Alto, capelli (che furono) fini e chiari, un pallore quasi cadaverico, palpebre e baffi cascanti, naso aquilino. Aspetto apatico, andamento pigro e indolente, aria annoiata, tempra aristocratica, "in gran parte simile a quella dell'anarchico". Horne Fisher, rispettabile membro della buona società inglese, cresciuto in mezzo a primi ministri e politici illustri, inizia la propria carriera come segretario personale di Sir Walter Carey, ufficiale del Governo irlandese e suo parente. Proprio al servizio di Sir Carey si ritroverà accidentalmente coinvolto nella sua prima avventura da "investigatore non ufficiale". Sì, non ufficiale, perché Horne Fisher non è un professionista del crimine ma un uomo che, oltre quel muro di ostentata indifferenza, nasconde capacità analitiche fuori dal comune e curiosità e sensibilità sovraumane "nel comprendere le circostanze" e l'animo umano. Da quella prima esperienza irlandese, Horne Fisher comprenderà quanto il crimine possa essere oscuramente intrecciato con la legge e da lì in avanti, per tutta la vita, si ritroverà ad avere a che fare con faccende similmente oscure, appesantito dall'onere di "sapere troppo", di conoscere il lato squallido e la corruzione delle alte sfere, di cui lui stesso fa parte.
Che cosa accadrebbe se il re d'Inghilterra venisse eletto tramite un sorteggio? E se a essere sorteggiato fosse un bislacco funzionario governativo in frac, Auberon Quin, dotato di un sulfureo senso dell'umorismo e di un gusto particolare per l'epoca feudale? E che cosa accadrebbe se a condurre questo gioco narrativo fosse Gilbert K. Chesterton? Re Auberon conferisce ai quartieri di Londra la dignità di città-stato e un ragazzo dai capelli rossi di Notting Hill, Adam Wayne, prende1 talmente a cuore le burle del re che per contrastare il progetto di una strada che attraversa il suo quartiere scatena una vera e propria guerra con gli altri boroughs londinesi. L'unico modo per sconfiggerlo sarà affrontarlo sul suo stesso terreno. Con il suo spirito incline al paradosso e all'ironia, Chesterton imbastisce una farsesca allegoria sulla condizione dell'uomo, costretto a domandarsi se il mondo è uno scherzo di Dio e se lui deve stare al gioco seriamente, oppure scherzare, a sua volta, fino alla morte.
Quattro memorabili (e quasi dimenticati) racconti, pubblicati insieme all'edizione del 1922 de "L'uomo che sapeva troppo", in cui Chesterton fa quello che sa fare meglio: intessere storie di intrighi e affascinanti misteri, ricche di atmosfera e colpi di scena, che portano sempre a un cruciale risvolto filosofico. Si passa dalla costruzione del "paesaggio morale" de "Gli alberi della superbia", in cui Chesterton riprende uno dei temi a lui più cari, ovvero l'esaltazione dell'umile (in quanto, come fa dire a Padre Brown, "Le altezze sono fatte perché le si guardi dal basso, non dall'alto"), al "tesoro" di una poetessa dagli occhi pieni di "un'ambizione del tutto spirituale" de "Il giardino di fumo"; dall'uomo ucciso due volte ne "Il cinque di spade", al furto di diamanti de "La torre del tradimento". Ma non è tutto qui, ovviamente. La scrittura di Chesterton richiede un certo impegno per essere compresa e apprezzata a fondo, ma pochi possiedono la sua felicità di linguaggio, la sua efficacissima compendiosità, il suo gusto per il paradosso, la sua capacità di identificarsi con l'anima di coloro che appaiono malvagi.
In un imprecisato villaggio della campagna dell'Inghilterra occidentale, un colonnello in pensione, rispettabile e attraente, se ne va in giro con un cavolo per cappello. Un romantico avvocato dà fuoco al Tamigi. Un aviatore professionista, con l'aspetto di un poeta, fa volare i maiali. Uno sfuggente reverendo cavalca un elefante bianco. Un milionario americano in trasferta, innamorato del "paesaggio feudale inglese", regala la terra ai suoi fittavoli. Un astronomo scopre una mucca che salta sulla luna. Un comandante costruisce castelli in aria. A prima vista, i personaggi di questi racconti, tutti sodali della Lega dell'Arco Lungo, potrebbero sembrare un po' eccentrici ma, come ci svela uno di loro, non si può essere eccentrici senza un centro e in effetti è il mondo che continua a muoversi e a modificarsi mentre noi stiamo fermi. La Lega dell'Arco Lungo vuole proteggere la terra e distribuire la proprietà ai piccoli agricoltori, e lo farà mettendo in atto una vera e propria rivoluzione che si nutre e si esprime in paradossi e nonsense, per rovesciare il punto di osservazione sul mondo e per svelare l'inganno e la corruzione dei potenti, cercando di trovare nuovi modi per fare ciò che di "vecchio" è ancora praticabile e giusto. Alcuni critici hanno bollato questi racconti come "distribuzionisti", sostenendo che l'autore avesse sacrificato la sua creatività a favore della sua agenda politica.
