Diversamente dalle altre aree del mondo nelle quali si trovarono a operare, i missionari della Compagnia di Gesù dovettero misurarsi in Giappone con l’ostilità di una buona parte dell’aristocrazia, che si riteneva depositaria di una civiltà superiore, e della casta dei Bonzi, che vedeva i propri privilegi minacciati dal pericolo di una nuova religione. Tali difficoltà di insediamento, unitamente al problema della lingua, misero a dura prova le capacità inventive e il processo di adattamento al territorio. Il risultato fu, nelle arti sceniche, una lenta ma progressiva evoluzione di tecniche di rappresentazione, il più delle volte inedite e originali, che non mancarono di utilizzare forme espressive topiche, approdando in qualche caso a veri e propri sincretismi che riguardarono anche il teatro Nō. Ambientato fondamentalmente nel clima della cerimonialità festiva del Natale e della Settimana Santa, il percorso evangelizzatore dei gesuiti consentì in questo modo per la prima volta, anche nei campi della musica, della danza e del teatro, l’incontro fra la cultura occidentale e quella giapponese, determinando contaminazioni che attendono di essere riconosciute nel panorama internazionale della storiografia dello spettacolo.
Nella storia universale del teatro un ruolo tutt'altro che marginale va riconosciuto alle pratiche sceniche messe in atto nel Centro e Sud America dai padri missionari nel corso della loro azione evangelizzatrice svolta nell'età coloniale. Ciò soprattutto in relazione alle dinamiche attuative rispondenti a necessità di persuasione e comunicazione. Gli stessi sincretismi, al di là delle valenze etno-antropologiche, vanno visti come apporti originali alla pratica teatrale, legittimamente riconducibili a princìpi fondamentali del fare teatro. È quanto i padri francescani (nella prima stagione della colonizzazione) e i gesuiti (successivamente) seppero mettere in atto con modalità diverse, ricorrendo anche alla partecipazione attiva degli indios, dei quali seppero valorizzare cultura e tradizioni, oltre che le doti artistiche, in particolare nel campo della musica e della danza. All'opera di questi uomini, rimasti in buona parte nell'anonimato, il volume rivolge quell'attenzione utile a meglio comprendere molteplici significati dell'arte scenica, in un contesto estraneo alla visione eurocentrica del teatro borghese.
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo Parigi vive la sfrenata corsa al divertimento di una società aperta ad ogni forma di novità, fra "café chantants" e atmosfere "éclatantes" offerte da teatri gestiti da impresari dal piglio internazionale o dagli spettacoli di "foire" dei grandi eventi fino al gusto del "guiness". Su un altro piano c'è il bisogno di garantire dignità artistica al teatro a fronte della banalità e della routine del teatro commerciale, ma anche di proiettarlo verso prospettive di radicale rinnovamento dei criteri di messinscena. In questo variegato panorama si intrecciano percorsi diversi, persino contrapposti, che vedono coinvolti artisti ed esperienze provenienti da tutta Europa, da Appia a Meyerhold, da D'Annunzio ai Balletti Russi a Fortuny. Insieme a questi, una schiera di innovatori e sperimentatori francesi, da Lugné-Poe a Rouché, da Copeau a Gémier, senza trascurare gli apporti dei promotori del "théâtre du peuple" con in testa Romain Rolland, fanno di Parigi un crocevia importante nella storia della cultura per molteplicità e varietà di contributi. Di questo articolato scenario, si è ritenuto opportuno, oltre che offrire una visione d'insieme, evidenziare apporti interessanti rimasti tuttavia nell'ombra o poco valorizzati rispetto al lavoro dei padri fondatori riconosciuti della scena europea del Novecento.
Sfidando l'equivoco della 'municipalità" questo saggio intende illustrare le dinamiche che, dopo aver bloccato sul nascere il mestiere del comico in Sicilia nel tempo in cui questa professione stava per prendere avvio come nel resto del continente italiano, favorirono lo svilupparsi di altre idee di teatro destinate, tuttavia, a rimanere ai margini degli statuti consolidati della storiografia. Lungi dal proporsi come défense fine a se stessa di un territorio, questo studio punta da un lato a fare chiarezza su una cultura diversa da quella dominante, dall'altro a stimolare riflessioni utili per una visione più ampia del panorama del teatro dell'età moderna, al tempo stesso proiettata verso gli sviluppi di quella contemporanea.