Il romanzo d'amore fra Ovidio e Corinna, nucleo centrale di questo libro, è fra i più particolari della letteratura romana. Ripreso dall'esempio di altre celebri raccolte di liriche erotiche e sentimentali, gli Amores si rivelano quasi come una parodia del genere, evidenziando tutti gli aspetti umoristici e satirici delle relazioni amorose. Il poeta, ben lungi dall'esaltare la fedeltà, si vanta di poter amare due donne insieme, di poter beffare mariti gelosi e persino di poter dividere la stessa donna con altri.
Da Troia a Roma, da Achille a Ulisse a Enea: e poi a Romolo, Numa Pompilio, Giulio Cesare, Augusto. Ovidio sceglie di terminare le "Metamorfosi" con afflato epico, combinando "Iliade", "Odissea" ed "Eneide" in un unico straordinario amalgama. Ma non dimentica l'ispirazione centrale del suo poema, il divenire. Ne è esempio mirabile, fra tanti, la metamorfosi di Glauco che, respinto da Scilla, si getta in mare dopo aver gustato l'erba miracolosa diventando un dio, nel "trasumanar" che giungerà sino a Dante.
Siamo, nella narrazione sinuosa di Ovidio, alla generazione immediatamente precedente quella della guerra di Troia. Dominati dal canto di Orfeo che ha perso Euridice, i Libri X-XII raccontano alcune tra le storie più belle di tutta l'opera, nella quale si fondono ora epica e storia mitica del mondo. E Orfeo stesso che si presenta agli Inferi reclamando la sposa uccisa dal morso di un serpente e che poi la perde per essersi voltato a guardarla mentre la conduce fuori dall'Averno. Fugge allora in luoghi remoti consolandosi col canto e narrando la storia di Ganimede. Da questa nasce quella di Giacinto, e poi quella di Pigmalione, che a sua volta fa emergere quella di Venere e Adone. E quando Orfeo viene fatto a pezzi dalle Baccanti, subito viene evocato Mida, e poi Esione, e quindi Peleo e Teti, i genitori di Achille. Allora prende il via la fondazione di Troia, e il racconto dell'immane guerra. In mezzo, ecco però la storia delicata e dolente di Ceice e Alcione: dell'uomo che, per consultare l'oracolo, s'imbarca, incontra una furibonda tempesta, annega; e della sposa che - avvisata da Morfeo nelle vesti del marito - vuole raggiungere il corpo di lui nel mare e si getta saltando dal molo.
Composte da Ovidio negli ultimi anni della propria vita, a partire dal 12 d.C. durante l'esilio a Tomi sul Mar Nero, le "Epistulae ex Ponto" sono quarantasei lettere in distici elegiaci che il poeta invia alla moglie, ai famigliari, agli amici o a personaggi influenti della Roma augustea, supplicandoli perché si adoperino per farlo rientrare in patria. Tutta l'opera è pervasa da una straordinaria complessità di sentimenti nei confronti, prima di tutto, del potere, che viene adulato e smascherato insieme. Ma anche degli amici, soprattutto poeti, e di se stesso, protagonista di un'elegia che, nei forti tratti autobiografici, non cessa mai di essere letteratura di alto rango. Sono versi, questi delle Epistulae, che hanno sempre suscitato intense reazioni nei lettori e sono stati un modello per autori, spesso grandissimi, che l'esilio lo hanno vissuto in prima persona, da Seneca a Brodskij. La costruzione letteraria apparentemente facile lascia intatto un denso nucleo di irrisolta umanità, nel quale ogni lettore finisce per ritrovare un'immagine di sé.
Le prime opere di Ovidio nascono in un contesto di cui non va sottovalutata l'importanza. Finite le guerre, Augusto cerca di rafforzare la pax romana attraverso la restaurazione dei valori severi dell'età repubblicana, propagando fra l'altro un ritorno all'austerità dei costumi. In questo clima, Ovidio esordisce con opere che, se non sono apertamente contrarie al programma augusteo, certo non vi aderiscono né esprimono intenti celebrativi: tra le altre gli "Amores", raffinato e ironico gioco intellettuale che si diverte a destrutturare lo stesso genere in cui si inscrive, la poesia elegiaca; le "Heroides", lettere che si immaginano scritte da eroine mitiche ai loro uomini in guerra e che compiono un'umanizzazione dei personaggi mitologici; e l'"Ars amatoria", il celeberrimo trattato sulle tecniche seduttive, in realtà un affresco della vita galante dell'epoca nonché una difesa dell'amore libero e del piacere. Ed è forse l'estraneità sostanziale della sua poesia alla politica culturale di Augusto a condannare Ovidio all'esilio a Tomi, località dell'odierna Romania. Lontano dalla vitalità di Roma, il poeta si dedica a opere in cui vibrano le nuove note della tristezza, del rimpianto, a volte dell'ira: i libri di "Tristia" che sono anche una riflessione sulla letteratura, il poemetto "Ibis" che si scaglia contro un detrattore, le "Epistulae ex Ponto" che recuperano il tema celebrativo.
Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, illustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino affidava al terzo millennio. È la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. Con il quarto volume dell'opera giungiamo ai libri centrali delle Metamorfosi, quelli che vanno dal VII al IX. Vi incontriamo vicende celeberrime: quella, furibonda, di Giasone e soprattutto di Medea durante e dopo la spedizione degli Argonauti, la prima che abbia solcato il mare; la terribile pestilenza di Egina; le storie tragiche di Cefalo e Procri, di Minosse e Scilla, di Ercole e Deianira; ma anche, all'estremo opposto, la favola delicatissima e commovente di Filemone e Bauci, che gli interpreti del Medioevo cristiano seppero bene come spiegare. I due vecchi sposi ospitano Mercurio e Giove nella loro misera capanna, pronti persino a sacrificare la loro unica oca per sfamare degnamente gli dèi.
Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino lo affidava al terzo millennio. È la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante.
Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, illustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino affidava al terzo millennio. E' la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. Nei libri III e IV troviamo alcuni degli episodi più belli di tutta l'opera, centrati sulle vicende mitiche di Tebe. Cadmo uccide il drago, ne semina i denti - dai quali nascono guerrieri che si sterminano fra di loro - e fonda la città. Atteone vede Diana nuda, è trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Narciso, specchiandosi nell'acqua, si innamora di sé stesso e diviene un fiore. Eco lo ama perdutamente e, respinta da lui, rimane puro suono che ripete le parole nell'aria. Semele, amata da Giove, chiede al dio di unirsi a lei in tutto il suo fulgore e rimane incenerita. Ino alleva il figlio dei due, Bacco, impazzisce su istigazione di Giunone, si getta nei flutti e diventa dea marina. Piramo e Tisbe, amandosi follemente, si uccidono l'una dopo l'altro, e il sangue tinge di nero le bacche bianche del gelso. Perseo vince Medusa e ne usa il capo, il cui sguardo pietrifica, per mutare Atlante in monte. Storie, direbbe Shakespeare, di "suono e furore", nelle quali la guerra fratricida, l'amore infelice, il volto del terrore, divengono città, fiori, sassi, foglie scure, e in cui la voce si perde nel vento. La Fondazione Valla prosegue con questo la pubblicazione in sei volumi delle "Metamorfosi", basando il testo e gli apparati su quelli editi da Richard Tarrant per gli Oxford Classical Texts: la cura generale è di Alessandro Barchiesi. Il commento è affidato allo stesso Barchiesi e a Gianpiero Rosati. La traduzione è opera di Ludovica Koch.
Indice - Sommario
Premessa dei curatori
Abbreviazioni bibliografiche
Nota al testo
TESTO e TRADUZIONE
Sigla
Libro terzo
Libro quarto
COMMENTO
Libro terzo
Libro quarto
Testo critico basato sull'edizione oxoniense di Richard Tarrant
Insieme all'Odissea, le Metamorfosi sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, illustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino affidava al terzo millennio. È la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle Metamorfosi, le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. E in essa prendono forma i temi del generarsi medesimo del mito e della poesia: Orfeo, che canta agli alberi e alle fiere, diventa infine Ovidio, che compone per Augusto e il pubblico raffinato di Roma l'epica del divenire e si vede, al termine, trasformato egli stesso oltre la morte in volo più alto delle stelle: sul mondo intero e per tutti i secoli.
Come tutti i grandi libri, le Metamorfosi si aprono con il Principio stesso delle cose, il Caos che da luogo all'armonia del cosmo, la creazione dell'uomo. Ecco, in questi primi due libri, il Diluvio universale; i giganti che attaccano l'Olimpo; Dafne che, inseguita da Apollo, diviene l'alloro dei poeti. Il carro del sole guidato da Fetonte precipita in mare, Callisto sale al ciclo in forma di Orsa Maggiore; il bianco toro - Giove - rapisce Europa e in groppa la porta sul mare: lei, atterrita, guarda sparire la spiaggia, «si gonfiano e palpitano al vento le vesti».
La Fondazione Valla inizia con questo la pubblicazione in sei volumi delle Metamorfosi, basando il testo e gli apparati su quelli più aggiornati editi da Richard Tarrant per gli Oxford Classical Texts, e per la cura generale di Alessandro Barchiesi. Il saggio introdutti-vo è fra le ultime cose scritte da Charles Segai. Il commento, oltre che allo stesso Barchiesi, è affidato a un gruppo internazionale di studiosi di cui fanno parte Philip Hardie, Edward J. Kenney, Joseph D. Reed e Gianpiero Rosati. La traduzione dei primi quattro libri è opera di Ludovica Koch, mentre Gioacchino Chiarini ha tradotto gli altri undici.
Indice - Sommario
Premessa del curatore
Il corpo e l'io nelle "Metamorfosi" di Ovidio
Introduzione
Bibliografia
Nota al testo
TESTO e TRADUZIONE
Libro primo
Libro secondo
COMMENTO
Libro primo
Libro secondo