Ci sono animali liberi, cupi e selvatici, altri che cercano una mano morbida e un rifugio. In mezzo, tra l'ombra e il sole, scorre il fiume. I due fratelli sono Luigi e Alfredo, un larice e un abete: a dividerli c'è una casa lassù in montagna, ad avvicinarli il bancone del bar. E poi Betta, che fa il bagno nel torrente e aspetta una bambina. In questo romanzo duro e levigato come un sasso, Paolo Cognetti scende dai ghiacciai del Rosa per ascoltare gli urti della vita nel fondovalle. La sua voce canta le esistenze fragili, perse dietro la rabbia, l'alcol e una forza misteriosa che le trascina sempre più giù, travolgendo ogni cosa. Lungo la Sesia come in tutto il mondo, a subire il dolore dell'uomo restano in silenzio gli animali e gli alberi. Un padre ha piantato due alberi davanti alla sua casa, uno per ogni figlio. Il primo, un larice, è Luigi, duro e fragile, che in trentasette anni non se n'è mai andato dalla valle. Lui e Betta si sono innamorati facendo il bagno nelle pozze del fiume, tra le betulle bianche: ora non succede più così di frequente, ma aspettano una bambina e nell'aria si sente il profumo di un nuovo inizio. Lui ha appena accettato un lavoro da forestale, lei viene dalla città e legge Karen Blixen. L'altro albero è un abete: Alfredo è il figlio minore, ombroso e resistente al gelo, irrequieto e attaccabrighe. Per non fare più guai ha scelto di scappare lontano, in Canada, tra gli indiani tristi e i pozzi di petrolio. Ma adesso è tornato. Alfredo e Luigi in comune hanno due cose. La prima sta in un bicchiere: bere senza sosta per giorni, crollare addormentati e riprendere il mattino dopo, un bianco, una birra, un whisky e avanti ancora un altro giro, bere al bancone dove si scommette se l'animale che uccide i cani lungo gli argini sia un lupo, un cane impazzito o chissà cosa. Oltre all'alcol però c'è la casa davanti a quei due alberi. Adesso che il padre se n'è andato, Alfredo è tornato in valle per liberarsi dei legami rimasti: lui non lo sa, ma quella stamberga da un giorno all'altro potrebbe valere una fortuna. Col passo rapido e la lingua tersa dei grandi autori, Paolo Cognetti ha scritto il suo "Nebraska".
Un uomo "sempre presente a sé stesso, sempre domatore, che non s'arresta di fronte a nulla", capace di agire con coscienza e di non arrendersi alle allucinazioni collettive. A questo tipo morale si riferiva il "giovane prodigioso" Piero Gobetti, in lotta con il suo tempo. Per esplorare lo spazio della scelta, del dubbio etico, della costruzione di sé come individui, questo libro interroga storie di esseri umani di fronte a un bivio. Giovani temerari nella realtà e nel mito, figure della filosofia e della grande letteratura alle prese con decisioni radicali, estremiste, e soprattutto durevoli. Dagli interrogativi di Kierkegaard al "no" perentorio di un personaggio di Melville, da un Benjamin pressato dall'orologio della Storia a un Calvino in cerca di una strada coerente, il corpo a corpo con la propria identità appare senza uscita. E oggi? L'identità "allargata" e "aggiornabile" si traduce in un desiderio di vivere su più fronti insieme, perché scegliere davvero comporterebbe rischi e rinunce. Ma forse in ogni tempo c'è una via più difficile e impervia, per arrivare a essere, come voleva Gobetti, "sé stessi dappertutto".
