Il problema del dolore, di quello innocente in particolar modo, era sentito in maniera acuta da don Carlo Gnocchi. Il "padre dei mutilatini" dedicò l'intera vita a combatterlo scientificamente, a lenirlo concretamente e a sublimarlo spiritualmente. Come per Giobbe, per i grandi tragici dell'antichità e per i pensatori di ogni tempo lo scandalo del dolore innocente non ha cessato di inquietare don Carlo fino alla fine. In questo ultimo suo scritto, le cui bozze sono state completate sul letto di morte, il dolore suscita due contrastanti interpretazioni: enigma per il non credente, mistero per chi si affida a Dio. La sofferenza dei bambini diventa per don Gnocchi l'icona stessa del dolore innocente, quello che in alcun modo può essere correlato alla colpa, e si pone come il "caso limite", la chiave per comprendere ogni dolore umano, così che "chi riesce a sublimare la sofferenza degli innocenti è in grado di consolare la pena di ogni uomo umiliato dal dolore".
- Prefazione di Giuseppe Mani, Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia
- Presentazione di Luigi Rossini, Brigadiere Generale – Comandante della Brigata Alpina Tridentina
- Introduzione di monsignor Aldo Del Monte, Vescovo emerito di Novara.
Davanti all’immane tragedia della ritirata di Russia degli Alpini della Divisione Tridentina, che lascia sui bordi delle strade della sterminata steppa russa giovani a morire, senza speranza di salvezza alcuna né possibilità, per i moribondi, di essere confortati, se non dalla fede offerta con umiltà, Don Gnocchi scopre il volto di Cristo e il senso ultimo di quella terribile vicenda. Così come vide la grandezza dei suoi alpini, dopo la vittoriosa battaglia del 17 gennaio del ’43 per rompere l’accerchiamento russo. Una giornata così epica da fargli esclamare: «Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio».
È uno scritto-confessione che cambia il corso della sua vita e inaugura la sua opera di carità. Una carità smisurata, che segnerà per sempre la sua esistenza, connoterà una parte della storia d’Italia, e che offre ancora oggi aiuto e speranza alle generazioni che si avvalgono dei servizi della Fondazione che porta il suo nome.
Non una “fragilità bella”, perché non è vero; e neppure una “bellezza fragile”. La fragile bellezza è il titolo del concorso promosso dal Centro Girola della Fondazione Don Carlo Gnocchi al quale sono pervenuti 159 racconti poetici, una parte dei quali è ora pubblicata nel volume.
La lettura dei testi ‚Äì scrive Mario Mozzanica nell ºIntroduzione - ¬´daÃÄ una conferma eccezionale: il malato, il fragile, il disabile, in non autosufficiente non diventa mai, come nella cultura corrente, un sostantivo. Resta sempre un aggettivo, che qualifica una persona nella sua irriducibile irripetibilitaÃĬª.