INTRODUZIONE
1. Cenni sulla «questione areopagitica»
Nulla si sa ancora di preciso, nonostante i tentativi compiuti da vari studiosi moderni, sull'identità di colui che, sotto il nome di Dionigi l'Areopagita, il discepolo di san Paolo ricordato in Atti, 17, 34, compose quell'insieme di scritti — la Gerarchia celeste, la Gerarchia ecclesiastica, i Nomi divini, la Teologia mistica, dieci Lettere che è comunemente noto come Corpus Areopagiticum (o Dionysiacum). Il Corpus viene menzionato ufficialmente per la prima volta nell'incontro tra cattolici calcedonesi e monofisiti Severiani avvenuto a Costantinopoli nel 532: per provare l'ortodossia della loro dottrina monofisita, i Severiani si richiamarono, oltre che ad altri autori, anche a Dionigi l'Areopagita. Rispose loro Ipazio, vescovo di Efeso, negando apertamente l'autenticità dei suoi scritti.
Anche se per tutto il Medioevo, sia in occidente che in oriente, l'autore del Corpus fu effettivamente venerato come il discepolo di san Paolo ed i suoi scritti, com'è noto, assunsero per questa ragione un ruolo determinante nello sviluppo della teologia scolastica e della mistica — ne subirono l'influenza, per ricordare solo alcuni nomi, in oriente Massimo il Confessore e Giovanni Dama sveno, in occidente Scoto Eriugena, Roberto Grossatesta, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Dante Alighieri, Marsilio Ficino — il caso di Ipazio non rimase del tutto isolato: nei secoli successivi, specie in oriente, i dubbi sull'effettiva autenticità del Corpus continuarono di tanto in tanto a riaffiorare. Va ad I. Hausherr il gran merito di avere raccolto, in un suo breve ma erudito articolo del 1936, le testimonianze di dotti che non mostrarono di credere nell'appartenenza all'età apostolica degli scritti del Corpus: si tratta di alcuni autori del VI sec. non meglio specificati, di Fozio, di Areta, di Pietro di Damasco, di Giovanni di Antiochia, di Giuseppe Hazzaia (scrittore siriaco dell'VIII sec.) e di Simeone Petritsi (monaco georgiano del XIII sec.).
Fu però soprattutto nel Rinascimento, ad opera di Lorenzo Valla e di Erasmo, che la leggenda di Dionigi l'Areopagita cominciò ad essere sfatata in modo decisivo. Anche se non sono mancati, dal Rinascimento fino quasi ai giorni nostri, gli apologeti intransigenti dell'autenticità del Corpus, specie tra i francesi, che volevano assolutamente identificare il Dionigi Areopagita di Atti, 17, 34 non solo con l'autore del Corpus ma anche con il primo vescovo di Parigi, la tesi del Valla e di Erasmo relativa al carattere spurio degli scritti dionisiani fu adottata ed ulteriormente approfondita da eruditi del XVII sec. come il Le Quien, il Le Nourry ed il Daillé, ed è ormai universalmente accettata.
Le ricerche compiute parallelamente dal Koch e dallo Stiglmayr alla fine del secolo scorso sono valse, se non a dare un volto all'autore del Corpus, a precisare con sufficiente approssimazione la sua cronologia, giungendo a risultati che si possono ormai considerare definitivi. In due articoli apparsi nello stesso anno (1895) essi mostrarono come la parte del quarto capitolo del De divinis nominibus dedicata al problema della natura e dell'origine del male dipendesse dal De malorum subsistentia di Proclo; era così automaticamente dimostrato che l'autore del Corpus doveva essere o un contemporaneo di Proclo (morto nel 485) o di poco posteriore a lui, ed essere quindi vissuto nella seconda metà del V sec., e forse fino all'inizio del VI.
Composta di sette capitoli, l'opera illustra l'ordine sacro della Chiesa, corrispondente all'ordine angelico.
