"Per abbattere un muro, non c'è che abbatterlo. Con altri sistemi, come il pensare molto a lungo e molto fortemente alla caduta del muro, non si abbatte." È questa la tensione che anima "La linea gotica": una sorta di diario privato che Ottiero Ottieri rivive in pubblico, un urgente e teso svilupparsi di riflessioni, racconti, esperienze personali che abbracciano un intero decennio, dal 1948 al 1958. È un libro che "deve essere letto oggi", come annota Furio Colombo nella prefazione, una storia dell'Italia del dopoguerra in cui l'autore vuole riconoscere soprattutto le angosce irrisolte e i tormenti taciuti, costringendosi a viverli sempre in prima persona, tanto nelle metropoli del Nord quanto nelle campagne della Toscana o nei paesi del Mezzogiorno. La sua analisi intellettuale non accetta di essere pura riflessione, ma esige l'immersione nel mondo della fabbrica, delle periferie, delle manifestazioni operaie di piazza, dove la nevrosi e l'alienazione si trasformano in malattia comune e incurabile. Il trauma personale dell'autore è quindi filtro e rivelazione del dramma sociale, il suo ricovero in ospedale la condivisione di una sorte estrema e comune, la sua lacerazione interiore una lente d'ingrandimento per scoprire che cosa resti, aldilà delle tabelle di rendimento, all'individuo e quale intima felicità sia ancora possibile per l'uomo prigioniero del meccanismo della produzione aziendale.
II Meridiano presenta sei testi, scelti per la loro eccellenza letteraria a rappresentare le molteplici capacità espressive e tematiche di Ottieri: "Donnarumma all'assalto" (1959), il romanzo più celebre, uno dei vertici della letteratura industriale; "La linea gotica" (1962, premio Bagutta), in cui Ottieri parla di "una linea gotica, mentale", di "dilemmi spirituali, dell'anima" che "si proiettano nella geografia"; "L'irrealtà quotidiana" (1966, premio Viareggio per la saggistica), "storia romanzata di una ossessione reale, dove il romanzo non consiste più né in figure né in personaggi, ma nel moto della narrazione" secondo Giuseppe Montesano; "Confessa" (1975), romanzo in cui grazie allo sdoppiamento dell'io narrante in un personaggio femminile la capacità di analisi dei sintomi e delle cause nevrotiche di Ottieri raggiunge uno dei vertici; "II poema osceno" (1996), cinquecento pagine di prose narrative e versi, un fiume in piena estremo, carnale, furioso; "Cery" (1999), romanzo in cui il tono comico e picaresco si unisce a una prospettiva di amore romantico.
Da una festa a un'altra festa, da una cena a un'altra cena, da Londra a Madrid e poi a Milano, da un amore a un altro, senza mai esserne convinti, senza che mai nulla incrini il guscio sottile della vanità e della ritualità mondana. E la jet society degli anni Sessanta, sono le sue manie e idiosincrasie, inquadrate e raccontate da Ottiero Ottieri con amara curiosità e con la minuta precisione di un entomologo. C'è un protagonista, Orazio, industriale che produce sanitari e cerca il modo di introdurre l'uso del bidet in Gran Bretagna; ci sono le sue battute di caccia e le avventure erotiche, con donne sempre occasionali che spesso sono semplicemente il suo specchio, come Mildred o Pamela; ma più di tutto ci sono dialoghi brillanti, quasi surreali nell'essere annoiati o smaccatamente seduttivi, battute fulminanti e situazioni farsesche che l'autore trascrive sulla pagina con umorismo tagliente e raffinatissima satira, mentre intorno l'Italia si prepara a tutt'altra catastrofe, alla contestazione studentesca e agli anni di piombo del dopo, mentre gli scioperi in atto nelle fabbriche alludono a ben altri possibili scontri. Ma il mondo dei "divini mondani", imprigionato tra elicotteri privati e liste di invitati esclusivi a feste esclusive, prosegue la sua scelta di vita ossessivamente effimera, del tutto incapace di riconoscere i propri privilegi e arroccato dentro la circolarità dei suoi stessi riti.
"L'irrealtà quotidiana" è un "saggio romanzesco" il cui nucleo è l'esperienza di una cura psicoanalitica intesa come terapia del "sentimento d'irrealtà", ossia di quel sentimento dovuto a uno stato di alienazione psichica e politica. È questo un tema caro a Ottieri, un tema che viene via via declinato in termini psicologici, politici, autobiografici, filosofici fino ad abbracciare il grande capitolo della follia.
Italia del Sud, fine anni Cinquanta. Una grande azienda settentrionale ha deciso di impiantare una nuova fabbrica nel cuore del Mezzogiorno. Ora deve selezionare il personale adatto, e per questo ha incaricato uno psicologo che sottoponga i candidati a una "valutazione psicotecnica". Nel suo diario, lo psicologo registra l'esito del suo lavoro, che si fa via via più coinvolto e commosso, fino a trasformarsi in una vera e propria partecipazione al dramma dei disperati che si aggrappano al miraggio del posto di lavoro per liberare se stessi e le loro famiglie dalla miseria. E lui che, invece, per dovere professionale, deve decidere il destino di ciascuno di loro. Prefazione di Giuseppe Montesano.
