"Nutro una certa predilezione per L'uva e il vento, forse perché è il mio libro più incompreso o perché attraverso le sue pagine io cominciai ad andare per il mondo. C'è polvere di strada e acqua di fiumi; ci sono esseri, continuità e altri posti che io non conoscevo e che mi furono rivelati in questo tragitto. Ripeto, è uno dei libri che amo di più". Così scriveva Pablo Neruda nelle sue memorie, a difendere il valore di un'opera che era apparsa ad alcuni critici troppo legata all'engagement politico dell'autore. E quell'impegno è ben presente nella raccolta, che tuttavia è soprattutto un lungo viaggio poetico attraverso continenti e paesi diversi. Fra questi, un posto particolare spetta all'Italia, dove Neruda arriva nel 1951.
Il libro raccoglie alcune delle più belle odi nerudiane dedicate al libro e al suo mondo: la tipografia, gli scrittori, la poesia, la critica... Dopo "Ode al vino e altre odi elementari", ancora una volta sorprende, di questo grande poeta, la molteplicità della sua ispirazione; niente sembra sfuggire alla sua poesia, e caratteristica peculiare delle odi nerudiane è proprio questa "conquista" delle cose e dei nomi nell'unico linguaggio che il poeta può riconoscersi: quello della poesia.
Il "Libro delle domande" si presenta forse come la più originale delle 'opere postume' nerudiane, con quel suo incalzante rincorrersi di domande senza apparente risposta, quasi una 'summa', come scrive Giuseppe Bellini nella prefazione, dei "molteplici interrogativi che da sempre hanno assillato il poeta". Ma nella poesia di Neruda tutto sembra essere originale e insieme ciclico; è una poesia, la sua, nata già matura e rimasta sempre giovane, dove i rimandi da una raccolta all'altra sono molteplici, quasi come un unico, incessante discorso lirico: vera e propria 'commedia umana', in versi, di questo grande e inimitabile poeta.
"Io vi consiglio di ascoltare con attenzione questo grande poeta e di cercare di commuovervi con lui; ognuno alla propria maniera. La poesia richiede una lunga iniziazione, come qualsiasi sport, ma c'è nella vera poesia un profumo, un accento, un tratto luminoso che tutte le creature possono percepire. E voglia Iddio che vi serva per nutrire quel granello di pazzia che tutti portiamo dentro, che molti uccidono per mettersi l'odioso monocolo della pedanteria libresca e senza il quale è imprudente vivere." (Federico García Lorca). La raccolta, curata da Donatella Ziliotto, contiene un pensiero di Daniele Silvestri.
Un'antologia che raccoglie il meglio della produzione di Pablo Neruda, dalle composizioni giovanili ai grandi libri della maturità. In questa scelta si trovano riuniti i temi classici della poesia del grande cantore cileno, l'amore, la lotta, gli ideali, la natura, la memoria, temi che la parola intensa e vibrante del poeta fa emergere con forza dalle pagine accompagnando il lettore lungo un percorso che lo avvicinerà progressivamente al suo mondo interiore. Testo originale a fronte.
"Todo el Amor" rappresenta l'unica antologia 'personale' di Pablo Neruda, che è andato egli stesso scegliendo e raccogliendo in questo volume quanto poteva meglio rappresentare l'ispirazione amorosa della sua poesia. Se è vero infatti che per Neruda è l'amore la forza maggiore della vita, è anche vero che questa fonte essenziale della sua poesia ha tardato ad essere riconosciuta, tanto che lo stesso poeta confidava a Giuseppe Bellini la sua contrarietà ad essere considerato solamente poeta dell'impegno, quando nella sua poesia aveva tanto posto il sentimento.
