La filosofia come genere letterario comincia con il dubbio, con un "no". Non è vero quel che gli uomini ritengono vero in generale, non è giusto, né bello né buono quel che è generalmente riconosciuto come tale. Così anche tutte le filosofie iniziano con il dubbio. Gli allievi di Socrate imparano dal loro maestro a dubitare di tutto quel che hanno dato per scontato. Il loro amato Omero mente sugli dèi: non è meglio essere ingiusti che subire ingiustizia. Devono imparare a dubitare della giustizia delle leggi e della morale della loro città. Questo è l'inizio della sapienza. Eppure, mentre gli allievi di Socrate devono imparare a dubitare, il loro maestro non dubita: egli è in possesso della verità indubitabile. Questa verità è la sicurezza stessa, il fondamento dell'essere umano.
A sessant'anni dalla firma dei Trattati di Roma, l'Unione Europea vive la più profonda crisi della sua storia: nazionalismi, populismi, divisioni politiche ed economiche minacciano di distruggere il sogno di un'Europa unita e pacificata. Rivolgendo uno sguardo particolare alla difficile situazione politica del suo Paese, l'Ungheria, assediata dal razzismo e dalla questione rom, Ágnes Heller mette in discussione i cosiddetti "valori comuni europei", si interroga sul ruolo dei singoli cittadini e solleva una domanda scottante: l'Europa è qualcosa di più di un museo? Da questo libro emergono i grandi paradossi che caratterizzano tanto il continente europeo quanto l'intera cultura occidentale: universalismo umanista e fanatismo nazionalista, tolleranza e xenofobia, totalitarismo e libertà. Conflitti che si fanno più drammatici nella crisi dei rifugiati e che mettono in serio pericolo l'intera costruzione di una comunità europea. Ma Heller, con tenace fermezza, suggerisce che non bisogna rinunciare a realizzare il sogno di una Europa umana: questa utopia dipende da noi.
Considerato già un classico della filosofia del Novecento, "Teoria dei sentimenti" esamina la complessa questione dei sentimenti umani da prospettive diverse: fenomenologica, analitica e storica. Indagando pulsioni e affetti, la filosofa ungherese va in cerca della natura del "sentimento" in sé, al di là della sua mutevolezza, attraverso un intenso scandaglio delle differenti categorie emotive. Riflettendo sulle varie modalità del coinvolgimento umano, Heller mette in luce i tratti peculiari dell'economia emozionale delle relazioni moderne e offre, alla luce della teoria dei sentimenti qui proposta, un nuovo sguardo sulla natura dell'espressione, delle divisioni sociali, della sofferenza e della responsabilità che risulta ancora oggi estremamente attuale.
Agnes Heller racconta per la prima volta il suo cammino filosofico, intrecciando lo sviluppo delle proprie idee alle sfide storiche e politiche del suo tempo (dal gulag ad Auschwitz, dalla rivoluzione all'emigrazione). La storia del suo pensiero viene presentata in quattro tappe: gli “anni dell'apprendistato”, a lezione da Gyorgy Lukacs, prima e dopo la rivoluzione ungherese; gli “anni del dialogo”, epoca di fermento, discussione e condivisione all'interno della cosiddetta “Scuola di Budapest”; gli “anni della formazione e dell'intervento”, caratterizzati dall'impegno politico durante l'esilio australiano; infine, gli “anni dell'emigrazione”, fra lezioni e conferenze in giro per il mondo, dopo la morte dell'ultimo marito Ferenc Fehér. Un'avventura intellettuale di straordinaria intensità che attraversa l'intero “secolo breve” e si confronta con il vortice dei suoi più scandalosi enigmi.
Non ci sarebbe bisogno di leggi, di regole, di comandamenti, se non ci fossero uomini e donne disposti all'imbroglio, alla menzogna, al furto, al falso giuramento e all'omicidio. Eppure - sostiene Ágnes Heller - fino a quando la capacità di distinguere il bene dal male prevale sugli altri princìpi, resta valido un punto centrale di riferimento morale. «Certamente ogni persona retta lo è in modo diverso, ciascuno a suo modo, ma l'uomo e la donna retta rimangono sempre colui o colei che preferirebbe, se fosse posto di fronte a una scelta, soffrire un'ingiustizia piuttosto che commetterla, subire un torto piuttosto che farlo di proposito a un altro». Tuttavia, la rettitudine non è immediatamente identificabile con la bontà o con la scelta della sofferenza come testimonianza morale. L'irreprensibilità di una persona retta è molto più modesta: essa sceglie di soffrire solo nel caso in cui l'unica alternativa alla sua sofferenza sia la causa indiretta della sofferenza altrui.