Costruito come dialogo, il "De Repubblica" è uno dei testi fondamentali dell'intero corpus ciceroniano. Un testo di filosofia politica che analizza in maniera sorprendentemente attuale le possibili forme del governo e le sue altrettanto possibili degenerazioni. Cicerone riflette sulla natura della monarchia, sempre a rischio di trasformarsi in tirannide, sull'aristocrazia e sulla sua deriva in oligarchia, sulla democrazia che può scadere in demagogia. Ma si concentra anche sull'idea di giustizia e sulla sua pratica, all'interno dello stato e nei rapporti internazionali, sulla costituzione romana nel suo sviluppo storico e sulla figura dell'uomo di governo ideale, il princeps, colui il quale sacrifica l'interesse individuale a vantaggio di quello collettivo.
La celebre orazione in cui Cicerone, rientrato a Roma dall'esilio, difende il proprio operato politico, introdotta, tradotta e commentata da Emanuele Narducci. Testo latino a fronte.
Scrivendo il "De oratore", nel 55 a.C., Cicerone mirava non solo a valorizzare la sua figura in un momento di eclissi politica, sotto l'incombere del potere dei triumviri, ma a definire un progetto culturale, inteso a rafforzare e mantenere il prestigio del ceto aristocratico. L'eloquenza era a Roma la disciplina dominante, connessa con la prassi politica e civile. Cicerone, che ne era autorevole esponente, ne illustra i precetti sulla traccia di un nuovo statuto. Emanuele Narducci, con la sua prefazione, guida il lettore a una approfondita comprensione dell'opera. Testo latino a fronte.
Il reato di concussione è il primo per cui si conosca l'istituzione di un apposito tribunale nella legislazione romana. Dinanzi a questo tribunale si celebrò nel 70 a. C. uno dei processi più clamorosi della vita pubblica romana. Imputato un senatore di nobile famiglia e di dubbia fama: Gaio Verre che, come governatore della Sicilia aveva angariato i provinciali con ogni genere di soprusi, fino a ridurre allo stremo l'economia dell'isola e la miseria degli abitanti. A sostenere l'accusa fu Cicerone che, ottenuta la condanna dell'imputato, pubblicò un'ampia trattazione in cui sviluppò gli argomenti dell'accusa.
La più spiritosa e divertente fra le orazioni ciceroniane nasconde un sinistro retroscena: le gravi imputazioni raccolte contro Celio, brillante oratore dalla verve ironica e crudele, vanno dalla scarsa integrità di costumi all'accusa di complicità con Catilina, fino al più infamante sospetto di omicidio a sfondo politico. La linea difensiva adottata da Cicerone lascia tuttavia in ombra l'insidioso sfondo politico per insistere soprattutto sui rancori personali di Clodia, l'amante abbandonata da Celio, donna potente e affascinante, "scandalosamente priva di inibizioni", che, secondo le parole di Cicerone, avrebbe orchestrato per vendetta il piano contro l'imputato. Il tono arguto e vivace, l'umorismo sottile e "un fascino inimitabile" fanno della Difesa di Marco Celio uno dei capolavori dell'oratoria di Cicerone.
Scritte tra il 65 e il 43 a. C., nell'arco del cruciale ventennio che vide la rovinosa e inarrestabile crisi della Repubblica, le "Lettere" di Cicerone costituiscono una testimonianza preziosa, anche se inevitabilmente parziale, della vita pubblica di quegli anni. Esponente di spicco del partito conservatore, Cicerone scrive ai familiari, agli amici e ai compagni di partito, rivelandoci le raffinatezze di un'élite ormai in declino ma anche gli oscuri retroscena della lotta politica, le trame segrete delle rivalità e delle alleanze e gli inevitabili maneggi su cui si fondava il potere. Luca Canali esplora nell'introduzione l'interiorità dell'uomo Cicerone; nella premessa al testo Giorgio Brugnoli analizza la carriera politica del grande oratore e il ruolo delle "Lettere" nell'insieme della sua opera.
Il dolore per le proprie perdite e la constatazione di trovarsi di fronte a una politica fatta di maneggi, dalla quale egli è escluso, sono i sentimenti che spingono Cicerone al ritiro e alla composizione di opere filosofiche, tra cui gli Academica, dedicati alle principali teorie gnoseologiche tra le scuole del tempo. Servendosi della formula del dialogo, Cicerone si interroga, con intellettuali come l'erudito Varrone e il generale Lucullo, sull'importanza del dubbio da esercitare contro il dogmatismo, sul concetto di vero e di falso, sulla definizione di saggio e sulle influenze dello scetticismo nell'Accademia platonica. Una fonte documentaria imprescindibile per la ricostruzione della storia del platonismo dal III al I secolo a.C. e per le notizie sulle altre principali scuole filosofiche, da quella scettica alla stoica. La storia travagliata dell'opera - composta e poi riscritta in breve tempo - non ci impedisce di apprezzare l'erudizione di Cicerone nel citare personaggi, dottrine e filosofi a lui contemporanei, di cui l'apparato di commento riporta approfondimenti del contesto storico-culturale in grado di soddisfare la curiosità del lettore moderno.
Questo celebre, fortunatissimo dialogo ciceroniano (Laelius de amicitia, 44 a.C.), che s'immagina condotto da tre illustri interlocutori, affronta argomenti di sempreverde attualità: che cos'è l'amicizia, da che cosa nasce e a quali fini tende, come deve essere vissuta al meglio, quali difficoltà può incontrare - per esempio, le differenze d'età o di condizione sociale - e di quali cautele conviene avvalersi in un rapporto che resta pur sempre delicato e complesso. La tesi di Cicerone, ispirata soprattutto a "fonti di orientamento platonico e stoico, è assai nota: contro certe posizioni utilitaristiche propugnate dagli epicurei, la vera amicizia è per lui, un sentimento del tutto disinteressato, un rapporto insostituibile che, dopo la sapienza, rappresenta il massimo bene cui l'uomo possa aspirare".