Nel più celebre dramma di Luigi Pirandello, rappresentato per la prima volta nel 1921, sei personaggi si presentano a un Capocomico e raccontano di essere stati inventati da un autore che li ha abbandonati senza risolvere la loro storia nelle forme dell'arte. Creature vive e autonome quali ormai sono, essi soffrono il fatto di dover imprigionare negli schemi generici e convenzionali del linguaggio scenico le proprie vicende, pur avendo nella finzione teatrale l'unica fonte di salvezza. Lo stesso motivo, ricco di pathos, del contrasto tra arte e vita, anima l'"Enrico IV", scritto nel 1921 e rappresentato l'anno seguente: la tragedia del giovane improvvisamente impazzito che crede di essere l'imperatore di Germania ed è costretto a fingersi tale anche dopo aver riacquistato la ragione. Due classici del teatro universale, dall'altissima significazione poetica, caratterizzati da un'ardita tecnica scenica e da un desolato scavo dell'animo umano.
"Addio eroi plutarchiani, eroi di Corneille, eroi da melodramma, tesi verso l'azione come verso l'unica verità, attratti dal rischio in cui si deciderà il loro riscatto o la loro eterna vergogna. Tale problema morale non sfiora nemmeno Pirandello, perché il problema non è nella scelta, nel dover essere, nella volontà ma nell'autenticità stessa dell'azione: che cosa è, cosa rappresenta in rapporto a noi che la facciamo, alla più profonda intimità e verità del nostro essere." Così, in un passo del celebre saggio che introduce questa edizione, Giovanni Macchia delinea l'essenza del teatro pirandelliano, "teatro-inquisizione", "stanza della nevrosi", luogo della "tortura dell'eterno divenire". Un'ampia e significativa scelta di ironici, provocatori, ispidi capolavori, da "Sei personaggi in cerca d'autore" a "I giganti della montagna", da "Ciascuno a suo modo" a "Questa sera si recita a soggetto", da "Così è (se vi pare)" a Enrico IV", conduce il lettore nell'enigmatico mondo delle i commedie dello scrittore siciliano.