Accanito, e non fortunatissimo, giocatore per molti anni, Dostoevskij scrisse "Il giocatore" in soli ventotto giorni nell'ottobre del 1866. Nell'immaginaria stazione termale di Roulettemburg, Aleksej Ivanovic, intellettuale russo sradicato, finisce per rischiare il suo stesso destino. Eroe del romanzo breve "Le notti bianche", opera del periodo cosiddetto "romantico" di Dostoevskij, è la figura del sognatore, nella cui piatta esistenza, chiusa in un mondo di fantasticherie, piomba per un breve attimo la giovane Nasten'ka. Nella più matura espressione della sua vena creativa, Dostoevskij ci presenta ne "La mite" il racconto introspettivo e raggelante di un marito che veglia la giovane moglie morta suicida; "Il sogno di un uomo ridicolo" è il monologo di un uomo che, abbandonato da tutti e deciso a uccidersi, sprofonda in un sogno che lo trasporta in un mondo primordiale, un'onirica età dell'oro.
Un uomo che per vivere ha bisogno di riflettersi nella percezione altrui un giorno si trova d'improvviso di fronte un sosia, come fosse il suo riflesso nello specchio, e non si capisce se sia un'allucinazione schizofrenica o una realtà inquietante. Prefazione di Olga Belkina.
"Memorie dal sottosuolo", uscito a puntate a partire dal 1864, costituisce una tappa centrale nella vicenda artistica e spirituale di Fëdor Dostoevskij. In forma di monologo-confessione, è la storia della fallita redenzione di una prostituta e, nello stesso tempo, la tormentata indagine sull'inconscio, il "sottosuolo", e sull'impossibilità di capire a fondo se stessi e gli altri. L'io narrante è uno dei cosiddetti "uomini superflui", uno che si limita a prendere atto dell'immensa ricchezza nascosta nel proprio intimo e non trae alcuna conseguenza pratica, soffrendo acutamente, al tempo stesso, del proprio fallimento. È la prima incarnazione di quel tipico personaggio di ribelle non riconducibile ad alcuna fazione, di individuo smarrito tra l'angosciosa ricerca della verità e un'incolmabile distanza dalla realtà, che sarà protagonista dei grandi romanzi di Dostoevskij.
Nella prima parte, "Il sottosuolo", il protagonista racconta la sua infanzia e la formazione della personalità più nascosta (il sottosuolo per l'appunto). Nella seconda, "A proposito della neve fradicia", ripercorre alcuni episodi della sua vita dove più emerge il "sottosuolo". Segue alcuni compagni di scuola ad una cena, sfoga poi l'amarezza per le offese subite su Liza, una prostituta incontrata in una casa di tolleranza, mostrandole con durezza che cosa l'aspetta nel futuro. Dopo qualche giorno Liza ritorna da lui col desiderio di una vita pura, ma viene trattata con disprezzo e volgarità. Per umiliarla le mette in mano un biglietto da cinque rubli, che poi ritroverà sul suo tavolo quando la donna se ne sarà andata, testimonianza della grande dignità di Liza.
"I fratelli Karamazov" si configura come la cronaca di una qualsiasi famiglia della provincia russa, contrassegnata dall'acerrimo contrasto tra la figura del padre, Fëdor, tirannico libertino, e i suoi quattro figli: Alesa, profondo conoscitore dell'animo umano, Dmitrij, un tenentino impulsivo, oscillante tra slanci di generosità e bassezze crudeli, Ivan, raffinato cultore dell'ateismo, e Smerdjakov, figlio epilettico e illegittimo e per questo condannato ai lavori più servili in casa. Quattro diverse personalità che trovano come punto di convergenza l'odio comune verso il padre.
Un vertice assoluto della letteratura mondiale, finalmente in una nuova traduzione.
"Delitto e castigo", per molti il capolavoro di Dostoevskij, nasce nel 1865, uno degli anni più critici dell'esistenza sempre travagliata del suo autore. Colpito da gravi lutti (la morte della prima moglie e del fratello), travolto dal fallimento della rivista "Epocha" e sommerso dai debiti, Dostoevskij fugge all'estero, dove perde nuovamente al gioco. Ma intanto concepisce un nuovo progetto letterario, "il resoconto psicologico di un delitto", che sottopone all'editore Katkov per la rivista "Russkij Vestnik". Qui il romanzo uscirà, a puntate, dal gennaio al dicembre del 1866. Il progetto iniziale di una "confessione" in prima persona, secondo il modello delle Memorie del sottosuolo, si trasforma accogliendo altre voci, si articola e si amplia inglobando un'idea precedente, quella di un romanzo sociale sulla piaga dell'alcolismo che doveva intitolarsi "Gli ubriaconi". Così la storia dell'alcolizzato Marmeladov e della sua sventurata famiglia s'intreccia con la vicenda di Raskol'nikov, il giovane che uccide per un'idea, per affermare la propria libertà e la propria superiorità sugli uomini comuni e la loro morale. Perché se può servire a salvare la vita propria e altrui, se il gesto può andare a beneficio di tutta l'umanità, è davvero un delitto eliminare una vecchia strozzina, stupida e cattiva, non un essere umano ma un insetto dannoso, un pidocchio? Edizione in nuova traduzione.
