I corridoi umanitari sono uno strumento di ingresso legale in Europa offerto a persone vulnerabili, in fuga da guerre, persecuzioni, fame. Salvano soprattutto famiglie con bambini, soggetti con disabilità, donne sole, anziani, malati. Rappresentano una grande speranza malgrado la sproporzione numerica tra i beneficiari e quanti languono in lunghi esodi tra mari, montagne, deserti. Non sono un lasciapassare per chiunque, ma poiché debolezza e patimento sono la realtà di pressoché tutti i profughi e i migranti, i corridoi hanno un significato universale. Promossi dalla società civile con l'appoggio dello Stato, i corridoi sottraggono persone sradicate ai trafficanti delle rotte illegali, ai barconi di fortuna delle traversate mediterranee, alle violenze delle rotte balcaniche, ai soprusi dei paesi canaglia, ai rovinosi rimpatri forzati. Nella forma sperimentata in Italia, hanno la caratteristica d'integrare efficacemente i beneficiari nelle comunità locali d'approdo, in un processo di sponsorship e di autofinanziamento focalizzato sulla società civile.
Vent'anni fa l'AIDS ha messo a rischio la sopravvivenza di un intero continente nell'indifferenza delle maggiori istituzioni internazionali. Dal 1996 le cure per l'AIDS, in Occidente, esistevano. E si poteva sopravvivere in buona salute. All'Africa invece le terapie erano negate, sebbene in quell'area i malati si contassero a milioni e non a migliaia come nei paesi ricchi. Perché questo doppio standard? Si dubitava della capacità degli africani di assumere regolarmente le medicine; le fragili sanità pubbliche africane erano considerate inefficienti; i costosi farmaci antiretrovirali contro l'AIDS, che in Occidente salvavano vite, apparivano un lusso (senza però che i corrispettivi farmaci generici, a basso costo, fossero presi in considerazione, per tutelare gli interessi delle multinazionali farmaceutiche). Dominava insomma un afro-pessimismo: curare i malati di AIDS nelle regioni subsahariane veniva giudicato una perdita di tempo e denaro. E intanto, la durata media della vita crollava e le economie collassavano. Malgrado gli sforzi di figure come Kofi Annan, Stephen Lewis, Jeffrey Sachs e di tanti medici e volontari sul campo, l'opzione terapeutica si sarebbe affermata in Africa lentamente. L'accesso universale alle terapie sarebbe stato convenuto a livello internazionale soltanto intorno al 2015. La storia di come si è invertita la rotta nel nome della necessità di salvare il numero più alto possibile di vite è una lezione esemplare che ci può aiutare ad affrontare meglio il presente. Prefazione di Jeffrey Sachs.
Questo libro raccoglie le memorie di prigionia di due martiri albanesi che hanno vissuto la dittatura di Enver Hoxha. Anton Luli e Gjovalin Zezaj svelano il prezzo della grande utopia albanese: passare da paese più arretrato d'Europa a paese guida della rivoluzione mondiale. Tra carceri e torture, gulag e lavori forzati, il sogno egualitario si realizza a rovescio, nell'abbrutimento comune a tutti. Dopo il 1990, con l'avvento della democrazia, gli albanesi scopriranno che la vera felicità non sta nell'agognato consumismo bensì nell'essere e restare umani.
Dopo la caduta del muro di Berlino la modernità irrompe nell'Oriente europeo: popoli la cui identità si radica nella simbiotica unione fra nazione e religione si trovano di fronte alla difficile coabitazione con una cultura dove il senso della tradizione è perlopiù scomparso. Un processo che conduce all'attuale assetto: appartengono all'Unione Europea quattro paesi - Grecia, Cipro, Romania, Bulgaria - che hanno portato l'ortodossia al rango di seconda componente religiosa europea, dopo il cattolicesimo e seguita dal protestantesimo. Sono queste le condizioni di una reciproca conoscenza: dei popoli ortodossi da parte di quelli occidentali e, viceversa, della modernità da parte di coloro che un tempo abitavano dietro la cortina. Cogliere i momenti di questa integrazione che conduce verso la coscienza europea, quale è intento di questo libro, vuol dire confrontarsi con un bacino di significati che l'Oriente offre rispetto alle grandi sfide poste dall'Occidente: la storia e la tradizione, la politica e la democrazia, l'etica e l'antropologia, la scienza e la secolarizzazione, la globalizzazione e la difesa dell'ambiente. Vuol dire accostarsi a una realtà che rovescia la "logica" da cui proveniamo in quanto eredi dell'Ovest europeo, rendendola capace di esprimere - proprio stando in bilico fra gli opposti - il pensiero dei "movimenti immobili", delle "tenebre luminose", dei "silenziosi clamori".