La Mistica teologia è un sintetico trattato di metafisica con finalità mistica: conoscere Dio non come si manifesta e rivela nel creato e nella Scrittura, ma come è in se stesso, l'increato, l'infinito che trascende tutte le determinazioni, dissimile da tutte le altre realtà. Per questo l'intelletto umano deve negare dapprima tutte le affermazioni su Dio che ne sottolineano la somiglianza con il creato, ma poi anche tutte le negazioni perché tutte le realtà sono partecipazioni divine e pertanto esistono in Dio in modo eminente. Abbandonata ogni affermazione e negazione determinata, in tale nescienza l'intelletto umano conosce sovraintellettivamente l'Inconoscibile, ossia si è disposto a essere elevato dalla grazia dell'esperienza mistica della comunione con Dio. La traduzione con testo greco a fronte è accompagnata da quella delle principali lettere di Dionigi che chiariscono alcuni punti del trattato, da un'introduzione alla struttura dell'opera e alla figura del suo misterioso autore e da un commento filosofico che presenta la chiave interpretativa del trattato, ne spiega insieme alle note al testo i passaggi complessi e lo contestualizza all'interno della storia del pensiero antecedente e successivo a Dionigi sia occidentale (neoplatonismo pagano e filosofia patristica, bizantina e medievale, rinascimentale e oltre) sia orientale (ermetismo e filosofie indiana, giudaica e islamica).
Anche al lettore non specialista è così resa possibile la comprensione di uno scritto che costituisce un esempio paradigmatico e di perenne attualità di mistica speculativa, suggestivo per tutti e particolarmente per il cristiano che, in quanto chiamato alla santità, trova un itinerario di approfondimento razionale della propria fede spinto sino ai limiti invalicabili dell'intelligenza umana in quanto finalizzato ad aprire la sua anima al dono della grazia santificante.
Conoscere il nome di una cosa o di una persona creava, secondo gli antichi, un rapporto di vicinanza, o addirittura di possesso. Per questo motivo alcuni passi della Bibbia proibiscono all'uomo di pronunziare il nome di Dio. Inizialmente, nella tradizione filosofica greca, il problema del rapporto tra il nome e la cosa viene investigato da Platone, nel Cratilo. Successivamente, a partire da Plotino, si arriva ad affermare che, pur pronunciandone il nome, Dio resta inconoscibile, essendo uno e al di sopra di tutto. Queste idee vengono filtrate da Dionigi nella presente opera . Il suo metodo apre prospettive importanti sul problema dei nomi che l'uomo può attribuire a Dio: se è vero che l'uomo dà il nome alle cose solo dopo averle conosciute, e che Dio nessuno l'ha mai visto, come fa l'uomo a nominarlo? Grazie alla sua speculazione, la teologia di Dionigi tende ad assumere lo stesso punto di vista di Dio e può dunque dirsi anagogica o sub specie aeternitatis.La presente edizione offre il testo greco e la traduzione italiana a fronte. Il testo greco è completato da un apparato critico - in cui si tiene conto dell'antica versione armena - e da un corredo di introduzioni, note esplicative e rimandi che permettono di affrontare uno dei testi cardine della spiritualità occidentale e orientale che viene citato ripetutamente, ad esempio nelle più recenti encicliche, anche da Benedetto XVI.
A cura di Piero Scazzoso ed Enzo Bellini
Introduzione di Giovanni Reale
Saggio integrativo di Carlo Maria Mazzucchi
Testo greco a fronte
“Della natura divina non c’è parola, né nome né conoscenza;
non è tenebra e non è luce, né errore, né verità,
e nemmeno esiste di lei in senso assoluto affermazione
o negazione, ma quando affermiamo o neghiamo le cose
che vengono dopo di lei, non affermiamo né neghiamo lei;
dal momento che supera ogni affermazione la causa
perfetta e singolare di tutte le cose, e sta al di sopra
di ogni negazione l’eccellenza di chi è sciolto assolutamente
e da tutto e sta al di sopra dell’universo.”
