Al centro delle storie che Renga viene raccontando c'è un uomo che si aggira raccogliendo oggetti, oggetti raccolti apparentemente senza motivo. Un mazzo di chiavi trovato in strada. Un aquilone. Una vecchia sveglia. L'uomo raccoglie quello che trova in una stanza illuminata dai raggi del sole che passano tra le assi malferme del tetto. Sono piccoli oggetti che assumono via via la forma di ali, ali che sono scampoli di vita delle persone che li hanno posseduti, usati, persi. Finestre aperte su altre esistenze. E finestre su altre esistenze o su segmenti diversi della vita dell'io narrante sono le storie che fanno corona a questo episodio. L'infanzia dolceamara della campagna, l'adolescenza che morde il freno, la vita adulta avvitata dolorosamente intorno alle fatiche della vita coniugale. Attraverso continui flashback, i singoli episodi vengono stabilendo la distanza fra il superstite che ora si guarda esistere e la forza del suo passato, fra la sua inadeguatezza e l'ansia di volare via.
Non è un romanzo. Non è un manuale di istruzioni. Non è una storia generazionale. Si prendono le mosse da un ventenne che lascia la tana familiare per costruirne un'altra. Una tana che ormai assimila lo studente squattrinato, il single impenitente, il cinquantenne separato, la ragazza in attesa del primo del secondo del terzo principe azzurro, del brillante libero professionista, del laureato all'ennesimo master. Una tana che si può costruire seguendo le istruzioni. Tanto c'è tutto nel catalogo. Tutto è componibile. Come una cucina a 990 euro dell'lkea. Franz, ventisette anni, dieci appartamenti alle spalle e tredici lavori sottopagati in curriculum, racconta di lavoratori con la partita iva con "obbligo di frequenza"; master con fantomatiche prospettive di inserimento; giovani coppie che non fanno più figli; fidanzamenti che vanno all'aria sull'altare; bucati che virano dal rosa all'azzurro; arredamenti recuperati per strada; avanzi che si trasformano in cene sontuose; coinquilini assenteisti, piante annaffiate a singhiozzo e gatti nevrotici. Quello che esce da questo libro è un mondo bislacco, multiforme, dove la quotidianità diventa la misura dell'esistenza, con risultati tanto concreti quanto comicamente assurdi.
Il mondo siede su due bombe: la crisi ambientale e quella sociale. Mentre le risorse si fanno sempre più scarse, alcuni segnali relativi al cambiamento del clima indicano che gli equilibri naturali si stanno alterando in maniera irrimediabile. Nel contempo la maggior parte della popolazione non riesce a soddisfare neanche i bisogni fondamentali. Ci troviamo di fronte a un dilemma: più crescita economica per uscire dalla povertà o meno crescita economica per salvare il pianeta? È possibile passare dall'economia della crescita all'economia del limite, facendo vivere tutti in maniera sicura? Questo libro dimostra che è possibile purché si mettano in atto quattro rivoluzioni che riguardano stili di vita, tecnologia, lavoro ed economia pubblica.
Un giovane, che gira il mondo zaino in spalla e si guadagna da vivere con piccoli lavori che gli consentono di continuare a viaggiare, si imbarca un giorno con dei pescatori di coralli e approda su un'isola semideserta. Lì decide di fermarsi. Sull'isola il giovane si trova di fronte una comunità a suo modo felice, che lo accoglie e lo integra velocemente. La vita prosegue serena fino a quando l'acqua nei pozzi comincia a scarseggiare e poi si esaurisce completamente. Nell'isola c'è anche un padrone, che vive in una villa al centro dell'isola. Il suo pozzo è l'unico ancora pieno. Per ottenere l'acqua della sopravvivenza, il villaggio decide di vendergli tutti i pozzi vuoti. Una storia che ricostruisce la parabola del "progresso".