In una pensione sulle colline di Londra arriva all'improvviso un vento impetuoso che scuote ogni cosa, compresi gli ospiti un po' annoiati che vi alloggiano. E porta sulla scena uno strano individuo: Innocent Smith, un gigante scomposto, allegro, rumoroso, eccentrico, forse un po' matto. Anzi, magari è un pericoloso criminale, visto che in sua presenza accade di tutto: pistolettate, una violazione di domicilio, rapimenti di innocenti fanciulle, un tumultuoso processo. E magari non è neppure da solo quando compie le sue azioni dirompenti. Per dichiarare guerra a tutto ciò che spegne una sana meraviglia verso l'esistere non basta l'azione isolata e solitaria di un singolo, occorre un'incursione congiunta: un complotto di famiglia. Chi è l'Uomovivo? O, meglio, chi sono? Chesterton è davvero al suo meglio in questo romanzo "filosofico" pubblicato nel 1912, ma che mantiene intatta, dopo oltre cento anni, la sua carica lietamente eversiva nei confronti di ogni specie di conformismo e di tutte le idee troppo ovvie per essere vere. Dale Ahlquist ricorda Edoardo Rialti nell'Introduzione - una volta mise i lettori saggiamente in guardia: "Quanto più leggi Chesterton, tanto più ti sottoponi allo spaventoso pericolo di vedere le cose per la prima volta". Prefazione di Edoardo Rialti.
Nel 1905, all'età di trentun'anni, Gilbert Keith Chesterton riunisce in un unico volume gli articoli scritti per il liberale "Daily News". Nasce così Eretici, in cui il "principe del paradosso", facendo sfoggio di tutta la sua tagliente ironia, passa al vaglio le più importanti figure del suo tempo, in particolare del mondo della letteratura e dell'arte: Rudyard Kipling, Gorge Bernard Shaw, H. G. Wells, James McNeill Whistler. Ciò che soprattutto gli interessa è però combattere le "eresie" di cui si fanno banditori o interpreti e che si riflettono in quelli che l'autore identifica come i grandi mali della modernità: la cieca fede nel progresso, lo scetticismo, il determinismo, la negazione dell'esistenza di Dio e dei valori fondamentali del cristianesimo. Frutto di un sapiente dosaggio di umorismo e buon senso, "Eretici" suscitò le ire di alcuni critici, perché condannava le filosofie coeve senza fornire alternative. Lo scrittore inglese decise quindi di replicare qualche anno più tardi con un altro celebre titolo, "Ortodossia", di cui questo resta l'essenziale premessa. Prefazione di Roberto Giovanni Timossi.
Alto, capelli (che furono) fini e chiari, un pallore quasi cadaverico, palpebre e baffi cascanti, naso aquilino. Aspetto apatico, andamento pigro e indolente, aria annoiata, tempra aristocratica, "in gran parte simile a quella dell'anarchico". Horne Fisher, rispettabile membro della buona società inglese, cresciuto in mezzo a primi ministri e politici illustri, inizia la propria carriera come segretario personale di Sir Walter Carey, ufficiale del Governo irlandese e suo parente. Proprio al servizio di Sir Carey si ritroverà accidentalmente coinvolto nella sua prima avventura da "investigatore non ufficiale". Sì, non ufficiale, perché Horne Fisher non è un professionista del crimine ma un uomo che, oltre quel muro di ostentata indifferenza, nasconde capacità analitiche fuori dal comune e curiosità e sensibilità sovraumane "nel comprendere le circostanze" e l'animo umano. Da quella prima esperienza irlandese, Horne Fisher comprenderà quanto il crimine possa essere oscuramente intrecciato con la legge e da lì in avanti, per tutta la vita, si ritroverà ad avere a che fare con faccende similmente oscure, appesantito dall'onere di "sapere troppo", di conoscere il lato squallido e la corruzione delle alte sfere, di cui lui stesso fa parte.
Un testo che con lucida ragionevolezza e disarmante ironia getta luce sulla condizione moderna dell'uomo e della società, riguardo a cui si chiama sempre in causa la parola crisi, il più delle volte con dimessa rassegnazione. Cento anni fa Chesterton considerava i disastri portati dalla disuguaglianza economica, dalla separazione delle famiglie, dalla rovina del sistema educativo, dalla violazione delle libertà fondamentali, in nome dell'idolatria dello Stato e di quella del profitto. Sono le piccole cose ordinarie le grandi aspirazioni dell'uomo ad esser messe in pericolo: l'uomo comune non chiede altro che un matrimonio d'amore, una piccola casa, professare in pace la propria religione, diventare nonno, godere del rispetto e della stima dei suoi simili e morire di morte naturale. Chesterton sfida il mondo a compiere un passo indietro: non quello di un uomo impaurito che si sottrae alla battaglia, ma quello dell'uomo tutto intero che per buttarsi nell'avventura della vita non ricorre a ricette ideologiche e utopiche sul progresso, ma sta ancorato con saldezza e con audacia alle realtà originarie che sono alle sue spalle.
