Non ci si pensa, ma invecchiare significa anche vivere più a lungo di altri ed entrare in una età della vita dove non sempre si può contare su esperienze altrui, consolidate e condivise. Invecchiare richiede perciò una buona dose di consapevolezza e una disponibilità ad apprezzare le diverse prospettive che la vecchiaia offre. Martha Nussbaum e Saul Levmore, amici e colleghi di lunga data alla Chicago Law School e protagonisti di animate diatribe intellettuali, affrontano qui quegli argomenti, solitamente affidati a confidenze sussurrate o a riflessioni solitarie, oscurati nello spazio pubblico, legati come sono allo stigma sociale che accompagna la senilità. Prendendo a modello i dialoghi di Cicerone, gli autori si confrontano, talora con opinioni molto divergenti, su cosa significa, da vecchi, coltivare amicizie e amori, darsi alla filantropia e al volontariato, andare in pensione, scegliere alloggi assistiti, ricorrere alla chirurgia estetica, destinare la propria eredità, mostrando come la messa in comune e la discussione non solo siano utili, ma possano costituire anche uno dei grandi piaceri dell'invecchiare.
Una riflessione appassionata sulla relazione intima, ma non trasparente, tra il desiderio fin troppo umano di essere consolati e l'aspirazione a una giustizia universale. Passione per la giustizia, senso di fratellanza, gusto per la disputa intellettuale, doni inestimabili della tradizione, apertura al mistero, concentrazione nella preghiera, forza evocativa del rito, speranza. Tutto ciò non basta forse per spiegare la conversione all'ebraismo di Martha Nussbaum, ma costituisce uno sfondo essenziale per apprezzare integralmente il discorso da lei pronunciato in occasione del suo tardivo bat mitzvah - qui proposto per la prima volta in italiano - che è allo stesso tempo una testimonianza personale toccante e un esempio eloquente delle trasformazioni della sensibilità religiosa nel crepuscolo dell'età secolare. Sviluppando spunti teorici presenti sia nel testo biblico sia nell'opera di maestri del pensiero come Maimonide, Moses Mendelssohn e Rousseau, Nussbaum difende l'idea secondo cui «possiamo avere una consolazione autentica del sé, solo se ci impegniamo a favore di una vita dedita alla giustizia universale».