Europeo per nascita e per vocazione, cresciuto al crocevia tra Italia, Francia e Germania, Philippe Daverio ci accompagna in alcune riflessioni sul passato del vecchio continente e sulla sua eredità intellettuale. Si inserisce così nel dibattito politico attuale con la sua autorevole voce di storico dell'arte e antropologo culturale. Il presupposto è che l'Europa è la nostra casa comune, una condivisa visione del mondo, con uno stesso linguaggio artistico, musicale, architettonico e addirittura gastronomico. Partendo dal pensiero di alcuni grandi maestri dell'Ottocento e Novecento, tra cui Victor Hugo e Sir Winston Churchill, Altiero Spinelli e Paul Valéry, che hanno immaginato un'Europa unita, il discorso si sposta poi su alcuni periodi storici, come il Rinascimento carolingio o le corti del Settecento, per approfondire le differenze e le contaminazioni fra i vari Paesi. Alla fine si può quindi addirittura affermare, provocatoriamente, che "il senso dell'Europa sta anche nei sensi: guardiamo, ascoltiamo, sentiamo, annusiamo, mangiamo in modo diverso dagli altri popoli e in questo stanno le nostre radici comuni".
Il viaggio di un curioso attraverso alcuni momenti della storia, dell'arte e del carattere del nostro paese. Philippe Daverio ci offre un'originale chiave di lettura dell'italia e degli italiani di oggi.
Per quale motivo gli italiani sono così diversi dai cittadini d’oltralpe?
Con questa “autobiografia di un alsaziano che riscopre le proprie origini lombarde”, Philippe Daverio cerca di spiegare il nostro Paese a tutti gli stranieri che ci osservano stupiti, ma anche − soprattutto − a molti italiani. Ci racconta così di come le lotte intestine fra guelfi e ghibellini, la presenza del Papato, la frequenza dei terremoti hanno dato forma alla nostra mente e al territorio, di come il Sud si senta l'”ombelico del mondo” e di come i Savoia sono diventati re d’Italia. Attraverso i suoi occhiali di cittadino europeo per nascita e per vocazione, l’autore spiega inoltre tramite dicotomie le peculiarità e le differenze fra l’Italia e il resto del continente, ad esempio i concetti di “principe” e di “re” o di “campanile” e di “Heimat”. Un’indagine da “antropologo culturale”, divertente e piena di spunti inediti, che, anche attraverso le immagini, parte dalla storia e dalla storia dell’arte per rileggere la realtà di oggi e analizzare vizi e virtù del nostro Paese.
L'arte della prima metà del Novecento è un vorticoso susseguirsi di movimenti e "ismi". Difficile dunque definirla in un sistema chiuso e immutabile, meglio, e forse più giusto, cercare di catturarne lo spirito di molteplicità e di contaminazione continua attraverso un programma di mostre temporanee, percorsi visivi, tematici o storici che tengono conto di connessioni, rimandi e affinità tra artisti anche apparentemente lontani. Il secolo breve, racchiuso fra l'illuminazione elettrica del cielo di Parigi dall'alto della Tour Eiffel per l'expo del 1889 e il lampo devastante del fungo atomico a Hiroshima, ha forgiato il nostro immaginario di uomini contemporanei, frantumando le certezze del secolo lungo. Con queste esposizioni immaginate Philippe Daverio percorre strade poco battute, e si allontana dai consueti percorsi scolastici, cercando piuttosto assonanze e migrazioni, incontri reali o fantastici fra opere e artisti. Klimt, Balla, Kandinskij, Picasso e alcuni altri diventano così i cavalieri dell'arte, che hanno gettato i semi e inventato le "forme" del Novecento, e alcuni temi come la danza, l'ansia dell'uomo contemporaneo e la città, sono i luoghi, reali o ideali, che raccontano la "joie de vivre", la frenesia e la solitudine dell'esistenza nel XX secolo.
"Questo non sarà mai un libro di Storia dell'Arte, con le due auliche maiuscole, non assomiglia a uno di quei tomi scolastici che hanno forse lasciato tedio e sonnolenza sui banchi di scuola, ma è piuttosto un viaggio esoterico nelle storie dell'arte." Forte della sua esperienza di autore e conduttore televisivo, Philippe Daverio non è mai banalmente divulgativo, non intende semplificare fenomeni complessi, ma affronta le vicende degli artisti, delle opere e dei committenti secondo un metodo d'indagine che è diventato la sua cifra personale: sa guardare da lontano o accostarsi per vedere da vicino. Ogni suo nuovo libro è un'avventura che apre nuove prospettive. Il "metodo Daverio" è applicato in questo caso al Rinascimento. Il periodo fondativo della cultura e dell'arte italiana acquista così nuova freschezza e vivacità, prende le mosse dalla pittura di Giotto, "un fulmine nella storia dell'arte", e si conclude con quel "talentaccio e caratteraccio" di Caravaggio, attraversando la curiosità anarchica di Leonardo, i cagnolini di Tiziano, l'eccentrica sensualità di Parmigianino e i sussulti religiosi di Michelangelo. L'allontanamento dalle categorie canoniche della storia dell'arte e la pratica dello spostamento del punto di vista si rivelano in particolare nelle Daveriologie, pagine nelle quali la curiosità impertinente dell'autore affronta nuove strade di lettura, attraverso accostamenti insoliti di capolavori e artisti lontani nel tempo e nello spazio.