Nell'immaginario collettivo gli anni Sessanta sono definiti "favolosi": l'Italia, superato definitivamente il dopoguerra, si lanciava con gioia e ottimismo verso un futuro che appariva radioso. In questo racconto, Alfio Caruso ci fa rivivere in presa diretta l'anno speciale con cui inizia il decennio. E il 1960 vanta una crescita economica impressionante: il Pil tocca il record del +8%, oltre il 50% delle famiglie si avvia a possedere un frigorifero e un televisore (venduti al ritmo di 1500 al giorno) e spopolano le due utilitarie della Fiat, la 500 e la 600. Il sentimento generale è ben rappresentato da Domenica è sempre domenica, il motivetto che conclude Il Musichiere, la trasmissione televisiva di maggior successo. È anche l'anno delle Olimpiadi di Roma, quelle della corsa trionfale a piedi nudi di Abebe Bikila nella maratona e di Berruti nei 200 metri. Per il cinema italiano è un momento straordinario, in cui escono, tra gli altri: La dolce vita di Fellini, prima accolto da polemiche e poi acclamato a Cannes, Rocco e i suoi fratelli di Visconti e La ciociara di De Sica con l'oscar alla Loren. Ma non solo: è l'anno della trasmissione più importante della storia della Rai, Non è mai troppo tardi, condotta dal maestro Alberto Manzi, l'anno delle prime tribune elettorali, dell'elezione di Kennedy... E Il cielo in una stanza, portato al successo da Mina, è la perfetta colonna sonora di un anno caratterizzato da speranza, ottimismo e gioia di vivere. 1960.
Non vi è forse popolo, tra le genti che affollano lo stivale, che più dei siciliani abbia dato alla storia patria grandi geni e, insieme, grandi criminali, sublimi scrittori e altrettanto eccelsi malfattori, sofisticate menti politiche ed efferati attentatori del bene pubblico. Questo libro perciò si guarda bene dall'avanzare una qualsiasi tesi sulla loro impenetrabile identità. Esso narra piuttosto di alcuni personaggi che hanno il pregio di esporre in maniera esemplare il "mistero della sicilitudine". Da Federico stupor mundi a Tomasi di Lampedusa che, in ossequio alla ferrea regola dell'odio vigilante, scrisse il suo capolavoro per dare una lezione a De Roberto, accusato di aver raccontato, con "I viceré", la nobiltà spiata dal buco della serratura; da Telesio Interlandi improbabile cantore del razzismo mussoliniano con tanto di prezzario degli aggettivi a Luigi Pirandello che della sicilianità esprime al massimo grado la goduria di farsi la guerra da solo ("Il fu Mattia Pascal"), e la consapevolezza che il manicomio sia il nostro habitat naturale ("Sei personaggi in cerca d'autore"); Ettore Majorana convinto estimatore del nazismo a Giuseppe Peri oscuro vicequestore angariato, insultato e fatto morire di crepacuore per aver denunciato in grande anticipo la strategia della tensione; dai fratelli Lanza di Trabia saltellanti fra i Ciano, Eisenhower e Togliatti per difendere feudi e privilegi a Vito Guarrasi signore incontrastato e sconosciuto di cinquant'anni di potere in Italia.
Nel luglio 1942 l'Armata italiana in Russia contava circa 230.000 uomini, più veicoli, carri, materiali vari e animali. Per il trasporto furono necessari duecento convogli ferroviari. In seguito all'offensiva sovietica del dicembre di quell'anno, cominciò una disastrosa ritirata che continuò per centinaia di chilometri nella sterminata pianura russa: ogni giorno duri combattimenti falciarono migliaia di soldati. Il resto, e fu il più, lo fece il gelo. Male armati, peggio equipaggiati, in condizioni disumane, 70.000 vennero fatti prigionieri: la maggior parte morì di stenti nei campi di prigionia.