Per una casualità del destino, l'Unità d'Italia corrisponde cronologicamente all'affermarsi della fotografia. Questa coincidenza temporale ha fatto sì che le fotografie abbiano registrato fin dalle origini eventi e umori di una società in divenire e abbiano contribuito alla costruzione dell'identità nazionale. Presenti nella quotidianità come nella rappresentazione ufficiale, ci offrono testimonianze, icone, memoria. La particolarità dello svilupparsi di questo racconto è che, qui, lo sguardo del fotografo incontra quello dello storico. Ciascuna immagine, selezionata dalla photo editor Manuela Fugenzi, è accompagnata dalle interpretazioni, dai commenti e dagli approfondimenti della penna di quattro grandi storici: Vittorio Vidotto, Emilio Gentile, Simona Colarizi, Giovanni De Luna. Nasce così il circuito virtuoso tra il lavoro dello storico, con i suoi strumenti di analisi capaci di scavare nel profondo di un'epoca e lo sguardo di chi era dentro un evento e lo ha immortalato per sempre in un'immagine.
Oggi quasi tutti gli Stati, i partiti, i movimenti politici si dichiarano democratici. Abraham Lincoln definì la democrazia "il governo del popolo, dal popolo, per il popolo". Nelle democrazie del nostro tempo le cose stanno proprio così? Sembra ormai che il popolo faccia da comparsa in una democrazia recitativa: entra in scena solo al momento del voto. Poi, nella realtà, prevalgono le oligarchie di governo e di partito, la corruzione nella classe politica, la demagogia dei capi, l'apatia dei cittadini, la manipolazione dell'opinione pubblica, la degradazione della cultura politica ad annunci pubblicitari. E se nelle democrazie attuali questi fossero tratti non contingenti ma congeniti?
L'ascesa al potere in Europa dopo la Grande Guerra dei regimi totalitari, portatori di concezioni dell'uomo e della vita contrarie alla dottrina e all'etica cristiane, obbligò le Chiese e i credenti ad affrontare il problema della compatibilità tra totalitarismo e cristianesimo. Se il bolscevismo suscitò la quasi unanime condanna da parte cristiana, più complesso e ambivalente fu il confronto con fascismo e nazionalsocialismo. Ci furono credenti che seppero comprendere subito la gravità della minaccia dei totalitarismi per il cristianesimo e la civiltà umana, e li combatterono con decisione e convinzione. Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia e le Chiese protestanti in Germania cercarono di stabilire un dialogo e un rapporto con gli Stati totalitari. In Italia, il primo paese occidentale con un regime a partito unico che sacralizzava la politica e celebrava il culto del capo, Mussolini si era presentato con il Concordato come difensore della Chiesa, la quale considerava il fascismo, come poi il nazionalsocialismo, un "baluardo" contro il bolscevismo, la modernità liberale e la democrazia laica, ma trovava insieme nella religione politica fascista un potenziale concorrente. In Germania, le componenti neopagane che proponevano il nazionalsocialismo come nuova religione anticristiana indussero vescovi cattolici ed esponenti delle confessioni religiose protestanti alla presa di distanza dal regime di Hitler. Il volume indaga gli ambigui rapporti tra chiese e stati totalitari.
"Conoscere l'arte di impressionare l'immaginazione delle folle, vuol dire conoscere l'arte di governarle". Così scriveva nel 1895 Gustave Le Bon nel suo celebre libro "Psicologia delle folle". Emilio Gentile rievoca le principali esperienze di partecipazione delle folle alla politica dall'antichità all'età contemporanea, per concludere con esempi di capi straordinari, che hanno governato con le folle per distruggere o per salvare la democrazia. Da Napoleone Bonaparte a Napoleone III, incontrando poi Franklin D. Roosevelt, Churchill, de Gaulle e Kennedy, il lettore avrà modo di riflettere sull'attuale tendenza a trasformare il "governo del popolo, dal popolo, per il popolo" in una democrazia recitativa, dove la politica diventa l'arte di governo di un capo, che in nome del popolo muta i cittadini in una folla apatica, beota o servile. Attraverso la storia raccontata da Gentile, il lettore può forse trarre l'impulso a preservare la dignità della propria coscienza critica, evitando di essere assorbito nella folla sottomessa al capo in una democrazia recitativa.
Dieci milioni di morti, tre imperi secolari annientati, rivoluzioni, guerre civili, nuovi Stati, nuovi nazionalismi, nuove guerre. E la fine del primato europeo nel mondo. Sono queste le conseguenze dei due colpi sparati a Sarajevo il 28 giugno 1914. Un mese dopo esplode la guerra europea: in quattro anni, diventa la prima guerra mondiale. Nel continente che domina il mondo, la modernità trionfante della Belle Epoque si trasforma nella modernità massacrante di una guerra totale. La prima guerra mondiale lascia un marchio tragico nella coscienza umana: venti anni dopo, una seconda guerra mondiale, con cinquanta milioni di morti, lo rende indelebile. Gli storici interrogano la grande guerra: perché scoppiò, perché tanti milioni di soldati furono massacrati e perché altri milioni continuarono a combattere per tanto tempo? Conoscere la sua storia è la condizione per trovare una risposta. Emilio Gentile racconta con parole e immagini l'evento che ha dato origine all'epoca in cui viviamo.