Il Corpus dionisiano, sintesi del neoplatonismo greco e del pensiero cristiano, è costituito da una serie di scritti: la Gerarchia celeste, la Gerarchia ecclesiastica, i Nomi divini, la Teologia mistica e Lettere. Questi scritti per certi aspetti stanno alla base della teologia medioevale di lingua latina nelle sue più svariate forme (dalla dottrina degli angeli all’ecclesiologia), in quanto furono attribuiti anacronisticamente a quel Dionigi, personaggio ateniese, convertito da San Paolo dopo il discorso all’Areopago narrato negli Atti degli Apostoli. In realtà in questi scritti è chiaramente presente un linguaggio neoplatonico molto vicino a quello di Proclo e di Damascio, il che lascia pensare a una datazione intorno alla metà del VI secolo. Furono commentati da Massimo il Confessore e da Giovanni Scoto Eriugena, e si possono considerare il punto di partenza di tutta la teologia negativa e fonte di ispirazione del misticismo cristiano medievale e moderno, da Meister Eckhart fino a Edith Stein. Dopo la scoperta in età moderna della loro inautenticità, ci si è resi conto della preminenza del pensiero neoplatonico su quello cristiano. Cristo, pur spesso citato, non trova spazio adeguato nell’impianto metafisico-teologico, in modo sorprendente. Resta un mistero se l’Autore fosse un credente che cercasse di assorbire nel pensiero cristiano il pensiero tardo-antico pagano, o se fosse un dotto filosofo che cercasse invece di assorbire nel pensiero pagano il pensiero cristiano.
Carlo Maria Mazzucchi, nel Saggio integrativo che qui presentiamo, illustra l’ipotesi rivoluzionaria secondo la quale l’Autore potrebbe essere proprio Damascio, che ha scritto questo imponente Corpus in senso anticristiano. In ogni caso, va tenuto presente il fatto che la “storia degli influssi” del Corpus dionisiaco va ben al di là degli intenti dell’Autore, e che alcune pagine rimangono esemplari, e sotto vari aspetti costituiscono punti di riferimento irreversibili.
Piero Scazzoso (1912-1975) è stato docente di Lingua e Letteratura greca all’Università Cattolica di Milano. Studiò a fondo il linguaggio e il significato del Corpus nella tradizione cristiana, soprattutto orientale. Alla traduzione delle opere del Corpus dionisiano lavorò per quindici anni (dal 1960 alla morte). Morì prima di vedere la pubblicazione della sua traduzione.
Enzo Bellini (1934-1981), è stato docente di Storia della Teologia presso l’Università Cattolica di Milano e di Patristica e Patrologia presso la Facoltà Teologica Interregionale di Milano. Era specialista del pensiero tardo-antico cristiano, cui ha dedicato una serie di lavori. Negli ultimi anni si era occupato soprattutto dell’approfondimento del pensiero metafisico-teologico espresso nel Corpus dionisiano. A lui è stato affidato il compito di preparare la pubblicazione della traduzione di Scazzoso, accompagnata dalla sua interpretazione, espressa nel nutrito Saggio introduttivo e negli imponenti apparati (prefazioni, parafrasi, note e indici).
Carlo Maria Mazzucchi è professore di Filologia Bizantina presso l’Università Cattolica di Milano, ed è un conoscitore al più alto livello nazionale e internazionale del pensiero tardo-antico e bizantino.
Giovanni Reale è uno dei massimi storici della filosofia antica. La sua sterminata produzione scientifica copre tutto l’arco del pensiero antico pagano e cristiano; ha dedicato monografie specifiche a Parmenide, Melisso, Socrate, Platone, Aristotele, Teofrasto, Pirrone, Plotino, Proclo e Agostino. La sua opera maggiore è la Storia della filosofia greca e romana in 10 volumi, pubblicata da Bompiani.
El Pseudo Dionisio Areopagita, tres heroísmos en conjunción: Biblia, Filosofía y Religión. Tres dimensiones entrelazadas, elevadas seguro hasta las cumbres de santidad y ecumenismo universal Rudolf Otto, Thomas Merton, los jesuitas, H. de Lubac, Lasalle, W. Johnston... han puesto de relieve la relación entre la más profunda religiosidad del Oriente y Occidente. Como fuente de inspiración les han servido las obras del Pseudo Areopagita, cuya conclusión más gloriosa viene a ser la Subida del Monte Carmelo y las Noches de San Juan de la Cruz. Esta edición de sus obras completas se hace tomando como base el texto crítico editado en Gotinga (Alemania) el año 1989. “La teología y la espiritualidad cristianas son impensables sin el Pseudo Dionisio. Su obra conserva perenne frescura y constante actualidad, en particular para las almas cuya respiración es la profunda oración de cada día” (Olegario González de Cardedal).