La nostra Repubblica è fondata sul lavoro. E proprio nel lavoro le diverse culture politiche hanno trovato il punto di caduta più simbolico della Costituzione. Questo riferimento a un laburismo di ispirazione cattolica conserva tutta la sua attualità perché continua a essere il fondamento di una cultura politica popolare, di una comunità internazionale ispirata ai valori dell'interdipendenza e della solidarietà, nella quale sia impossibile il ricorso alla guerra in quanto strumento impraticabile e anacronistico. Un lavoro plurale e dalle conclusioni aperte, caratterizzato dalla consapevolezza che un contrasto fra idee non è mai un dramma, bensì un'opportunità.
Teologo e politologo statunitense, autore di numerose pubblicazioni nel campo delle scienze sociali, Michael Novak (1933-2017) è stato uno dei maggiori studiosi contemporanei del rapporto fra liberalismo e cattolicesimo. Il libro vuole essere un'introduzione alla lettura delle sue opere, offrendo un quadro di riferimento generale, all'interno del quale mostrare il modo in cui si è sviluppato il suo pensiero. Tale quadro di riferimento è racchiuso nella possibilità di instaurare un rinnovato legame tra lo spirito dell'imprenditorialità o d'iniziativa economica e la moderna Dottrina sociale della Chiesa cattolica, inaugurata dalle encicliche sociali di Giovanni Paolo II: Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis, Centesimus annus. Novak va collocato nella tradizione di pensiero che da Polibio giunge fino ai Federalist Papers e alla Costituzione americana e poi da questa alla Dottrina sociale della Chiesa. Nella sua concezione, quest'ultima viene intesa come un originale metodo di elaborazione dei materiali sociali: non un sistema chiuso in se stesso, ma un termine di riferimento in grado di rappresentare un termine di riferimento per l'elaborazione di una filosofia civile che dialoga con il liberalismo classico e con quelle forme di neoliberalismo aperte alla prospettiva antropologica cristiana.
Il libro analizza il significato delle nozioni di popolo, autorità e democrazia nella tradizione del popolarismo, in un fecondo incontro con la tradizione liberale. Il punto fermo del popolarismo sturziano è un'idea di "popolo" del tutto differente da quella fornita dai populismi di ogni tipo. In particolare, il problema di fronte al quale Sturzo pone i cattolici riguarda la domanda se essi dovrebbero accettare un regime politico che nega le libertà, in cambio dell'ottenimento di privilegi. L'assenso verso tali regimi è impraticabile per un cattolico, a pena di sacrificare la propria coscienza sull'altare dell'idolo della Politica. Il popolarismo sturziano mette in discussione la nozione di popolo declinata al singolare, per declinarla al plurale. Tale pluralismo salvaguarda e presuppone il valore della coscienza individuale e non si lascia assorbire in un indistinto misticismo politico di impronta tanto giacobina quanto organicistica: il brodo di coltura di ogni populismo.
Il libro si prefigge lo scopo di analizzare alcuni aspetti rilevanti del pensiero economico moderno e contemporaneo. È diviso in quattro parti: "Uno sguardo alla teoria", "Alle origini dell'economia civile", 'Testimoni della libertà" e "Una prospettiva". Nella prima parte, l'autore prende in considerazione la prospettiva teorica dell'economia sociale di mercato, individuando i suoi possibili nemici interni ed esterni. Oltre alla suddetta prospettiva teorica, nel saggio successivo, si affronta il tema della dicotomia tra etica ed economia e la loro rispettiva pretesa egemonica. Nella seconda parte, è presentata l'opera economica del filosofo tardo settecentesco Melchiorre Delfico, il cui contributo fondamentale ha interessato gli studi sulla libertà del commercio e sulla funzione della "legge", in quanto strumenti di "incivilimento". Come testimoni della libertà, l'autore presenta la figura di Luigi Sturzo, sottolineando il suo meridionalismo liberale, e un'analisi comparativa di alcuni documenti che hanno segnato il passaggio di un epoca, all'indomani della Seconda guerra mondiale: il Cadice di Camaldoli, il Manifesto di Friburgo e il Piano Beveridge. Il libro si conclude con un saggio di prospettiva, dove l'autore analizza alcuni temi chiave della più recente enciclica di Benedetto XVI: la Caritas in veritate, confrontandoli con la prospettiva teorica del liberalismo delle regole e dell'economia sociale di mercato.