Il lettore ha tra le mani il frutto delle conversazioni svolte da Chesterton sul programma radiofonico della BBC tra l'autunno del 1932 e la primavera del 1936. È corretto parlare di frutto perché il volume non raccoglie solo le trascrizioni delle trasmissioni radiofoniche pubblicate sul settimanale della BBC, The Listener (rimasto in vita sino al 1991), ma anche di ciò che esse generarono e cioè le lettere e soprattutto una partecipazione viva dei lettori-ascoltatori, le risposte di Gilbert e i contributi polemici originati dalle trasmissioni di Chesterton. È un errore considerarlo un polemista. Era in realtà un amante della Verità in ogni sua possibile veste e declinazione. Questa raccolta lo dimostra. Al di là dei fuochi d'artificio che legittimamente si concedeva, dell'umorismo piacevole e frizzante che praticava con larghezza, Gilbert aveva l'"arma segreta": entrava davvero nelle case e soprattutto nei cuori delle persone. Introduzione di Marco Sermarini.
In un piccolo giardino londinese, sotto un cielo dal tramonto infuocato, comincia l'avventura del poeta Gabriel Syme, che, da quel momento, attraversa una notte dell'anima, un vero e proprio incubo popolato di colpi di scena, figure inquietanti, duelli e fughe rocambolesche. Anche nelle storie poliziesche più geniali e ardite c'è uno sfondo solido su cui s'innestano enigmi e incidenti; in questo caso Chesterton ha osato portare l'enigma a tutto campo. Chi c'è dietro il Grande Consiglio Anarchico e chi è a capo di Scotland Yard? Chi è l'alleato e chi è il nemico? Qual è il volto dietro la maschera? Impugnando la spada del coraggio, della ragione e dell'affetto va combattuta la più vitale delle battaglie, quella di chi è pronto a mettere sottosopra cielo e terra per guardare negli occhi il mistero originale del mondo. "Il male è così malvagio da farci pensare che il bene sia solo un caso; ma il bene è così buono da darci la certezza che dev'esserci una spiegazione per il male." (G. K. Chesterton)
Poche opere di Chesterton hanno la felice ispirazione di questo denso e arguto testo sulla cultura medievale e su Geoffrey Chaucer, il "padre della letteratura inglese", che fu uno dei suoi massimi rappresentanti. Chesterton rievoca alla sua maniera - libera, ironica, pungente - questa poliedrica figura di scrittore, poeta, funzionario di corte e diplomatico morto nell'anno 1400, di cui poco si sa, oltre al fatto che scrisse "I racconti di Canterbury" e si mosse da protagonista discreto sullo scenario europeo durante la Guerra dei Cent'Anni. Chaucer ci ha lasciato scritto che era grasso, che era pigro nell'alzarsi dal letto, che prediligeva le circostanze in cui poteva far la figura dello sciocco, che si pensava di lui che schivasse i suoi vicini a causa della sua mania per i libri... sembra l'autoritratto di Chesterton, che si riconosceva profondamente in questo erudito non paludato, spirito indipendente e curioso, razionale e sentimentale, autorevole e giocoso. Ma soprattutto, cattolico. Agli occhi di Chesterton, Chaucer incarna l'universalità della cultura cristiana e la ricchezza del suo umanesimo, elementi fondativi del medioevo e tutt'altro che inutili oggi. Il medioevo raccontato in questo libro è un'epoca straordinaria sul piano dell'arte e della spiritualità, che non può essere ridotta a una sorta di parentesi magari suggestiva, ma in fondo un po' estranea al corso della storia dell'uomo occidentale. Prefazione di Edoardo Rialti.
Una breve storia d'Inghilterra non è un testo per specialisti ma l'intervento di uno dei più importanti intellettuali del tempo che sente il bisogno di scrivere per illuminare il lato nascosto, dimenticato della storia del suo Paese. Due i bersagli polemici scelti: il primo si connette alla falsa origine anglosassone del popolo inglese sovrapposta dagli storici dell'Ottocento, con un'abile operazione culturale, al passato romano e cristiano, il secondo concerne il controverso ruolo assunto dall'aristocrazia nel Settecento; se per un verso fu la protagonista della definitiva affermazione del parlamento e della costruzione dell'impero, per un altro legò sempre più le sorti del Paese alla Germania contribuendo al definitivo distacco dell'Inghilterra dalle sue origini cristiane.