Dopo "l'età dei diritti" di cui diceva N. Bobbio nel 1990, è nata l'età delle pretese: squilibrio tra l'esplosione dei diritti e l'elusione dei doveri, e liquefazione dell'idea di obbligazione. Il diritto (vero o supposto), separato dalla responsabilità ad esso inerente, diventa fattore di disgregazione e un'arma puntata contro l'altro. È una vacua idea che la libertà soggettiva basti a tenere unita una società. Di fronte a questa dinamica travolgente occorre ridare significato e fondamento reale ai diritti, evitando tre passi falsi: l'individualismo libertario che fa dell'io un'isola; l'applicazione indiscriminata della tecnica nell'ambito della vita (Biopower); la riduzione dell'uomo a mero essere naturalistico. In proposito la tradizione del giuspersonalismo, ispirata all'idea di persona e di natura umana, offre un ingresso solido e moderno.
Il nichilismo giuridico ha tragicamente percorso il '900 e si prolunga nel nuovo secolo. Esso produce la fine del diritto e della giustizia, consegnati ad una volontà individuale arbitraria sciolta da ogni obbligo. Questa taglia i legami con la ragione e la persona, volgendosi alla potenza. Per fuoriuscire da tale esito occorre ripartire domandando che cosa sia diritto e che cosa nichilismo giuridico, e se esista qualcosa che non può mai diventare diritto, anche se votato da maggioranze
Montini-Paolo VI, Giovanni Paolo II, Maritain, La Pira, Mounier: che cosa accomuna questi personaggi, oltre la fede cristiana? Essi furono interni all'orizzonte della Chiesa del '900. Vissero entro un clima spirituale denotato da crisi del sacro, secolarizzazione, separazione tra religione e civiltà; attacco alla persona e antipersonalismo; crisi della filosofia per i tentativi di decostruirla e di abbandonare l'idea stessa di verità. I cinque personaggi ebbero in comune il nodo della persona, l'opzione per una filosofia realistica, la domanda angosciante sulla edificazione della pace che fu il pane quotidiano di La Pira, la questione sul mistero di Israele e l'antisemitismo (Maritain e Giovanni Paolo II). Gli scritti qui raccolti gettano luce su alcuni nodi che hanno percorso la storia del Novecento, concernenti la Chiesa e il mondo. Essi disegnano una presenza dello spirituale nel tempo, che opera più intensamente di quanto pensiamo, sì da produrre una storia concretissima degli effetti conseguenti alle idee e convinzioni dei protagonisti.
Il dibattito sulla laicità è ripreso intensamente. Invece di restringerlo a una lotta per la supremazia tra le parti, è meglio comprenderlo come ricerca di una intesa tra pensiero religioso e pensiero secolare sui fondamenti prepolitici della vita civile e del diritto (vedi dialogo tra Habermas e Ratzinger), senza prendere l'imbeccata solo dalle scienze. La laicità ha le sue ragioni, che non sono forse quelle convenzionalmente attribuite ai cattolici, o viceversa ai 'laici'. Oggi la laicità va oltre il nesso religione-politica per investire le questioni bioetiche, la natura umana, la secolarizzazione, la domanda se lo scopo della politica sia solo la libertà. Questo accade in un'epoca in cui la religione torna nella sfera pubblica, mantenendo desta la sensibilità per le contraddizioni della modernizzazione. La 'nuova laicità' può giocare la sua parte nel contrastare l'attacco antiumanistico che si ripresenta nella storia e nella politica.
Il problema dell'essere continuerà a dominare il futuro della filosofia, e altrettanto la questione sulla libertà e sul male, entro le domande sempre e nuovamente poste: che cos'è l'essere? E che cosa la libertà e il male? Nel mutare delle scuole filosofiche e delle stagioni storiche tali questioni si ripropongono: luoghi di una ricerca che tenta il cammino verso un 'altro' domani della filosofia. Un mutamento sarà possibile oltrepassando la collera contro la ragione che si esprime nel nichilismo e nel "pensiero debole", e avviando il cammino che dallo sterile "eterno ritorno" di Nietzsche conduce al ritorno all'eterno.
Guardando al domani si presentano le domande: da quali caratteri sarà denotata la filosofia futura? Potrà operare la svolta che dall''eterno ritorno' conduce al 'ritorno all'eterno'? In quale modo la filosofia dopo il nichilismo potrà mettere a frutto le lezioni di Kierkegaard, di Dostoevskij, della filosofia dell'essere come più decisive di quelle di Nietzsche e di Heidegger? Le questioni sull'essere e sull'abisso della libertà che da qui si diramano, disegnano un quadro inedito, quasi un 'nuovo Testamento' per la filosofia futura.