«Non c'è cosa, nemmeno la più infima del mondo, che non sia connessa agli anelli della catena e tutto si collega nel suo segreto». Moshe Idel indaga qui i contenuti di questo segreto, riconsiderando il rapporto fra il misticismo ebraico e i rituali tradizionali dell'ebraismo. Mentre le impostazioni classiche della ricerca leggono gli insegnamenti cabalistici principalmente dal punto di vista teologico, la proposta di Idel è di "partire dal basso", dalle pratiche rituali e dalla loro trasformazione in tecniche per il raggiungimento di un contatto con il divino. "Catene" e "corde" intessute di lettere e nomi ebraici attraversano l'universo, permettendo ai mistici di ascendere ai livelli più alti e di attirare in basso la potenza divina. Le dinamiche della vita religiosa ebraica vengono così reinterpretate nei circoli cabalistici e hassidici mediante l'immaginario di un "mondo incantato", presieduto da forze divine che non risiedono solamente nelle sfere più alte, ma possono essere colte nella recitazione del Nome divino, nello studio della Torah o finanche nella voce della preghiera.
I primi versetti della Genesi costituiscono da sempre un'arena di scontro per esegeti, filosofi e mistici. Tutto ruota intorno all'oggetto d'indagine della teodicea, quella branca della teologia che studia l'origine del male: si tratta di una realtà presente nella creazione e addirittura in Dio? Preesiste al bene, così come le tenebre preesistono alla luce? È una scorza dura che protegge un frutto succoso dagli attacchi di chi lo vuole distruggere? In antichi testi ebraici si legge che Satana fu il primogenito di Dio, o che il primogenito di Adamo, Agrimas, potenza primordiale malvagia, prese in moglie una lilit, una demonessa, la quale gli generò novecentomila figli che avrebbero invaso il mondo e imposto la loro supremazia se non fosse intervenuto Matusalemme a sterminarli con una spada magica. La storia della generazione del male da un principio positivo appare già nel IX secolo in un passo del vescovo Agobardo di Lione, dove si attribuisce agli ebrei la credenza in un Dio il quale, seduto sul suo trono sorretto da quattro bestie in una sorta di grande palazzo, «fa pensieri superflui e vani che, data la loro inanità, si trasformano in demoni» – una formulazione destinata a riverberarsi in molte forme della tradizione cabbalistica medioevale. Basandosi sull'analisi di testi perlopiù ignoti, ignorati o fraintesi dalla ricerca contemporanea, Moshe Idel indaga in pagine dense e coinvolgenti i processi che portarono all'adozione nel giudaismo di tradizioni dualistiche iraniche o gnostiche e all'elaborazione di gerarchie ontologiche in cui i due princìpi opposti di bene e male sono comunque intesi come entità subordinate al loro creatore. E solo di rado il male appare in forme diaboliche, perché in fondo esso deve la sua vitalità alle scintille di Dio che vi si trovano incluse, senza le quali sarebbe incapace di agire o addirittura di esistere.
"I pilastri cui si riferiscono questi testi non sono elementi architettonici concreti, come succede spesso nelle religioni popolari in Europa o con lo stupa nel Buddhismo. Il termine "pilastro" ricorre in altri contesti nel Giudaismo, come il "pilastro della preghiera". Nell'ambito delle nostre discussioni, comunque, il pilastro è interpretato in due modi. Esso viene proiettato nei reami trascendenti, come il paradiso, e percepito in certe forme di esperienza omiletica immaginaria, oppure viene identificato con il giusto, con il corpo della persona che esegue i riti o le tecniche che la trasformano in una figura pontificale. Immaginari o concreti che fossero, questi pilastri hanno ispirato le vite, i sogni e le aspirazioni di molti Ebrei, e un senso di trascendenza personale, di toccare mondi più alti, ha dato forma alle loro esperienze e al loro adempimento di atti religiosi." (Dalle "Osservazioni finali")
Quando apparve nel 1988, questo libro - qui riproposto in una nuova edizione aggiornata e accompagnato da un'Introduzione che passa in rassegna i risultati più significativi della ricerca successiva - diede luogo a una feroce polemica. Gli allievi di Scholem, che pure a Idel era legato da un profondo rapporto di stima, si scagliarono unanimi contro quella che ai loro occhi appariva come la confutazione dell'opera del maestro e la demolizione di un dogma. Benché estraneo agli intenti blasfemi che gli furono attribuiti, il libro - oggi divenuto un classico - segnava innegabilmente un punto di svolta nelle indagini sulla mistica ebraica, offrendo, sulla scorta di una sterminata documentazione inedita, un'interpretazione innovativa della Qabbalah e in particolare dei suoi aspetti più affascinanti e trascurati: quelli magici. L'assoluta rilevanza dei temi affrontati - a partire dalla questione dell'antichità della Qabbalah (Idel sovverte qui una classica teoria di Scholem, giungendo a dimostrare l'influsso determinante dell'ebraismo sulla Gnosi) -, l'ampiezza dei materiali esplorati, le inedite prospettive dischiuse alla ricerca, i riferimenti comparativi alla filosofia greca, a quella araba medioevale e alle più diverse forme di pensiero religioso contribuiscono a fare di quest'opera una lettura imprescindibile per chiunque voglia accostarsi alla tradizione mistica della Qabbalah.
