperi scientifici, piuttosto un tentativo di comprendere i dati che essi offrono alla teologia, la quale ha la convinzione di dare un contributo per la custodia dell'essere umano da ogni possibile manipolazione cui lo si esporrebbe qualora lo si considerasse soltanto un vivente tra gli altri.
Si può ancora parlare di "laici", se il rapporto con il mondo e quindi l'indole secolare è caratteristica di tutta la Chiesa? La figura del laico cristiano è soltanto il frutto di una stagione teologica superata, o rappresenta una modalità tipica di realizzazione della vocazione cristiana? La laicità è un valore in se stessa o è una pura astrazione? Interrogativi a cui, in questo volume, si cerca di rispondere ripercorrendo la storia del modo nel quale i laici sono stati considerati nella riflessione ecclesiologica, per giungere alla conclusione che il laico è una figura teologica del tutto legittima, una forma particolare di realizzarsi della vocazione cristiana.
Credere è un'esperienza quotidiana, almeno nella sua declinazione di semplice "fiducia", ma appare sempre più difficile avere "fede": mentre la prima ne è l'accezione secolarizzata, quest'ultima implica un affidamento totale alla trascendenza. Se poi ci si riferisce al Dio cristiano, il salto della fede è vertiginoso: un uomo di Nazareth è il Dio incarnato nella storia per salvarci. La problematicità della corrispondenza fra questa credenza e il vero si avverte specialmente di fronte alla crescente complessità culturale e religiosa del contesto in cui viviamo, che rende difficile l'elaborazione di argomenti in giustificazione della fede. Il libro riporta i colloqui epistolari tra una persona che non riesce a decidersi di credere, perché non trova ragioni plausibili, e un teologo. Un dialogo dove lo schema domanda/risposta si dissolve nel comune interrogarsi circa il senso ultimo del vivere, sporgendosi oltre la frontiera che apparentemente divide pensare e credere.
DESCRIZIONE: Perchè parlare ancora della morte? Sembra si stia passando dalla rimozione – operazione intellettuale che aveva trovato nella famosa Lettera a Meneceo l’espressione più icastica – alla fattiva negazione. La rivoluzione antropologica che in tale tentativo si manifesta è evidente: se agli umani sono dati intelligenza e potere, perché non usarli per sconfiggere il nemico principale dell’intelligenza e del potere? La vittoria sulla morte non è forse il sogno che nel corso della storia dell’umanità si è inseguito, anche mediante i riti funebri e la connessa fede nella prosecuzione della vita in un’altra dimensione? E non sarebbe questo il modo per affermare la grandezza degli umani, finalmente liberati dal soggiogamento ai processi naturali?
A queste domande tenta di rispondere il volume, introducendo al tema in diverse prospettive. Alla lettura di un breve testo della Lettera agli Ebrei (2,14-15) – con cui mons. Luciano Monari illustra come Gesù Cristo con la sua solidarietà abbia liberato dalla paura della morte – segue un’analisi storico-teologica del n. 18 della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes, in cui il mistero della morte emerge dalla concezione cristiana dell’essere umano.
Diversi sono i modi in cui il tema della morte si declina: dalla morte di Cristo come “meccanismo vittimario”, sulla scorta di René Girard, che permette di vedere la sua morte come via per l’attuazione del Regno di Dio, al tema della morte in relazione all’autonomia della dottrina morale e al problema della sua origine, con attenzione all’esegesi di Sap 1,13. Ma il tema della morte investe anche i limiti e le prospettive del genere letterario dell’Ars moriendi, o preparazione alla morte, come viene trattata ad esempio in Roberto Bellarmino. Infine una sezione è dedicata alla liturgia, ove la preparazione alla morte assume la forma dell’invocazione e la musica diviene tramite del messaggio cristiano sulla morte. Ma la morte non è identica per tutti; al variare delle condizioni vitali delle persone, ne mutano le definizioni: per questo è opportuno riflettere anche sulle trame “serie” che, in riferimento ai recenti dibattiti, stanno dietro a classificazioni quali “disponibilità-indisponibilità” della vita.
COMMENTO: Il volume n. 19 dei Quaderni Teologici affronta il tema della morte dal punto di vista dell'Antico Testamento, del Nuovo Testamento, della teologia e della spiritualità.
GLI AUTORI sono tutti docenti del Seminario di Brescia.
