“Chi aumenta la propria conoscenza aumenta la propria ignoranza”, scriveva Friedrich Schlegel. “Io vivo sempre più avvertendo la presenza dell’ignoto dentro il noto, dell’enigma dentro il banale, del mistero dentro ogni cosa e, soprattutto, dell’avanzare di una nuova ignoranza dentro ogni conquista della conoscenza”, ci dice Edgar Morin.
Così in questo libro si spinge a esplorare i territori del sapere, in cui ci si imbatte
in una terna inseparabile: conoscenza, ignoranza, mistero. Tutti i progressi delle scienze suscitano nuovi interrogativi e sfociano nell’ignoto: quello dell’origine, della fine, della natura della realtà. Più si vede quel che c’è di razionale più bisogna vedere anche quel che sfugge alla ragione ma il mistero non svaluta affatto la conoscenza che vi approda, al contrario, stimola e fortifica il senso poetico dell’esistenza.
Pubblicato la prima volta in Francia nel 1962 "Lo spirito del tempo" è stato il primo studio apparso in Europa sulla cultura di massa. Nelle due parti in cui si articola l'opera Morin analizza forme, contenuti, meccanismi ed effetti della cultura di massa riuscendo a dimostrare come questa non sia solo un nuovo strumento per fughe immaginarie dal mondo, ma anche produzione di precise modalità di partecipazione alla realtà del XX secolo.
Che cosa è una crisi? È l'aumento del disordine e dell'incertezza all'interno di un sistema individuale o collettivo. Questo disordine provoca il blocco dei dispositivi di organizzazione, determinando da una parte delle rigidità, dall'altra lo sbocco di virtualità fino allora inibite. La natura propria della crisi è di scatenare la ricerca di soluzioni nuove, e queste possono essere sia immaginarie, mitologiche o magiche, sia, al contrario, pratiche e creatrici. Così la crisi è potenzialmente generatrici di illusioni e/o di attività inventive e, più in generale, può essere fonte di progresso.
Le nostre conoscenze sull’umano, sulla vita, sull’universo, sono in piena espansione. Sono anche separate e disperse. Come legarle fra loro? Come affrontare problemi che sono nello stesso tempo complessi, fondamentali, intellettuali e vitali? Come situarci nell’avventura della vita e in quella dell’universo, tenendo conto del fatto che l’umano è interno all’universo e l’universo è interno all’umano? La risposta di Edgar Morin è luminosa di intelligenza e accessibile a tutti.
L’autore ci invita a “pensare globale”, cioè a considerare l’umanità nella sua natura “trinitaria”, poiché ciascuno è nello stesso tempo un individuo, un essere sociale e una parte della specie umana.
L’umanità è trascinata nella corsa sfrenata della mondializzazione: la riflessione di Morin ci propone di scrutare il suo futuro senza cedere alla facilità dei luoghi comuni né alle ingiunzioni dell’attualità.
"I miei demoni" è un racconto-saggio nel quale lo scrittore, lo storico e il pensatore si fondono. Vi si ritrova lo sguardo del sociologo attento agli eventi del presente, quello dell'antropologo che si rivolge al mito e all'immaginario e infine quello dell'autore de "Il metodo", per la quale la complessità è diventata la sfida che l'animo umano deve affrontare. L'autore investe con critica corrosiva le grandi ideologie del nostro secolo: il nazismo e gli orrori dello stalinismo, il nazionalismo intransigente, il capitalismo e la globalizzazione. Un affresco nel quale la vita dell'uomo e la storia si uniscono sintetizzando la crisi di un secolo.
Edgar Morin si interroga sull'amore, la poesia, la saggezza, tre elementi che illuminano la nostra vita e nascondono, tuttavia, la propria origine misteriosa e la propria complessità. L'amore può essere vissuto soltanto in uno stato di "innamoramento", in cui questo sentimento si rigenera continuamente. La poesia è uno "stato secondo" che s'impadronisce di noi quando siamo in preda al fervore, all'amore. Quanto alla saggezza, il problema che l'autore si pone è: si può avere una saggezza moderna? Si vedrà come amore, poesia, saggezza risultino avere profondi e reciproci legami.
