In oltre trent'anni di carriera, François Jullien ha esplorato le latitudini del pensiero cinese attraverso l'utilizzo di categorie necessariamente al di fuori dagli abituali percorsi analitici occidentali. In "Vivere di paesaggio", Jullien affronta la nozione "cinese" di paesaggio, un concetto che cessa qui il suo legame esclusivo con vista e spazio per aprirsi a un'estetica dello sguardo che si riconcilia con le sue proiezioni. Il paesaggio smette dunque di essere qualcosa da contemplare e si tramuta in uno scenario da vivere attivamente come composizione di opposti, come intreccio di correlazioni. Proprio i cinesi furono i primi a pensare il paesaggio, presentandolo come un campo costituito da tensioni tra ciò che è alto e ciò che è basso, ciò che è mobile e ciò che è immobile, ciò che si vede e ciò che si ascolta. L'opera di Jullien invita a calarsi in questo affascinante scenario dove dimensione percettiva e dimensione affettiva si confondono in un unico spirito.
Nel suo personale itinerario speculativo François Jullien alterna testi più lunghi e articolati a saggi brevi, intensi, privi di note e adatti anche a un pubblico di non specialisti in materia sinologica o filosofica. In questo scritto breve tocca la questione della presenza e della "vita a due", e del rischio che la presenza si assopisca e si banalizzi. Senza concentrarsi solo su un soggettivismo psicologico, Jullien rintraccia e inscrive quella faglia o cedimento all'interno dell'Essere stesso: la caduta nella monotonia di una presenza disattivata, smorzata, inerte non rappresenta semplicemente un rischio del soggetto; sprofondare nell'inerzia è una possibilità ontologica, è strutturale all'Essere. L'Altro assume allora un rilievo cruciale, perché è colui, o colei, che può riattivare la presenza e mantenerla viva - a patto di saperla accogliere, custodire e incentivare.
"Chi non vorrebbe, nel tempo di una serata, entrare in un pensiero che è esterno al nostro, come quello cinese? Ma non vi si può accedere cercando di riassumerlo o tracciandone la storia: resteremmo sempre dipendenti dalle nostre prospettive, dai nostri concetti. Non lasceremmo davvero il nostro pensiero, quindi non potremmo entrare in un altro." Così inizia il libro di François Jullien, filosofo che da trent'anni studia il modo per entrare in un pensiero, quello cinese, che non è accessibile se non uscendo dalle nostre categorie. Questo libro rappresenta una sintesi e una sistemazione del suo percorso di ricerca e approda a un compito rivoluzionario: concepire una storia dell'accadere dello spirito che non dipende più solo dall'Europa. Se la filosofia occidentale ha esaurito la sua carica vitale, come spesso si dice, è giunto il momento di "aprirsi" a Oriente e accedere a un pensiero inesplorato che possa offrire nuovi concetti e nuove prospettive.
I cinesi, in politica e in poesia, privilegiano l'espressione allusiva, la formulazione involuta; al confronto diretto preferiscono la sottigliezza di un approccio obliquo. Piuttosto che considerare questa differenza in termini naturalistici o psicologici, Jullien ci mostra la logica di tale strategia del senso. Ma ci porta anche a riflettere su alcuni dei nostri "partiti presi" teorici: soprattutto su quello che pretende di considerare l'oggetto del discorso come il solo in grado di interpretare lo sdoppiamento della parola nella cosa e nell'idea. Nei testi della tradizione cinese scopriamo quindi un discorso dell'"indizio" che non punta alla generalità delle essenze, ma integra le prospettive semiotiche con continue variazioni di senso.