Con la parola anima (ebraico nefeš, greco psyché) la teologia cristiana, permeata dalla cultura ellenistica, ha pensato, insieme, l’identità dell’uomo e il suo destino ultimo. Regge questo modello antropologico di fronte alle scoperte delle neuroscienze, con il loro ridurre a «mente» ogni funzione spirituale? Un riduzionismo naturalistico che rappresenta la sfida dalla quale parte questo libro per ripensare la funzione e il significato del concetto di anima. Un ripensamento della tradizione nelle sue molteplici voci (la Scrittura, i Padri, Tommaso, i documenti del Magistero, il dibattito teologico contemporaneo), che diventa rivisitazione della classica antitesi dell’escatologia cristiana: «immortalità dell’anima o risurrezione dei corpi?». L’ipotesi è che questo concetto possa, ancor oggi, render conto del rapporto dell’uomo con sé, con gli altri e con Dio: «L’anima è l’uomo nel suo volgersi consapevole al principio e al fondamento del tutto».
Il tema scelto per questo volume è diventato acuto negli ultimi decenni, soprattutto a causa di due fattori: la crescente consapevolezza dei limiti del metodo storico-critico e la diffusione di letture fondamentaliste. I due fattori si innestano nell'assunzione di nuovi metodi di lettura che fanno riferimento alla narratologia, alla semiotica e alla retorica. Tali metodi non rendono obsoleto il metodo storico-critico. Ma l'interpretazione è atto complesso, come gli studi recenti sull'ermeneutica hanno messo in evidenza e già la cultura classica aveva rilevato. In quanto complesso, è atto "aperto" il cui scopo è di "aprire" il testo per fargli svelare la molteplicità di significati che racchiude. L'interpretazione della Scrittura però non può non rispettare il carattere di questo libro: da qui il limite del necessario metodo storico-critico. Se da esso non si può prescindere, esso non basta. Il suo carattere di attestazione della rivelazione comporta che si legga la Scrittura come "lettera" rivolta da Dio al popolo/Chiesa e quindi da accogliere nella fede. In queste pagine si cerca di offrire un contributo alla comprensione e alla soluzione del problema dell'interpretazione della Scrittura che è nato con la Scrittura stessa.
DESCRIZIONE: La teologia cristiana delle religioni è diventata negli ultimi decenni il crocevia di molte questioni teologiche. Tra queste, sebbene nella letteratura recente sia lasciata al margine, quella della funzione salvifica della Chiesa occupa un posto di prim’ordine. Ciò nonostante, secondo l’opinione vulgata riaffermare la mediazione salvifica universale della Chiesa significherebbe tornare a una forma di imperialismo, incapace di riconoscere che tutte le tradizioni religiose sono per i loro aderenti luogo e strumento di salvezza. In molte riflessioni teologiche, stimolate e pure "arginate" dal Magistero della Chiesa cattolica, sul rapporto tra il cristianesimo/la Chiesa e le religioni ci si è richiamati al concilio Vaticano II (1962-1965), vedendo in esso una svolta. Il "fantasma" si aggirava anche nell’aula conciliare e continua a suscitare interrogativi in molte coscienze: si può sostenere che tutte le tradizioni religiose si equivalgono? Se così è, che ne è della "pretesa" cristiana di aver ricevuto in custodia per tutto il genere umano la rivelazione di Dio compiutasi in Gesù Cristo? Che ne è dell’affermazione, lungo i secoli più volte ripresa e reinterpretata, della necessità della Chiesa per la salvezza? Il dialogo richiede che si rinunci alla coscienza di verità? Siccome il Vaticano ii resta l’intervento più autorevole del Magistero cattolico nell’ultimo secolo, a esso e alle interpretazioni cui è stato sottoposto si presta qui singolare attenzione per verificare se esso permetta le "aperture" che gli si attribuiscono. La consapevolezza che il Concilio non ha voluto rispondere a tutti gli interrogativi posti dall’attuale congiuntura teologica spinge a tentare un’ipotesi di soluzione che tenga conto delle proposte avanzate negli ultimi due decenni e, nello stesso tempo, mantenga il senso della tradizione precedente.
COMMENTO: Una riflessione teologica sul rapporto tra Chiesa cattolica e le altre religioni dopo il Concilio Vaticano II, in particolare sul concetto di salvezza universale.
GIACOMO CANOBBIO, già presidente dell’Associazione Teologica Italiana, è docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e lo Studio teologico Paolo VI di Brescia. Tra i curatori dei «Quaderni teologici», presso la Morcelliana ha pubblicato: Laici o cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico (1997); Dio può soffrire? (20062). Tra le sue opere ricordiamo: Chiesa perché. Salvezza dell’umanità e mediazione ecclesiale (San Paolo 1994); I documenti dottrinali del Magistero (Queriniana 1996).