I populismi si alimentano di un'illusione, che può essere pericolosa: il recupero della sovranità. Ma si tratta di una promessa che non si può mantenere, perché le leve del potere sono, ormai, inesorabilmente altrove.
Di fronte a problemi che nessun governo nazionale è in grado di risolvere, elettori e politici, sfiduciati verso la globalizzazione, inseguono le sirene del populismo. Spaventati dai fantasmi di una sovranità che sembra svanire, stiamo cosí distruggendo proprio quegli strumenti che ci consentirebbero di ricostruirla in un mondo che non è piú quello dominato dagli Stati nazionali. Frustrati per l'impressione di non riuscire a far sentire la nostra voce e di non avere piú il controllo sulle nostre vite, ci rassegniamo a uno stato di natura del tutti contro tutti, incapaci di quella fiducia reciproca - tra persone e nazioni - che ci permetterebbe di riprendere in mano il nostro destino. Si è rotto il compromesso della delega, nemica giurata dei populismi, travolta da referendum, progetti di uscita dall'euro e ostilità a ogni élite politica e tecnocratica. L'errore finora è stato cercare di preservare il patto sociale che ha retto l'Europa nel lungo Dopoguerra - integrazione come garanzia di pace e di prosperità - invece che dare alla sovranità condivisa una base di legittimità piú attuale. Che può essere soltanto protezione e identità, sicurezza e difesa dalle conseguenze della globalizzazione.
È la prima volta che i cambiamenti della società sfuggono completamente al controllo della politica. L'innovazione si sviluppa lontano dai Parlamenti, i nuovi protagonisti sono troppo potenti e globali per essere affrontati da piccoli Stati. Uber liberalizza il trasporto pubblico, Spotify regala musica invece di venderla, AirBnB vanifica i tentativi degli albergatori di fare cartello, Facebook e Google iniziano a comportarsi come Stati del web, gli utenti sono i loro cittadini. Oggi gli utili si fanno conquistando miliardi di consumatori a cui migliorare la vita offrendo prodotti e servizi quasi gratis. Ma non di solo profitto si tratta: mentre i governi tagliano su welfare e investimenti, i nuovi modelli di business hanno reso conveniente per i privati cercare di risolvere alcuni grandi problemi del mondo. Allora la politica è diventata inutile? Forse sì, almeno nella forma in cui l'abbiamo conosciuta finora. E non è detto che sia una cattiva notizia. Se le scelte collettive, quelle dei governi, sono sempre meno rilevanti, cresce il preso delle scelte individuali. In questi anni difficili abbiamo quindi due possibilità: continuare a lamentarci dei politici che non ci aiutano, aspettando che le cose cambino e arrivi "la ripresa". Oppure prendere atto delle enormi opportunità che la fine della politica tradizionale sta aprendo e provare a sfruttarle, prendendo in mano il nostro destino.