Nel mondo occidentale le immagini dipinte o scolpite sono state per lungo tempo considerate «incarnazioni» del Divino, e hanno trovato in questa loro natura duplice, celeste e terrena insieme, la propria giustificazione. Nel divenire uomo, Cristo stesso si è fatto «figura» fondando per i Padri della Chiesa la legittimità dell'immagine. Le immagini di culto hanno dunque potuto acquistare nei millenni dimensioni affettive e liturgiche: esse sostengono, accolgono, ravvivano il vincolo che tiene insieme una comunità, così nel cristianesimo occidentale sino alla Riforma e nel cristianesimo ortodosso. Questo libro indaga e interroga i teologi della prima età moderna - Erasmo o Calvino - ma anche scrittori e filosofi - Dostoevskij e Florenskij, Heidegger, Simone Weil, Pasolini - che hanno espresso un ragionato dissenso in rapporto alle avanguardie otto-novecentesche, rivendicando invece il fondamento metafisico o religioso dell'immagine.
Mai come oggi il mondo dell'arte appare distante dalla teologia e dalla spiritualità cristiana, dopo secoli in cui la Chiesa è stata un attore fondamentale dell'elaborazione estetica e anche della committenza di opere artistiche. Come si è arrivati a questa situazione? Siamo a un punto di non ritorno? Interpellando sul tema artisti e studiosi di storia dell'arte e di estetica, sono nati 19 dialoghi, tutti segnati dalla volontà di capire come l'arte contemporanea, figlia di una tradizione più che millenaria, possa tornare a porsi in rapporto con il "sacro" cristiano. È solo l'inizio di un cammino, che si annuncia promettente e fecondo.