Dalle coltivazioni della Terra dei fuochi alle fabbriche di Pomigliano, dai merluzzi di Somma Vesuviana alle strade della periferia di Ercolano, fino alla nuova Pompei nata duemila anni dopo l'eruzione del 79 d. C.: Il Vesuvio universale è il ritratto di una terra di prepotente bellezza, che brulica di vita e non ha intenzione di arrendersi, nemmeno alla minaccia del vulcano che la sovrasta.
“Gli abitanti del Vesuvio sono abituati a tenere conto di una vita sotterranea ricca e piena di sorprese, indipendente dalla loro volontà, estranea all'universo concettuale umano, a sentirsi frantumi di lapilli, volute di fumo, impercettibili grumi di tempo nella vertigine millenaria in cui affonda l'esistenza del vulcano”.
Nel 79 d. C. Ercolano e Pompei furono distrutte dall'esplosione improvvisa e devastante del Vesuvio. Investiti dalla lava, pietrificati in un'eterna fuga fallita, i corpi di Pompei attraggono ogni anno migliaia di turisti. L'ultima eruzione del vulcano è stata nel 1944. Oggi il Vesuvio è inerte, e la sua calma apparente, replicata all'infinito sullo sfondo delle foto scattate da Posillipo. Ma se con l'obiettivo si ingrandisse al massimo quella montagna di fuoco, più che le rocce laviche e la cenere, sarebbero nitide le case, le strade, le macchine, le persone, ammassate in paesi più o meno piccoli, abbarbicati sui suoi fianchi. Alle pendici del Vesuvio si sviluppa, infatti, non una città, non una periferia, ma una conurbazione, un territorio con decine e decine di centri abitati che ha una densità di popolazione più alta di quella di Milano e Roma. Da sempre qui, immemori - o noncuranti - del pericolo, gli uomini hanno tenacemente coltivato, proliferato, costruito, distrutto, inquinato, pregato. Chi vive nei paesi vesuviani sembra davvero convinto che il vulcano non si risveglierà mai più. «Sarebbe fuorviante e frustrante cercare spiegazioni solo nell'ostinazione pervicace e incosciente», dice Maria Pace Ottieri che per capire quella terra è andata ad ascoltare le voci e le storie di chi ci vive. E allora c'è la famiglia Fortunio, che a Somma Vesuviana ha costruito un impero sul pesce dei lontani mari del Nord; c'è Tonino 'O Stocco, che costruisce e suona tammorre che accompagnano i canti e i balli popolari; c'è Lucio Zurlo, che insegna boxe nella sua palestra in un quartiere difficile di Torre Annunziata; ci sono le voci di Radio Siani con il loro impegno per la legalità; ci sono i morti ammazzati, dal lavoro, dal terremoto, dalla povertà, o da chi nessuno osa accusare. In un'instancabile “quête” tra passato e presente, tra i fasti antichi delle ville romane e i roghi tossici della Terra dei fuochi, tra ricordi leopardiani e interi quartieri abusivi, al ritmo delle traballanti corse della Circumvesuviana, Maria Pace Ottieri intraprende un viaggio alla scoperta delle tante esistenze che resistono in bilico sul cratere.
Giorgio Bocca: il ruvido, aspro decano dei giornalisti italiani, uno dei pochi che può ancora raccontarci il fascismo, i venti mesi di guerra di Liberazione, il sangue dello scontro fratricida e l'alba del 25 aprile 1945. E poi la ricostruzione, il boom visto dalle redazioni dei giornali più prestigiosi del paese, la scoperta della provincia, la doccia fredda del riflusso, gli anni di piombo e l'era del craxismo, fino alle incertezze di un presente così lontano dai sogni e dalle illusioni della Resistenza di rifondare un paese civile e democratico. Nel libro un intervista di 144 pagine. Nel DVD: "La neve e il fuoco" un'ora di intervista a Giorgio Bocca, che ripercorre la propria storia umana e professionale. In un'unica appassionata cronaca dell'essere italiano e insieme antitaliano, Bocca rievoca l'infanzia e l'adolescenza a Cuneo durante il Ventennio, il salto da Torino a Milano, la passione viscerale e intellettuale per la professione di giornalista, i grandi incontri, i viaggi da cronista al Sud, ma anche il suo rapporto con il lavoro e con il denaro, la fragilità della vecchiaia, il momento dei bilanci, in un intreccio continuo e necessario fra storia personale e storia del paese.
Nell'India splendente del boom economico, centinaia di milioni di persone non riescono a mangiare due volte al giorno. Analfabeti, oppressi dalla povertà e dalla divisione in caste, vivono in uno stato costante di paura e insicurezza. Da trentacinque anni, la "Scuola dei piedi nudi" di Bunker Roy cerca di migliorare la vita dei contadini insieme a loro, offrendo risultati tangibili: trovare acqua per irrigare la terra, curare le malattie, vedere i propri figli frequentare la scuola. A Tilonia, migliaia di giovani che nessuno avrebbe impiegato sono addestrati a una professione. I criteri per la selezione sono semplici: devono essere poveri e analfabeti. La speranza è che un giorno siano in grado di stare in piedi da soli, guardando al mondo come esseri umani.