"Fece fessi tutti": la frase, niente affatto elegante ma volgarmente efficace, fu usata nel 1949 da Cesare Rossi, uno dei più stretti collaboratori di Benito Mussolini nei primi anni del fascismo, per descrivere l'abilità con la quale il giovane duce, alla vigilia della "marcia su Roma", mise nel sacco tutti i maggiorenti della classe dirigente liberale, che avrebbero potuto impedirgli di diventare il capo di un nuovo governo. Giolitti, Nitti, Orlando, Salandra e Facta caddero nella trappola delle trattative che Mussolini condusse separatamente con ciascuno di loro, fra settembre e ottobre del 1922, lasciando credere a ognuno che l'avrebbe preferito come presidente del Consiglio in un ministero di coalizione con la partecipazione dei fascisti. E mentre il duce trattava, il partito fascista mobilitava la sua organizzazione armata per la conquista del potere. Con l'inganno, dunque, Mussolini "fece fessi tutti", ma le negoziazioni non sarebbero neppure iniziate senza il dispiegamento della forza del partito fascista che, usando la violenza, dominava incontrastato in gran parte dell'Italia settentrionale e centrale e sfidava apertamente lo Stato con la sua milizia armata. In effetti, non furono le trattative con i vecchi governanti ad aprire al partito fascista la via al potere, ma fu l'insurrezione squadrista che indusse il capo dello Stato monarchico a cedere alla pretesa di Mussolini di avere l'incarico di formare il nuovo governo...
Negli anni compresi fra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale, dominati dalla personalità politica di Giovanni Giolitti, l'Italia acquistò i caratteri essenziali di una nazione moderna. Un progresso accompagnato da ostacoli, carenze e insidie, che esplosero dopo la prima guerra mondiale e prepararono le condizioni per la nascita e il successo del fascismo. Il giolittismo favorì la modernizzazione e la democratizzazione del paese ma lasciò anche molti problemi irrisolti e si esaurì alla vigilia della Grande Guerra senza aver conseguito il suo scopo più ambizioso: conciliare le masse con lo Stato liberale.
Emilio Gentile delinea in questo volume, divenuto un classico e aggiornato con nuovi riferimenti bibliografici, un quadro sintetico di quel complesso e ambivalente periodo storico e, con un'interpretazione originale, fornisce al lettore una guida chiara ed equilibrata alla comprensione delle origini dell'Italia contemporanea.
L'ascesa al potere in Europa dopo la Grande Guerra dei regimi totalitari, portatori di concezioni dell'uomo e della vita contrarie alla dottrina e all'etica cristiane, obbligò le Chiese e i credenti ad affrontare il problema della compatibilità tra totalitarismo e cristianesimo. Se il bolscevismo, per l'esplicita professione di ateismo e la persecuzione religiosa attuata dal comunismo sovietico, suscitò la quasi unanime condanna da parte cristiana, più complesso e ambivalente fu il confronto con fascismo e nazionalsocialismo. Ci furono credenti che seppero comprendere subito la gravità della minaccia dei totalitarismi per il cristianesimo e la civiltà umana, e li combatterono con decisione e convinzione. Figure di antifascisti come don Luigi Sturzo, Francesco Luigi Ferrari o don Primo Mazzolari. Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia e le Chiese protestanti in Germania cercarono di stabilire un dialogo e un rapporto con gli Stati totalitari. Lo stesso atteggiamento ambiguo di questi ultimi, oscillante tra omaggio e disprezzo, sostegno e antagonismo nei confronti della religione, ingannò e illuse molti credenti. In particolare ricco di problemi, di tensioni sotterranee e scontri aperti si mostrò il ventennale confronto tra fascismo e cattolicesimo. In Italia, il primo paese occidentale con un regime a partito unico che sacralizzava la politica e celebrava il culto del capo, Mussolini si era presentato con il Concordato come difensore della Chiesa, la quale considerava il fascismo, come poi il nazionalsocialismo, un "baluardo" contro il bolscevismo, la modernità liberale e la democrazia laica, ma trovava insieme nella religione politica fascista un potenziale concorrente. In Germania, invece, le componenti neopagane che proponevano il nazionalsocialismo come nuova religione anticristiana con un culto teutonico, ariano e antisemita, indussero vescovi cattolici ed esponenti delle confessioni religiose protestanti alla presa di distanza dal regime di Hitler. Per le coscienze cristiane, il conflitto tra primato di Cristo e primato di Cesare fu un'esperienza drammatica, e per alcuni si rivelò anche un'occasione di riflessione sul significato del totalitarismo e sul pericolo degli integralismi di Stato e di Chiesa.
