Essere preti a Roma dopo il 1870 ha rappresentato una serie di nuove sfide. La città cambiava dimensione. Dall'essere un santuario universale della Chiesa cattolica riconosciuto a livello mondiale Roma era destinata a diventare la Capitale di un Regno giovane che voleva dare una nuova immagine della città: una «città della scienza» da contrapporre a quella dei papi. Ad alcune di quelle sfide hanno provato a rispondere anche i protagonisti dei ritratti di questo volume, preti spesso neanche romani per nascita, che hanno intrecciato la propria vita con quella della Capitale. Le figure presentate in queste pagine, pur costituendo solo una porzione del clero romano che ha accompagnato la vita della Capitale, danno conto di alcuni percorsi esemplari di uomini che nella comune vocazione hanno saputo declinare con creatività risposte diverse alle sfide che la storia di tempo in tempo gli proponeva. Le loro vite e le loro scelte ci forniscono, inoltre, uno sguardo particolare sulle vicende e sui cambiamenti degli ultimi centocinquant'anni della città.
Giulio Andreotti nei primi anni Sessanta era stato avversario della formula di centrosinistra ed all'inizio dei Settanta era contrario ad ogni apertura al PCI. Ma a metà del decennio, per volontà di Aldo Moro, fu chiamato a guidare i governi che si avvalsero dell'astensione e poi del sostegno esterno del PCI. Fu scelto, in uno dei momenti più difficili della storia della Repubblica, come garante della «solidarietà nazionale» nei confronti degli alleati occidentali e verso il fronte interno più problematico, quello della Chiesa cattolica. Ed è su questo tema che, in prevalenza, le pagine di questo volume fermano la loro attenzione. L'interlocuzione a vari livelli con il mondo cattolico permette di comprendere meglio quale sia stato lo sforzo di Andreotti per garantire all'esperimento uno spazio di evoluzione che si giovasse del riserbo della Chiesa e permettesse di contrastare gli avversari della collaborazione con i comunisti. Illumina, inoltre, l'atteggiamento dell'uomo politico nei confronti del PCI nel periodo della «solidarietà». Andreotti sostenne la validità di quella politica anche davanti alla Santa Sede, convinto che, dato il quadro parlamentare e la forza elettorale del PCI, la collaborazione dovesse assumere un carattere strategico per far fronte al risanamento economico-finanziario e rispondere alla minaccia terroristica che contava su una consistente area di fiancheggiamento e di consenso.