Morin riflette qui sul rapporto del cinema con il reale e l'immaginario, e ne evidenzia le relazioni con i processi profondi della psiche e della conoscenza. Il cinema implica una percezione realizzata in stato di doppia coscienza: l'illusione di realtà è inseparabile dalla coscienza che si tratta effettivamente di un'illusione. In questo modo il cinema mette in gioco qualcosa di magico che ci permette di entrare in un universo nuovo senza sentirci spaesati: una trasfigurazione estetica che ci fa anche scoprire il mondo. L'intensità emotiva dello spettatore è l'elemento che innesca una metamorfosi cognitiva, ma è anche il fondamento dello spettacolo, e questo chiama in causa le implicazioni economiche, sociali, antropologiche e politiche di un fenomeno complesso come il cinema nel quadro della cultura globale dei media.
Sulle tracce di "La testa ben fatta" e "I sette saperi necessari all'educazione del futuro", Edgar Morin auspica una riforma profonda dell'educazione, fondata sulla sua missione essenziale, che già Rousseau aveva individuato: insegnare a vivere. Si tratta di permettere a ciascuno di sviluppare al meglio la propria individualità e il legame con gli altri ma anche di prepararsi ad affrontare le molteplici incertezze e difficoltà del destino umano. Questo nuovo libro non si limita a ricapitolare le idee dei precedenti ma sviluppa tutto ciò che significa insegnare a vivere nel nostro tempo, che è anche quello di Internet, e nella nostra civiltà planetaria, nella quale ci sentiamo così spesso disarmati e strumentalizzati.
Questo libro, ormai un classico, costituisce un unicum nella storia del pensiero poiché non è soltanto una summa di quanto sia stato detto, pensato e pubblicato sulla morte, ma è anche un orizzonte capace di ridare alla luce una consapevolezza e una sensibilità moribonde, ai giorni nostri ancor più di quando il libro era stato scritto. L'idea della morte ha subito un processo di rimozione coatta. Tutto quanto non risulti tangibilmente fruttuoso per il godimento immediato o per la realizzazione di una carriera viene rimandato al mittente, tutto e specialmente la morte. Il problema è che rinunciando alla riflessione non si riesce a bandire sul serio il punto di approdo di ogni vita e così la morte, a cui si sbatte in faccia la porta, ritorna attraverso le finestre della nostra disattenzione o penetrando nelle fessure di tutta la nostra vita interiore creando un vertiginoso sperdimento che ci spinge nelle direzioni più svariate alla ricerca di una pacificazione che né gli "esperti" né i guru sanno dare. Questa edizione si arricchisce di una nuova traduzione, che restituisce mimeticamente la "voce" e lo stile così peculiare dell'autore, e di una lunga intervista in cui Morin affronta temi come il prolungamento della vita, il concetto di transumanità, l'accompagnamento del morente, il suicidio e l'eutanasia: poiché, se la morte non cambia, cambiano le condizioni in cui si verifica.
"Benché la prendessi due volte al giorno, la linea numero 2 non smetteva di rivelarmi la sua intensa poesia. Sentivo come di salire in cielo nel momento in cui il metrò usciva da terra, alla fermata Combat, per poi arrivare maestosamente alla stazione Jaurès." Evocando ricordi legati ai differenti anni e ai vari quartieri della capitale, da Saint-Germain-des-Prés a rue Soufflot, dal Marais a Montparnasse, Edgar Morin racconta la sua vita, iniziata l'8 luglio 1921 in rue Mayran, nel 9° arrondissement di Parigi, ai piedi della butte Montmartre. A ogni trasloco corrispondono tappe diverse della vita amorosa e intellettuale dell'inventore del "pensiero complesso": un itinerario nel cuore di Parigi, la città amata, dei caffè e dei bistrot frequentati dagli intellettuali, un racconto sfavillante di intelligenza e di ironia dal più anticonformista dei giovani novantenni, che ha vissuto da protagonista le vicende culturali e politiche dell'Europa degli ultimi sessantanni.
È questo il cammino di un uomo. È questo il pensiero che si è formato nel corso di questo cammino e il capolavoro che ne è derivato. Attraverso le interviste che Edgar Morin ha concesso a Djénane Kareh Tager, questo libro mostra l'unità di un'opera attraverso la sua varietà, l'unità di una vita attraverso le sue vicissitudini. Ne "Il mio cammino" è l'uomo a parlare, senza dissimulare le sue emozioni né le sue passioni. Quest'uomo ci racconta la sua esperienza della vita, dell'amore, della poesia, della vecchiaia e della morte.