Tra le numerose ninfee dipinte da Claude Monet la migliore - secondo Charles Péguy (1873-1914) - non sarà l'ultima, frutto di un crescente apprendimento, bensì la prima, figlia dello stupore. Solo lo stupore, infatti, veramente conosce. Il resto è "sistema" rigido, è imporsi del "bell'e fatto", è invecchiamento prodromo della morte. Non è più avvenimento. Con questa rivoluzionaria impostazione Péguy ha guardato il "mondo moderno" denunciandone la forza avvilente, ha combattuto per la "città armoniosa", ha ritrovato la fede di quand'era bambino, ha vissuto da "cristiano della comune specie", ha cantato le meraviglie della "giovane speranza" e la grandiosa avventura di Eva/umanità. Ed è morto in battaglia, perché il rapporto con l'Eterno e con l'Infinito si gioca tutto nella brevità di un tempo e nella carnalità di uno spazio.
In mezzo all’enorme mare degli scritti di Péguy, qual è il punto essenziale? Péguy ha lasciato pagine memorabili di sofferta partecipazione al dramma degli esclusi, di penetrante critica dell’uso ridotto della ragione tipico del «mondo moderno», di veemente ribellione di fronte alla «mistica» rimpicciolita in «politica», di partecipata immedesimazione con passi del Vangelo, di passione per la propria patria: che cosa privilegiare? Péguy ci ha inoltre parlato in modo indimenticabile della «piccola speranza», della nobiltà del «lavoro ben fatto», della grazia che buca le corazze più dure ed è impotente di fronte alle «anime abituate», del padre che è «il più grande avventuriero della storia» e del bambino che è «l’innocenza» che non si recupererà mai più, di Dio quasi imbarazzato di fronte alla libertà umana. Tutto questo ruota attorno al punto infuocato riassunto dalla parola «avvenimento». Péguy, infatti, ci ha aiutato a ricordare che la dinamica dell’avvenimento è essenziale per ogni autentica conoscenza. Alain Finkielkraut lo aveva scritto anni fa e lo ha approfondito nell’intervista che ci ha concesso in occasione della mostra e che pubblichiamo integralmente in questo catalogo. Péguy ci ha anche ridetto, con splendore di parole taglienti, che il cristianesimo stesso è, supremamente, avvenimento e che ridurlo a qualsiasi altra cosa – discorso o morale, organizzazione o devozione, ricordo o utopia – significa immiserirlo fino al punto di soffocarlo.