«Se proprio dovessi, sceglierei la Tasmania. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l'uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un'isola, quindi facile da difendere. Perché ci sarà da difendersi, mi creda». "Tasmania" è un romanzo sul futuro. Il futuro che temiamo e desideriamo, quello che non avremo, che possiamo cambiare, che stiamo costruendo. La paura e la sorpresa di perdere il controllo sono il sentimento del nostro tempo, e la voce calda di Paolo Giordano sa raccontarlo come nessun'altra. Ci ritroviamo tutti in questo romanzo sensibilissimo, vivo, contemporaneo. Perché ognuno cerca la sua Tasmania: un luogo in cui, semplicemente, sia possibile salvarsi. Ci sono momenti in cui tutto cambia. Succede una cosa, scatta un clic, e il fiume in cui siamo immersi da sempre prende a scorrere in un'altra direzione. La chiamiamo crisi. Il protagonista di questo romanzo è un giovane uomo attento e vibratile, pensava che la scienza gli avrebbe fornito tutte le risposte ma si ritrova davanti un muro di domande. Con lui ci sono Lorenza che sa aspettare, Novelli che studia la forma delle nuvole, Karol che ha trovato Dio dove non lo stava cercando, Curzia che smania, Giulio che non sa come parlare a suo figlio. La crisi di cui racconta questo romanzo non è solo quella di una coppia, forse è quella di una generazione, sicuramente la crisi del mondo che conosciamo - e del nostro pianeta. La magia di "Tasmania", la forza con cui ci chiama a ogni pagina, è la rifrazione naturale fra ciò che accade fuori e dentro di noi. Così persino il fantasma della bomba atomica, che il protagonista studia e ricostruisce, diventa un esorcismo: l'apocalisse è in questo nostro dibattersi, e nei movimenti incontrollabili del cuore. Raccogliendo il testimone dei grandi scrittori scienziati del Novecento italiano, Paolo Giordano si spinge nei territori più interessanti del romanzo europeo di questi anni, per approdare con felicità e leggerezza in un luogo tutto suo, dove poter giocare con i nascondimenti e la rivelazione di sé, scendere a patti con i propri demoni e attraversare la paura.
Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell'Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni più recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell'esistenza del poeta, sia nell'attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati un'indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche.
Si fa presto a dire amare, ma quante sono le persone che possono dirsi innamorate sul serio? E quante quelle capaci di andare oltre l'innamoramento? Una cosa è certa: l'amore non può diventare un laconico messaggio lanciato nell'universo distratto, né può contare sulla probabilità che un'anima ne incroci un'altra nella notte dei giochi tecnologici. L'amore ha bisogno di essere contaminato, anche quando costa, anche quando sa di amaro e di lacrime. Sentimento «più dogmatico dell'amore» è l'amicizia, che non conosce sfumature di comodo, che è tutto o niente, e ha bisogno di ancora più coraggio dell'amore, perché richiede l'assoluta conquista dell'altro e la totale perdita di sé. Ultima tappa di questa guida amichevole sul sentiero della maturità affettiva è la felicità: per raggiungerla, dobbiamo impegnarci ad avviare una piccola rivoluzione della gioia e della positività. Perché essere felici può accadere molto più spesso di quanto immaginiamo, dobbiamo solo lasciare che accada.
Servono i superpoteri per amarsi tutta una vita, Anna e Marco lo sanno bene. Lei è una fumettista dal carattere impulsivo, nemica delle convenzioni; lui un professore di fisica convinto che ogni fenomeno abbia la sua spiegazione. A tenerli insieme è un'incognita che nessuna formula può svelare. Quante possibilità ci sono che le esistenze di due persone, sfioratesi appena in un giorno di pioggia, si incrocino per caso una seconda volta? Così poche da essere statisticamente irrilevanti, direbbe la scienza. Eppure ad Anna e Marco questo accade e riaccade. Ed entrambi si chiedono se a riavvicinarli di continuo sia un algoritmo, il destino o invece un sentimento tanto forte da resistere alle fughe improvvise, agli scontri, alla routine, alle incomprensioni e al dolore. Spostandosi avanti e indietro sulla linea delle loro esistenze, Paolo Genovese racconta gli istanti perfetti e i drammi di una storia d'amore bellissima, che sfida il tempo, fa riflettere e infine commuove. Una storia d'amore che solo due supereroi possono vivere.
