Giuseppe Culicchia, dopo il longseller "Torino è casa mia", torna a esplorare e a raccontare un'altra città del suo cuore, Berlino. Cortili e grattacieli. Biergärten e torri della contraerea. Viali a sei corsie e sentieri nel bosco. Jugendstil e Bauhaus. Liberty e Gotico. Razionalismo Sovietico e Neoclassicismo. A Berlino tutto convive con tutto e con il contrario di tutto. Entrare a Berlino significa proiettarsi automaticamente nel passato, nel presente e nel futuro. A nessun'altra città europea riesce di far convivere questi tre piani temporali in modo allo stesso tempo armonico e contrastante. Passato, presente e futuro a Berlino si compenetrano in ogni dove e basta mettere piede in città per provare la sensazione di ritrovarsi in una sorta di capsula del tempo, capace di attraversare tutto il Novecento e insieme di scagliarci nel mondo che verrà.
Giuseppe Culicchia torna a rendere giocoso omaggio alla sua città, Torino, da sempre presente in un modo o nell'altro nei suoi libri, attraverso il canto del suo monumento simbolo: la Mole Antonelliana. Lo fa dando la parola al genio visionario di chi la concepì e le donò il nome, l'architetto Alessandro Antonelli. Un personaggio che attraverso un monologo teatralmente fluviale, intervallato dal coro formato da una coppia di turisti nella Torino contemporanea, ci fa toccare con mano l'ambizione che lo spinse a progettare il suo capolavoro e l'ostinazione con cui lo realizzò malgrado la ristrettezza di vedute di committenti e amministratori. Il tono è freneticamente creativo, postmoderno nel suo urlare "Voglio una Mole sopraelevata / Voglio una Mole come in Blade Runner / Voglio una Mole esagerata / Voglio una Mole come Daryl Hannah", ma allo stesso tempo fedele allo spirito di quello che lo stesso Culicchia chiama "un genio del tutto fuori sincrono rispetto ai suoi contemporanei, ma anche un noto caratteraccio".