"I poemi riuniti ne Il mare e le campane, riprendono un lungo percorso esistenziale, evocano l'amicizia e l'amore, l'esperienza della Spagna e della guerra civile, determinante nella sua tragica esperienza per Neruda. La raccolta è soprattutto luogo di riflessione, meditazione sulla condizione drammatica dell'uomo di fronte alla malvagità e alla morte, realtà così insistentemente sottolineata, questa, dal poeta in tutta la sua opera, a partire dalla prima Residenza sulla terra, accentuata dall'intima adesione a Quevedo, il grande satirico e moralista del secolo XVII, poeta preferito, sempre presente..." (Dalla prefazione di Giuseppe Bellini)
"'I versi del Capitano' apparvero, anonimi, a Napoli nel 1952. La storia della raccolta l'abbiamo appresa dalla bocca di Neruda: queste poesie sono il documento agitato del suo amore per Matilde Urrutia, sbocciato a Capri durante la residenza del poeta nell'isola; l'anonimo sotto cui l'opera apparve si dovette al fatto che l'autore non volle ferire pubblicamente la donna alla quale allora era ancora legato... 'I versi del Capitano' rappresentano un momento decisivo nell'evoluzione spirituale del poeta. In essi sta il migliore Neruda, il più delicato e il più irruente, il più dolce e il più appassionato, il sommo artista, sempre nuovo e sorprendente in ogni momento della sua vastissima opera." (dalla prefazione di Giuseppe Bellini)
"Jardin de invierno" è senza dubbio uno dei libri nerudiani di maggior significato. Vi si colgono infatti importanti novità e atteggiamenti radicati, che richiamano le "Residenze sulla terra", ma che, se permettono di affermare una sostanziale continuità della poesia di Neruda dal punto di vista problematico, pervengono in realtà a formulazioni artistiche pienamente originali, si presentano nuovi per simboli, metafore e valori cromatici. "Jardin de invierno" rappresenta, nella sostanza, un rinnovato e drammatico momento di ricerca, d'interpretazione di se stesso da parte del poeta e al contempo un ulteriore tentativo di comprendere il mondo, reperimento di una chiave sempre negata.
"'La rosa separata' è un canto ininterrotto all'Isola di Pasqua, la mitica Rapa Nuj, 'rosa separata' dal tronco di un rosaio spezzettato 'che la profondità convertì in un arcipelago'. Il tema non è nuovo nella poesia di Neruda; già nel 'Canto generale' l'isola sperduta nell'oceano Pacifico, popolata di statue misteriose, era sentita dal poeta in tutta la suggestione personale, interpretata come 'ombelico del mondo'. Il carattere autobiografico della poesia nerudiana non si smentisce neppure ne 'La rosa separata'. Le allusioni a ciò che costituì l'esperienza vitale del poeta sono continue, assalgono il lettore ad ogni verso, e il senso intensamente drammatico dell'esistenza ritorna a manifestarsi con non attenuato vigore." (G. Bellini)
"'Fine del mondo' si chiude su una data, 1970, e su una prospettiva di altri trent'anni indecisi. In Neruda permane il dubbio intorno alla loro essenza, di "fiori" o di "fuoco", vale a dire se riserveranno all'uomo cose positive o negative. Ancora una volta il poeta non abdica al suo dovere verso l'umanità, al compito di stabilire la nuova tenerezza nel mondo, di affermare la sopravvivenza, su questo crepuscolo del secolo, dell'uomo infinito, e il raggiungimento inevitabile della felicità... Esaltatore dell'"uomo infinito", di ciò che in altra epoca definì "più grande del mare e delle sue isole", il poeta è cosciente che sarebbe un crimine abbandonare a se stessa l'umanità, lasciarla ripiegare su prospettive di morte." (Giuseppe Bellini)
I "Cento sonetti d'amore" rappresentano lo sviluppo, in forme di accentuata originalità e autonomia, di un motivo che viene di lontano. Il filone da cui scaturisce quest'opera affonda non solo in Stravagario, ma anche e soprattutto nei Versi del Capitano, documento di un'epoca turbolenta in cui l'amore si manifesta in raffiche improvvise, appare dominato da accese note di passione, insidiato da furori e gelosie, agitato da rinunce e ritorni, da condanne e proteste disperate, fino alla definitiva affermazione. Matilde equivale, per Neruda, alla terra; il bacio dato alla donna rappresenta l'unione con il mondo. Per il poeta l'amore è elemento che ravviva il mondo, miracolo che si verifica attraverso la presenza della donna.