Il dibattito sull'economia sociale di mercato, come soluzione alla crisi del sistema italiano, è stato recentemente protagonista sulle principali testate giornalistiche. Autorevoli commentatori hanno argomentato pro o contro questo modello. Ma quali sono le caratteristiche e gli sviluppi storici e teorici che lo renderebbero proponibile nel contesto attuale? L'Autore ne ripercorre la genesi, a partire da quel filone del liberalismo europeo chiamato ordoliberalismo, fino all'originale interpretazione di don Luigi Sturzo in Italia. Basata su alcuni capisaldi quali l'economia di mercato, la libera iniziativa, la lotta ai monopoli (pubblici e privati) e la stabilità monetaria, l'economia sociale di mercato è distante sia dalle dottrine interventiste come dal capitalismo selvaggio. Al centro c'è l'idea che il sistema economico, per esprimere al meglio le proprie funzioni produttivo-allocative, dovrebbe operare in conformità con una "costituzione economica" che lo Stato stesso pone in essere.
Il progetto della società civile richiede in primo luogo l'esercizio di alcune virtù civiche che potremmo sintetizzare con l'espressione autogoverno: l'insieme delle virtù che segnano la distanza tra il suddito, ripiegato su se stesso e in balia del potere coercitivo, e il sovrano, responsabile per le azioni che compie e per questa ragione libero di contribuire alla realizzazione della propria personalità. L'esercizio di tali virtù richiede il sacrificio costante e la vigilanza perenne, dal momento che il progetto della società civile non è l'esito intenzionale di qualche astuto scienziato sociale; non si tratta di un'opera d'ingegneria sociale, raggiunta in modo definitivo, una volta per tutte, bensì è la lenta evoluzione di attitudini che hanno assunto la forma storica che noi conosciamo dopo un'incessante - e mai definitivamente compiuta - opera di approssimazione a ciò che uomini imperfetti, ma desiderosi di migliorare la propria condizione, hanno creduto e credono che sia la verità.
Il bene comune nella Dottrina sociale della Chiesa. Il testo raccoglie i contributi della giornata di studio Giustizia sociale e giustizia contributiva organizzata dall'istituto Redemptor Hominis della Pontificia Universita' Lateranense. Il libro raccoglie le diverse relazioni che ripercorrono la plurisecolare storia del bene comune" o "giustizia sociale", a partire dalla considerazione del grande abuso concettuale di questo termine, ma anche del valore fondamentale di tale principio. Punto di riferimento principale per gli autori e' la dottrina sociale della Chiesa che, piu' volte, si e' soffermata sul tema del bene comune o della giustizia sociale. "
I termini "neocon" e "teocon" sono entrati prepotentemente nel linguaggio comune. Ma chi sono in realtà i neocon e i teocon? E che differenze esistono tra i due movimenti? Questo libro si pone come guida rivolta al grande pubblico per capire meglio e orientarsi all'interno di questa nuova realtà politica.
L'approccio con il quale teologi, politologi ed economisti neo-conservatori hanno tentato di affrontare le questioni legate alle trasformazioni sociali, culturali e politiche evidenzia un metodo che ha posto in primo luogo il problema del rinnovamento delle istituzioni, piuttosto che la restaurazione di un ordine ormai passato di cui probabilmente sono in pochi a nutrire nostalgia, avendo cura di una realtà socio-culturale in continua trasformazione, estremamente vivace e plurale come quella americana. La modernità, a differenza di quanto affermano i paleoconservatori, non rappresenta la tomba della tradizione, quanto il momento per vivere più adeguatamente gli ideali di libertà e di responsabilità in ambito politico.