"Ci sono romanzi che non avrebbero bisogno di introduzioni. Appena iniziamo a leggerli, sin dalle prime pagine ci proiettano in una vita per noi impensabile pochi istanti prima, nella quale tuttavia ci orientiamo a meraviglia. [...] Delitto e castigo è uno di questi romanzi, un'opera di bruciante attualità, nella quale Dostoevskij ha saputo cogliere a partire dalla sua epoca l'eco di voci remote nella nostra cultura e oggi più che mai vibranti. Leggendo questo romanzo ti viene subito in mente lo sguardo vuoto e spento di tanti 'eroi' della nostra cronaca nera, ti risuona nella testa la voce minacciosa del Dio della Genesi che grida a Caino: Caino, che hai fatto? Ora tu sei maledetto dalla terra, sarai errante e vagabondo. E ti chiedi: e se fossi stato io?" (dalla prefazione di Damiano Rebecchini). Un romanzo decisivo per la successiva narrativa novecentesca, per lo scavo psicologico dei personaggi e la ferocia dell'analisi emotiva. In una nuova traduzione, l'immortale storia di sofferenza e salvazione diventata uno dei classici più amati e influenti di tutti i tempi (e di tutte le letterature).
Pubblicato a puntate nel 1868 sulla rivista moscovita "Russkij vestnik", L'idiota fu scritto freneticamente da un Dostoevskij incalzato dai debiti, tormentato dagli attacchi di epilessia, attratto dal canto di sirena della roulette. Eppure, nell'abisso della sua disperazione, il grande scrittore russo ha saputo dare un'opera di grande luminosità, uno di quei libri il cui valore artistico va oltre la qualità letteraria. "L'idiota" è infatti il romanzo in cui il realismo fantastico di Dostoevskij si misura con l'altissimo obiettivo di dare una rappresentazione artistica dell'uomo assolutamente buono. Un uomo, frammento del Cristo, attorno a cui prende vita quel mondo di tragedie e macchiette che è la Russia dell'Ottocento
Le opere qui raccolte del grande scrittore russo sono pietre miliari e imprescindibili punti di riferimento per gli amanti della letteratura; sono dei classici: quindi, secondo la definizione di Calvino, hanno sempre qualcosa di nuovo da dire, al lettore di cento anni fa come a quello contemporaneo; a chi vi si accosta per la prima volta, a chi vuole riscoprirne la bellezza con l’ennesima lettura. Sono scorrevoli e mozzafiato come thriller, eppure raggiungono profondità filosofiche.
Alla costante ricerca di un equilibrio finale e definitivo tra il bene e il male, l’autore ci regala pagine di grande impatto emotivo, dove il passo dei protagonisti è segnato dal dolore e dal sentimento di perenne inadeguatezza sociale, culturale o esistenziale. I suoi personaggi, densi di una vita interiore quasi tangibile, si esprimono con l’urlo della rivolta all’ingiustizia, o con i racconti sussurrati degli umili, con i monologhi dell’intelligenza lucida che vuole approdare alla verità, ma si perde alla fine nel buio del dubbio, nel ritmo lento e contraddittorio, o precipitoso e violento delle azioni e del pensiero. I suoi romanzi sono costruiti dalle anime nere, i “cattivi” agiscono e tessono le trame della storia, raccontata con scrittura indagatrice, impietosa, incalzante; tutto finirebbe nel baratro della distruzione e dell’autodistruzione, se non splendesse oltre il tunnel una luce: lo sguardo luminoso del principe Myškin, o l’introspezione dolorosa di Raskòlnikov. Raggi di sole nella tempesta, consentono all’autore non rassicuranti certezze, ma almeno la possibilità di domandarsi: si può sperare?
Millecinquecento anni dopo la sua morte, a Siviglia, Cristo torna sulla terra. Cammina per le strade della città spagnola dove, alla presenza di tutti i cittadini, il cardinale Grande Inquisitore sta consegnando al rogo un centinaìo di eretici. Il suo arrivo è silenzioso, oppure il popolo lo riconosce, lo circonda, è pronto a seguirlo. Ma in quel momento il Grande Inquisitore attraversa la piazza, si terma a guardare la folla, incupito. Poi ordina alle sue guardie di catturare Cristo e rinchiuderlo in prigione. Nell’oscurità del carcere, il vecchio e potente ministro della Chiesa pronuncia contro il Messia un fortissimo atto d’accusa, condannandolo a morta.
In questo episodio dalla dignità autonoma dei Fratelli Karamazov Fëdor Dostoevskij afferma il proprio pensiero filosofico-religioso: la libertà dell’essere umano si basa su una fede senza dogmi e miracoli, senza gerarchie e autorità, contrapposta alla dottrina che in nome di un mandato superiore e indiscutibile sottrae agli uomini la consapevolezza di sé e il libero arbitrio.
Sulla straordinaria attualità di questa riflessione si incentra il saggio di Gherardo Colombo, Il peso della libertà: la massima sofferenza dell’uomo sta infatti in questa contraddizione, vivere divise tra il desiderio di una tutela che lo sollevi dal tormento del decidere e l’aspirazione alla libertà individuale. Un conflitto che coinvolge tutti i popoli, in tutte le epoche, più che mai cruciale nella modernità.
"Ma chi sono questi uomini, chi sono i 'demoni'? I demoni sono anzitutto 'uomini d'idea', come li definisce Bachtìn, cioè uomini posseduti, tormentati, divorati da un'idea, cioè da una concezione onnicomprensiva, onniesplicativa e onnirisolutiva della realtà, uomini che si credono in possesso della 'Verità', ma ognuno dei quali si è costruito una sua Verità' in una forma aberrante, distruttiva, catastrofica. In questi uomini - secondo Dostoevskij - si ritrova una caratteristica specifica ed esclusiva dello spirito russo: il russo è divorato da un'inesausta sete di verità ed è in grado di dedicarsi appassionatamente, fanaticamente al perseguimento dell'ideale da lui concepito, fino ad arrivare a ogni eccesso e a ogni estremo, compreso il sacrificio totale di sé." (Gianlorenzo Pacini)