Lavoro minorile, percosse, negazione dei diritti sindacali, scarichi abusivi, ecco cosa può nascondersi dietro a molti prodotti che compriamo ogni giorno. Ma la casistica è tutt'altro che esaurita: produzione di armi, evasione fiscale, ricorso ai paradisi fiscali, pubblicità ingannevole, finanziamento dei regimi oppressivi, manipolazione genetica. Se i nostri consumi ci rendono involontari complici di tutto questo, sappiamo anche che il consumo può diventare un'arma formidabile per far cambiare il corso della storia e che i consumatori possono avere potere di vita o di morte sulle imprese. Ecco il messaggio di denuncia e di speranza di questo libro, che mette a nudo gli artifici che si nascondono dietro l'immagine immacolata di molte imprese.
Per il movimento risorgimentale il Mezzogiorno rappresentò sino al 1848 una terra dal forte potenziale rivoluzionario. Successivamente, la tragedia di Pisacane a Sapri e le modalità stesse del crollo delle Due Sicilie trasformarono quel mito in un incubo: le regioni meridionali parvero, agli occhi della nuova Italia, una terra indistintamente arretrata. Nacque così un'Africa in casa, la pesante palla al piede che frenava il resto del paese nel proprio slancio modernizzatore. Nelle accuse si rifletteva una delusione tutta politica, perché il Sud, anziché un vulcano di patriottismo, si era rivelato una polveriera reazionaria. Si recuperarono le immagini del meridionale opportunista e superstizioso, nullafacente e violento, nonché l'idea di una bassa Italia popolata di lazzaroni e briganti (poi divenuti camorristi e mafiosi), comunque arretrata, nei confronti della quale una pur nobile minoranza nulla aveva mai potuto. Lo stereotipo si diffuse rapidamente, anche tramite opere letterarie, giornalistiche, teatrali e cinematografiche, e servì a legittimare vuoi la proposta di una paternalistica presa in carico di una società incapace di governarsi da sé, vuoi la pretesa di liberarsi del fardello di un mondo reputato improduttivo e parassitario. Il libro ripercorre la storia largamente inesplorata della natura politica di un pregiudizio che ha condizionato centocinquant'anni di vita unitaria e che ancora surriscalda il dibattito in Italia.
Questo libro è un viaggio senza ritorno nei gironi infernali della storia italiana più recente. Racconta infatti quarant’anni di relazioni segrete, occulte e inconfessabili, tra politica e criminalità mafiosa, tra Stato e Cosa nostra. Perno della narrazione è la vicenda di Vito Ciancimino, “don Vito da Corleone”, uno dei protagonisti assoluti della vita pubblica siciliana e nazionale del secondo dopoguerra, personaggio discutibile e discusso, amico personale di Bernardo Provenzano, già potentissimo assessore ai Lavori pubblici di Palermo, per una breve stagione sindaco della città, per decenni snodo cruciale di tutte le trame nascoste a cavallo tra mafia, istituzioni, affari e servizi segreti.
A squarciare il velo sui misteri di “don Vito” è oggi un testimone d’eccezione: Massimo, il penultimo dei suoi cinque figli, quello che per anni gli è stato più vicino e lo ha accompagnato attraverso innumerevoli traversie e situazioni pericolose. Il suo racconto – che il libro riporta per la prima volta in presa diretta, senza mediazioni, arricchito dalla riproduzione di documenti originali e fotografie – riscrive pagine fondamentali della nostra storia: il “sacco di Palermo”, la nascita di Milano 2, Calvi e lo Ior, Salvo Lima e la corrente andreottiana in Sicilia, le stragi del ’92, la “Trattativa” tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, la cattura di Totò Riina, le protezioni godute da Provenzano, la fondazione di Forza Italia e il ruolo di Marcello Dell’Utri, la perenne e inquietante presenza dei servizi segreti in ogni passaggio importante della storia del nostro paese. Attualmente la testimonianza di Massimo Ciancimino è vagliata con la massima attenzione da cinque Procure italiane e non è possibile anticipare sentenze. Non c’è dubbio però che i fatti e i misfatti qui raccontati arrivino dritti al “cuore marcio” del nostro Stato, accompagnandoci in una vera e propria epopea politico-criminale che per troppo tempo le ipocrisie e le compromissioni hanno mantenuto nascosta.