«Se una grande maggioranza di italiani è orgogliosa della propria italianità, considera un bene l’Unità d’Italia, e si identifica con la patria, allora è lecito concludere che lo stato di salute della nazione italiana appare buono, molto buono, anzi florido. Ma le cose stanno proprio così?»
Il mondo in cui viviamo è diviso in Stati nazionali. Ma l’Italia va controcorrente: alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità, il nostro paese sembra afflitto da una grave crisi di sfiducia nella propria esistenza. Molti cittadini pensano che la nascita dello Stato unitario sia stato un errore e che una nazione italiana non sia mai esistita. E vorrebbero prendere un’altra strada; ma non sanno quale. In un mondo di Stati nazionali, gli italiani rischiano di vagare, litigiosi e divisi, verso un futuro incerto e senza meta. Emilio Gentile invita a riflettere su oltre un secolo di storia, per comprendere le ragioni di tanto smarrimento. E, con l’immaginazione, apre uno spiraglio al miracolo della speranza.
Indice
Prefazione - I. Italia unita cento anni fa. 1911 - II. Italia unita cento anni dopo. 2011 - III. Nel mondo degli Stati nazionali - IV. Il Miracolo dello Stellone. 3111 - Nota dell’autore
In breve
Il regime fascista, ci racconta Emilio Gentile in questo nuovo e avvincente saggio, non era soltanto retorica, ma anche pittura, scultura, architettura, urbanistica. Gentile si conferma il vero erede italiano di Gorge Mosse, attento, come lo fu lo storico tedesco, agli aspetti dell’estetica del potere.
Dino Messina, “Corriere della Sera”
Si aprì l’era del ‘piccone risanatore’. Per Mussolini attrezzo-simbolo di un attivismo frenetico che finiva per considerare Roma e la sua architettura passata e futura – come spiega molto bene Emilio Gentile – come arsenale di miti, deposito di destini imperiali, ma anche bersaglio di risentimenti che il duce nutriva fin dalla giovinezza nei confronti della città eterna.
Filippo Ceccarelli, “la Repubblica”
Indice
Prologo. Parole, pietre, miti - 1. Porca Roma - 2. Mussolini antiromano - 3. Nuova romanità - 4. Il rigeneratore - 5. Roma mussolinea - 6. Sui colli fatali - 7. Duce imperiale - 8. La capitale del futuro - 9. I Romani della modernità - 10. Gli italiani non sono Romani - Epilogo. Quel che resta del mito - Note - Fonti delle illustrazioni - Referenze iconografiche
Alla fine del Novecento, fu annunciata in Italia la "morte della patria". Oggi assistiamo alla rinascita del culto della nazione, mentre molti temono tuttora una perdita dell'identità nazionale. Gli italiani, in realtà, non hanno mai avuto una comune idea di nazione, anche se fin dal Risorgimento il mito di una Grande Italia ha influito sulla loro esistenza. Sono state molte le Italie degli italiani, divisi da ideologie antagoniste, sfociate talvolta in guerra civile. Emilio Gentile narra la storia del mito nazionale nelle sue varie versioni fino a spiegare le ragioni per le quali la nazione è scomparsa dalla vita degli italiani per riapparire nell'Italia d'oggi, con un incerto futuro.
Nell'agosto 1914, allo scoppio delle ostilità, molti si erano arruolati entusiasti, immaginando di prender parte a una gloriosa avventura, convinti che il sacrificio del sangue avrebbe dato vita a un mondo e un uomo rinnovati. Dopo pochi mesi, l'entusiasmo era scomparso. Ci si rese conto che la guerra era completamente diversa da quelle fino ad allora combattute: per l'enormità delle masse mobilitate, per la potenza bellica e industriale impiegata, per l'esasperazione parossistica dell'odio ideologico, per l'ingente numero di soldati sacrificati inutilmente. La Grande Guerra rappresentava il naufragio della civiltà moderna. I combattimenti cessarono alle ore 11 dell'11 novembre 1918. E già all'orizzonte nuove tragedie si profilavano, poiché il trattato di Versailles ridisegnava l'intera geografia europea secondo la volontà dei vincitori, con conseguenze gravi e di lunga durata a livello politico e ideologico: le rivendicazioni territoriali, la corsa al riarmo e la militarizzazione di massa della società saranno alcuni dei principi cardine sui quali regimi totalitari come il fascismo e il nazismo baseranno il proprio consenso. Gentile ricostruisce il contesto sociale, culturale e antropologico entro il quale maturò quella che è ritenuta una delle più tragiche esperienze del Novecento, soffermandosi in particolare sugli artisti e gli intellettuali che, se all'inizio avevano invocato la guerra come una catarsi, si fecero poi interpreti dell'angoscia profonda da essa scatenata.