Il maschile, il femminile e le relazioni erotiche che ne derivano costituiscono, fin dall'epoca più remota, anche un modo di pensare le coppie di elementi opposti o complementari e i rapporti che intercorrono fra essi. In Occidente, alla tradizione di pensiero che da Empedocle e dal "Simposio" di Platone giunge sino ai testi ermetici si affianca quella ebraica, e più specificamente cabbalistica. Il racconto della creazione androgina del primo essere umano e della sua scissione in Adamo ed Eva e l'interpretazione del "Cantico dei Cantici" sono i fondamenti da cui si sviluppano speculazioni che estendono la sfera del pensiero erotico fino ad abbracciare la dimensione intradivina, creando una molteplicità di coppie sessuate che si rifrangono specularmente a tutti i livelli della realtà. In questo libro Moshe Idel, lo studioso che ha ripreso e sviluppato in nuove direzioni le indagini di Scholem, si addentra in quella che egli definisce la "cultura dell'eros" peculiare dell'ebraismo, dove il rapporto sessuale non solo assolve a un comandamento fondamentale, ma ha una valenza cosmica, poiché esercitando un'azione teurgica sulla sfera superna favorisce di riflesso l'unione di Dio con la sua consorte, la "Shekhinah", ovvero la sua presenza immanente, e fa così discendere sul mondo la benedizione dell'influsso divino. L'eros rappresenta dunque una via d'accesso privilegiata tanto alla conoscenza teosofica quanto all'esperienza mistica.
La concezione secondo la quale sarebbe possibile creare degli esseri viventi ricorrendo a pratiche magiche si trova nelle tradizioni di molti popoli. Molte popolazioni antiche conferivano il potere della parola a idoli e immagini. Greci e arabi associavano queste attività creative a speculazioni astrologiche consistenti nel captare la spiritualità delle stelle e a insufflarla nelle creature. Nel giudaismo, invece, lo sviluppo dell'idea di Golem è del tutto indipendente dall'astrologia; poggia su concezioni che hanno a che fare con il potere creativo del linguaggio e delle lettere: "la pratica della creazione del Golem costituisce un tentativo umano di conoscere Dio per tramite del mezzo che Dio mise in opera per creare l'uomo".
Nel 1280 il grande cabalista aragonese Avraham Abulafia giunge a Roma per incontrare il papa Niccolò III e per comunicargli la sua visione della "redenzione finale" del mondo, il pontefice rifiuta di dargli udienza e il cabalista viene arrestato. Abulafia è solo uno dei tanti mistici-Messia della tradizione ebraica, maestri che diedero spesso origine a veri movimenti di massa. Questo saggio è una ricostruzione del misticismo messianico dalla "Qabbalah estatica" medievale sino alla modernità, con un'analisi della varietà di modelli impiegati nell'attività di redenzione volta a sconfiggere il male e l'imperfezione del cosmo, da quello mistico ed estatico, attraverso quello teosofico-teurgico fino a quello magico-cabalistico.
Per molti lettori, il libro attraverso il quale si sono avvicinati alla mistica ebraica è il trattato di Scholem "Le grandi correnti della mistica ebraica". E lì avranno trovato, nel capitolo sul cabbalista 'Abulafia, la citazione di un testo che racconta il procedere di un'esperienza estatica. Quel testo, che sembra condensare in sé le peculiarità della speculazione cabalisitca, era lo "Sa'are Sedeq. Le porte della giustizia", di cui, fino ad oggi, mancava un'edizione filologica ed era altamente incerta l'attribuzione. Oggi Moshe Idel, che ha occupato il posto di Scholem, presenta questa prima edizione corredata da un vasto commento, proponendone l'attribuzione a un discepolo di 'Abulafia, Rabbi Natan ben Sa'adyah Har'ar.