Chi è, oggi, il vero barbaro? È colui che insidia e minaccia la nostra civiltà? È l'altro da noi, è il diverso, è lo straniero? O l'autentica barbarie si annida, oggi più che mai, in questo nostro Occidente che reca anche nel nome l'annuncio del tramonto? Per i Greci, barbaros è in origine "colui le cui parole somigliano a un balbettio": è colui la cui lingua non si comprende. Servono secoli di propaganda perché il barbaro divenga, nell'immaginario collettivo, l'opposto del presunto uomo civile, il nemico contro cui condurre presunte "guerre di civiltà". O, peggio, "di pace". Più che mai attuali, dunque, le parole di un antico "barbaro" oppositore dell'imperialismo romano, di cui serba memoria Tacito: "il massacro e la rapina li chiamano 'impero', e dove fanno il deserto, la chiamano 'pace'". Più che mai attuali le accuse che i barbari Troiani, per voce di Euripide, rivolgono contro i Greci: "siete voi i veri barbari". Forse noi, non "barbari" ma malati di civiltà, siamo tornati nostro malgrado all'etimo del termine "barbarie": siamo barbari perché la nostra lingua non si comprende più; perché le nostre parole non rivelano ma nascondono la realtà. Testi di Massimo Cacciari, Franco Cardini, Adriana Cavarero, Sergio Givone, Valerio Magrelli, Stefano Rodotà.
Che cosa significa, oggi, essere "eredi"? Cosa significa essere figli, allievi, posteri in un'epoca senza memoria, che sembra aver reciso programmaticamente ogni legame con la storia e il proprio passato? Eppure la tradizione non è un ingombro da cui ci si può liberare semplicemente ignorandolo. L'eredità - in senso personale e psicologico, così come in senso storico e culturale - è infatti un capitale da far fruttare e non un patrimonio inerte da custodire. Conoscere i propri padri è indispensabile sia per accettarli che per superarli: per amarli così come per ucciderli. In questo libro sei autorevoli pensatori del nostro tempo riflettono sulle infinite sfumature e implicazioni del concetto di "eredità" - sul rapporto tra passato e presente, tra maestri e allievi, tra padri e figli - in un dialogo appassionato con i testi dell'antichità, riuniti in un'antologia che va da Omero a Virgilio, da Platone a Seneca, da Aristotele all'Apocalisse.
La riflessione classica e giudaico-cristiana propone molteplici spiegazioni della morte ed elabora diverse strategie di superamento, proiezioni non solo nel mondo ulteriore, ma anche in quello terreno, a seconda della concezione materialistica o spiritualistica della vita. I cinque autori rispondono alle sollecitazioni dei testi classici e riflettono, con leggerezza e profondità, su un tema che coincide con l'essenza stessa della vita terrena.
Perché la parola "scienza" designa ormai la sola tecnologia e non l'intera conoscenza? Perché "classico" definisce solo ciò che rimanda al passato e "scientifico" solo ciò che orienta al futuro? Perché nell'era del web e della massima comunicazione la scienza e le humanae litterae non dialogano tra loro, ma si contrappongono ancora come "due culture" estranee e rivali? Per rispondere a questi interrogativi, studiosi della scienza si confrontano con studiosi di quella cultura di Atene e di Roma che è al contempo fondativa e antagonista del nostro presente. Ne deriva uno sguardo totale dall'anima di Platone al DNA, dagli atomi di Lucrezio alla tavola di Mendeleiev, dalla democrazia di Pericle alla teoria delle élites, dal "pane e circensi" al welfare, dal corpo di Ippocrate alle biotecnologie, dall'astronomia dei Greci alla teoria del Big Bang, dagli automi antichi alla robotica medica. Un'alleanza necessaria e non più rinviabile, quella tra scienziati e umanisti, in un Paese come il nostro che sconta una duplice colpa: il deficit di cultura scientifica e la rimozione dei classici.
Le antiche voci di Atene e Roma parlano ancora ai cittadini delle metropoli del terzo millennio? Cos'hanno in comune Omero, Virgilio, Agostino con la nuova trinità Inglese-Internet-Impresa? A queste domande rispondono letterati, biblisti, filosofi, storici, scienziati, critici, scrittori e poeti dei nostri giorni in diverse forme di scrittura: dal saggio all'intervista, dalla riflessione aforistica all'epistola autobiografica, dalla lirica al racconto, dal manifesto teorico alla ricognizione documentaria. A questi maestri e interpreti del nostro tempo i classici si rivelano sia come i garanti della nostra identità linguistica e culturale sia come i testimoni di una irriducibile diversità nei confronti del nostro presente.
Otto grandi studiosi si interrogano sul valore della passione politica. Una riflessione profonda sulla vera natura dell'arte politica, sui suoi significati più nobili e i suoi disegni più necessari.
Dai tempi dell'umanità più ancestrale, è la legge a fare da collante e da regolatore della vita sociale e morale. Le origini della formulazione delle tavole legislative e delle teorie intorno a cosa sia in effetti la legge affondano in tempi biblici e classici. Ivano Dionigi convoca quattro grandi nomi del pensiero e della teologia del nostro tempo, perché si confrontino sui differenti aspetti e rapporti col mondo della legge: Massimo Cacciari, filosofo di fama internazionale, Luciano Canfora, storico esperto di antichità classica, Gianfranco Ravasi, tra i massimi biblisti contemporanei, e Gustavo Zagrebelsky, prestigioso giurista, discutono dei rapporti tra legge, natura, uomo e divinità, investigando ambiti apparentemente distanti.