Quella del missionario è una delle figure chiave della modernità: un uomo pronto ad andare in terre lontane obbedendo a un ordine o a quella voce interna che si chiama vocazione. Fu così il mediatore dell'incontro tra diversi, il professionista del contatto fra popoli che si ignoravano, il testimone posto alla giuntura di culture e universi mentali diversi, spesso incompatibili. Fu a lui che spettò mettere d'accordo l'idea occidentale di Dio come persona con le nozioni totalmente diverse delle culture orientali. Il suo modello doveva scontrarsi con quello del crociato, pronto a ogni violenza, compresa la guerra, pur di ottenere con la forza l'adesione che gli era negata. Nel tempo, il potere di dare la missio, concentratosi a lungo nelle mani del pontefice, venne via via delegato ad altre figure della gerarchia ecclesiastica, ma anche a sovrani degli Stati europei che videro nell'organizzazione di ordini missionari un potente strumento di dominio coloniale.
Che cosa rivela l'inarrestabile diffusione della retorica identitaria? Il fatto che nella nostra epoca, mentre le merci e gli oggetti si mondializzano, gli esseri umani si tribalizzano. Fabbricare le identità serve soprattutto a questo, ad alzare una barriera di tradizioni e religioni che protegga 'noi' dagli 'altri', ignorando la dimensione del mutamento da cui nessuna storia è immune. Come tutto ciò che serve a distinguere e a prendere coscienza di una separazione, la parola 'identità' contiene un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni e guerre.
La 'barbarie' la troviamo a viso scoperto o celata sotto sinonimi. Tra questi sta conoscendo una fortuna crescente 'identità'. E accanto a 'identità', 'radici', ma anche 'etnicità', con gli antenati 'nazione' e 'nazionalità'. Parole che sono diventate abituali nel nostro linguaggio ma che possono diventare pietre perché, come tutto ciò che serve a distinguere e a prendere coscienza di una separazione, contengono un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni civili e guerre. È dietro queste parole che vediamo alzarsi in piedi individui collettivi di cui si presuppone una naturalistica e inassimilabile diversità. Se, come scriveva Saul Bellow, l'identità di un essere umano è quella definita dal racconto della sua vita, per estensione l'identità di un popolo o di una società umana sarebbe la sua storia. Ma nessuna definizione, per quanto acuta ed elegante, può impedirci di avvertire dietro questa parola, apparentemente così semplice e innocua, l'eco sorda della risacca della storia e dei rapporti di forza che ha ripreso a fare intensamente il suo antico lavoro: scaraventa sulle rive più diverse popoli e individui, quando non li cancella inabissandoli nel fondo del mare.
L'anno 1492 segna tradizionalmente una cesura epocale importante: con la scoperta dell'America e l'avvio dell'unificazione del mondo per opera degli europei si considera concluso il Medioevo e iniziata l'età moderna. In quello stesso anno accadono cose che fissano alcuni meccanismi di identità e di esclusione tipicamente moderni. In Spagna, la conquista dell'ultimo regno musulmano e l'espulsione della minoranza ebraica avviano la formazione di uno stato fortemente caratterizzato dall'unità religiosa. Non solo, alle altre figure già codificate dell'alterità umana, l'eretico, il giudeo,l'espansione extra-europea aggiunge la figura del selvaggio. È su di loro che si esercitarono i dispositivi di potere creati nella penisola iberica, in modo particolare quello dell'Inquisizione. In una realtà sociale come quella spagnola, divisa per lingue, culture, tradizioni e religioni, lo Stato moderno nasce issando le barriere dell'intolleranza e creando categorie di "diversi" su cui si esercitano i meccanismi dell'esclusione o dello sfruttamento: si va dall'assoggettamento dei popoli extraeuropei (i "selvaggi") all'eliminazione dell'eretico e dell'ebreo. In tutti questi casi la religione offre la legittimazione all'esercizio del potere. Sugli ebrei in particolare si registra un passaggio carico di un pesante futuro: quello dalla tradizione dell'antigiudaismo cristiano del Medioevo a base religiosa alle nuove forme di antisemitismo a base "naturale", fondato sulla presunta differenza di sangue.