Da sempre le grandi civiltà preclassiche dell'Oriente mediterraneo, dall'Egitto alla Mesopotamia, dall'Anatolia alla Siria all'Iran, sono state fonte d'ammirazione per l'imponenza colossale di celebri opere architettoniche, dalle Piramidi di Giza alla Torre templare di Babilonia al centro cerimoniale di Persepoli. Questa dimensione monumentale ha contribuito da sola a definire agli occhi dell'Occidente l'elemento distintivo e il limite fatale di tutta l'arte orientale antica, cioè la sua immutabilità e ripetitività ossessiva e straniante. Risalente a una sorta di età preistorica, l'espressione artistica di quelle civiltà, così dedita al meraviglioso, sarebbe stata del tutto estranea al rapporto con la Storia, che con le sue costanti trasformazioni sarebbe divenuta prerogativa fondamentale ed eccellenza dell'arte greca, romana e tardoantica. In realtà, nella prospettiva di Paolo Matthiae, proprio il ritratto, forma espressiva realistica e quindi storica tra tutte, costituì fin dagli inizi del III millennio a.C. una dimensione specifica di tutte le culture artistiche dell'Oriente antico. «Il ritratto è usualmente considerato un genere che, fin dalla civiltà etrusca, ha percorso tutta la storia dell'espressione artistica del mondo occidentale e che non ha conosciuto che rarissimi, inconsistenti e accidentali precedenti nel mondo orientale antico d'Egitto e d'Asia. Questo giudizio è non soltanto inaccettabilmente sommario, ma soprattutto non è per nulla corrispondente alla realtà, in quanto forme di rappresentazione che, pur molto approssimativamente, possono definirsi di ritratto, concepite e realizzate in relazione a definite visioni della natura - umana, divina o divinizzata - dei detentori del potere come maschere create in un complesso processo di comunicazione visiva di eccezionale rilievo per le società di quasi tutte le realtà statuali storiche - urbane, territoriali, nazionali, imperiali - dell'Oriente antico, sono ben documentate, con infinite varietà, lungo tre millenni di storia. Nelle pagine che seguono, per l'attenzione prestata alla restituzione dei collegamenti tra le opere artistiche e le concezioni dei ruoli istituzionali dei personaggi raffigurati, il tema del "ritratto" è trattato nella prospettiva di una sempre più avanzata storicizzazione dell'arte dell'Oriente antico».
Paul Temple è un giovane scrittore americano in visita a Venezia. Riservato e ambizioso, è in cerca dell'ispirazione per una nuova opera. Venezia è una meraviglia per gli spiriti affamati di bellezza: la laguna, le botteghe degli antiquari, le vetrine con i liuti rinascimentali, le passeggiate nel mercato, tra oche infuriate e tinozze che brulicano di anguille. In uno dei salotti cosmopoliti e artistici della città Mr Temple incontra Miss Annelien Bruins, occhi azzurri e una spolverata di efelidi sulle guance, pare la musa di un preraffaellita. La loro liaison amorosa si dispiega tra canali, dissertazioni sull'arte e persino una seduta spiritica. Ma Annelien ha un segreto, un mistero dal passato che rende lei infelice e il loro un amore impossibile.
L'epidemia di Covid-19 si candida a essere l'emergenza sanitaria più importante della nostra epoca. Ci svela la complessità del mondo che abitiamo, delle sue logiche sociali, politiche, economiche, interpersonali e psichiche. Ciò che stiamo attraversando ha un carattere sovraidentitario e sovraculturale. Richiede uno sforzo di fantasia che in un regime normale non siamo abituati a compiere: vederci inestricabilmente connessi gli uni agli altri e tenere in conto la loro presenza nelle nostre scelte individuali. Nel contagio siamo un organismo unico, una comunità che comprende l'interezza degli esseri umani. Nel contagio la mancanza di solidarietà è prima di tutto un difetto d'immaginazione.
Da almeno dodicimila anni abbiamo sviluppato tecnologie che hanno aumentato le nostre prestazioni fisiche e mentali, piegando l'ecosistema ai nostri bisogni alimentari e antropizzando il pianeta massicciamente. Ciò ha migliorato enormemente la qualità della vita ma ha generato tre debiti: economico e sociale (noto),ambientale (che comincia a essere noto) e cognitivo (poco noto, di cui iniziamo a renderci conto). Per nessuno di questi fenomeni preso isolatamente c'è una soluzione semplice. Tuttavia le prospettive di successo saranno molto maggiori se vi sarà una collaborazione intersettoriale: il trasporto pubblico e la riduzione del cibo-spazzatura hanno infatti un impatto sull'obesità, sul diabete, sull'inquinamento e perfino sul cambiamento climatico. Urge l'"internazionalismo": ciascuna di queste crisi trascende i confini nazionali e anzi richiede soluzioni globali. Questa constatazione è sorretta da forti prove scientifiche ed è tuttavia in stridente contrasto con i crescenti nazionalismi.
Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Opera di narrativa che prende spunto da un viaggio realmente accaduto, taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il saliscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Questo libro è un taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il saliscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza.