La straordinaria sensibilità e lo scavo psicologico di Eschilo non solo danno vita nel suo teatro a personaggi grandiosi e complessi, ricchi di risvolti, ma fanno irrompere sulla scena, e con la massima violenza, le grandi questioni politiche e sociali dell'epoca, incredibilmente attuali e moderne: il diritto d'asilo, il sorgere dello stato dalle ceneri delle lotte intestine, la necessità del voto e della democrazia. Il linguaggio è ricchissimo di risorse e accosta registri lirici ed epici, espressioni del parlar comune o dialettali, e quando si gonfia e tende al solenne ha sempre, come in Shakespeare, il crisma dell'autenticità. Introduzione di Umberto Albini.
"La tragedia greca ha saputo articolare, a più riprese e con implicazioni differenti, il linguaggio della sofferenza e la rappresentazione di corpi umani stretti dalla morsa del dolore, feriti e piagati fino agli estremi limiti della sopportazione. Meno consueta è la rappresentazione diretta di un corpo divino che, nell'impossibilità di agire, occupa lo spazio con l'ostensione di una pena indicibile e inaggirabile. Il criminale è Prometeo, riconosciuto colpevole da Zeus, considerato un nemico dagli altri dei che si raccolgono intorno al trono olimpico del figlio di Crono. La partita si gioca crudamente tra pari, tra soggetti che appartengono ad una stessa dimensione. La società divina, nella persona del suo re, espelle e condanna un suo membro che ha rotto gli equilibri, che ha infranto un ordine e un patto di governo. Prometeo ha commesso un torto dispensando onori e privilegi che erano un possesso celeste. Ha rubato il fuoco per darlo agli uomini. Ma la crisi che tale iniziativa innesca non si misura a partire dai soggetti mortali che vengono beneficati: gli uomini restano, essenzialmente, fuori campo e fuori scena. Il dramma si muove in una sfera superiore: il teatro degli dei è un teatro di signori che disputano, fra loro, per il potere e la supremazia, che regolano i loro conti con la ferocia dei gesti e delle maledizioni, che rispondono alla violenza con la violenza per assicurarsi il regno." (dall'introduzione)
I "Persiani" di Eschilo è la tragedia più antica che ci sia stata tramandata e l'unica fra le trentadue pervenuteci che abbia come trama un fatto storico: la battaglia di Salamina, in cui i Greci con pochissime navi sconfissero il potentissimo esercito di Serse nel 480 a.C. Ma la tragedia trasfigura i fatti della storia: Eschilo fa dello scontro con i Persiani un "mito", rappresentabile in dramma alla stregua degli altri "miti": il "ciclo persiano" come il "ciclo degli Atridi", o il "ciclo troiano". Lo scontro con Serse diventa un capitolo dello scontro che da sempre oppone Oriente a Occidente: anche gli dei sono schierati, come a Troia, gli uni a fianco dell'Asia, gli altri degli Achei. La traduzione qui presentata rende i chiaroscuri, le scabrosità, gli scarti linguistici dell'originale; l'introduzione esalta la trascrizione tragica del fatto storico; infine, le ampie note di commento focalizzano la straordinaria ricchezza - linguistica, mitologica, letteraria, ritmica - del testo.
L'arte e l'ingegno non possono competere con la potenza del fato
La prima raccolta complessiva dei frammenti e gli scoli antichi e bizantini di Eschilo. Il volume è introdotto da un importante saggio sul pensiero religioso di Eschilo nelle sue tragedie.
Monica Centanni, docente all'Università Ca' Foscari di Venezia e studiosa di drammaturgia antica e di storia della tradizione classica, propone le sette tragedie complete di Eschilo (I persiani, Sette contro Tebe, Le supplici, Prometeo incatenato e la trilogia dell'Orestea) in una nuova traduzione, da lei stessa curata sulla base del testo, presentato a fronte, stabilito nel 1998 da Martin West.
Matricidio. Nella catena dei delitti che trascinano nel sangue la famiglia degli Atridi, è questo il nodo cruciale, davanti al quale l'antica giustizia familiare è costretta ad arrestarsi. Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia, Clitennestra uccide Agamennone; a Oreste, figlio di Agamennone, spetta il compito di vendicare il padre uccidendo Clitennestra. Ma Clitennestra è sua madre. La necessità della vendetta e l'empietà del delitto, i diritti del padre e la pietà per la madre, stringono il figlio di Agamennone e di Clitennestra in una morsa da cui né la coscienza, né gli dei potranno liberarlo. La speranza, con cui si chiude la tragedia, è in un assoluzione affidata alla giustizia umana, che segnerà l'avvento di una nuova era.