New York, 2001, nel breve intervallo tra il crollo delle società dot-com e l'11 settembre. Maxine Tarnow, separata, due figli piccoli da crescere, ha una piccola agenzia di investigazioni a Manhattan, specializzata in frodi. Da quando le hanno tolto la licenza, può permettersi di fare il mestiere come più le aggrada, girando con una Beretta, frequentando un mondo ai margini della legalità, dedicandosi a piccole operazioni di hackeraggio. Mentre indaga su una società specializzata in servizi di sicurezza informatici e sul suo direttore, uno stravagante miliardario che si è arricchito con la bolla speculativa di fine millennio, Maxine si imbatte in una serie di delitti, e in una realtà sotterranea fatta di spacciatori che viaggiano su barche a motore in stile art déco, nostalgici hitleriani, liberisti sfegatati, mafiosi russi, blogger, imprenditori.
A quarant'anni dalla prima edizione, "L'arcobaleno della gravità" non ha perso nulla della sua vertigine e della sua potenza. Londra sotto i bombardamenti, i razzi V-2 di Hitler, precognizioni ed esperimenti bizzarri, un misterioso Testo, la Zona in cui si addentra l'antieroe Tyrone Slothrop alla ricerca di un'arma apocalittica: un esercito di personaggi e una proliferazione febbrile di trame disegnano un'opera in continuo mutamento, un codice vivente aperto e provocatorio che si nutre di tutto, sacro e profano, tragedia e irrisione, esoterismo, mito, scienza e canzoncine. E in cui tutte le barriere convenzionali sono sbriciolate da un feroce genio inventivo. Vi si rivelano la paranoia come sostanza emotiva del nostro tempo, il sospetto che dietro le trame casuali del visibile si celi una connessione minacciosa, la lotta tra il desiderio di un ordine razionale e il destino della dissoluzione. "L'arcobaleno della gravità" è oggi più che mai il romanzo cruciale della letteratura postmoderna e non solo: un libro di cui forse non siamo ancora diventati contemporanei.
«Vizio di forma è il romanzo piú divertente che Pynchon abbia mai scritto. Ed è anche una folle e magistrale sintesi di tutto ciò che lo rende unico e grande».
Rolling Stone
«Immaginate il vostro romanzo preferito di Raymond Chandler riscritto come un giallo hippy. Immaginate un grande romanziere americano, uno che adesso ha settant'anni, che scrive con tutta la vivacità e l'entusiasmo di un ragazzo che ha appena scoperto le donne.
Immaginate, soprattutto, frasi e scene che sono talmente divertenti a leggerle che vorreste che Vizio di forma durasse il doppio. Vizio di forma è una straordinaria miscela di noir californiano, e una perfetta evocazione degli ultimi fuochi degli anni Sessanta».
Michael Dirda, The Washington Post
California, inizio anni Settanta. Doc Sportello, investigatore privato ed ex surfista con un debole per le droghe (sul cartello appeso alla porta del suo ufficio c'è scritto LSD indagini: «Localizzazione, Sorveglianza, Discrezione»), viene contattato da una vecchia fiamma, Shasta, una tipa che «poteva passare settimane senza far niente di piú complicato di una smorfietta». Lei gli chiede di proteggere il suo nuovo amante, un costruttore miliardario di nome Mickey Wolfmann, dato che la moglie ha in mente un piano per liberarsi di lui. Ancora innamorato di Shasta, Doc accetta l'incarico, ma non fa neanche in tempo ad avviare le indagini che si ritrova arrestato per l'omicidio di una delle guardie del corpo del costruttore, che intanto è sparito, come pure Shasta. Nel corso dell'indagine Doc inciampa in falsi biglietti da venti dollari con il ritratto di Richard Nixon, e in un'associazione di dentisti assassini nota come Golden Fang, la Zanna d'Oro, ma si ritrova anche nei dintorni delle Pantere Nere e della Fratellanza ariana, di Charles Manson e della sua «Famiglia», di surfer e zombie.
Con un occhio rivolto ai grandi crime-movies in bianco e nero e uno ai cartoni animati, Pynchon disegna il suo personalissimo tributo alla stagione degli hippy e il loro manipolo di sbandati sognatori.
Vizio di forma è, alla fine, anche una «porta aperta su un tempo e un luogo precisi, una spiaggia della Storia, la California degli anni Sessanta, "piccola parentesi di luce" condannata purtroppo a essere inghiottita dalla restaurazione» (Tommaso Pincio).
"Un lento apprendistato" include i cinque racconti (più la leggendaria introduzione a questo stesso libro) che Thomas Pynchon ha scritto tra il 1958 e il 1964. Pynchon racconta "a modo suo" storie di spionaggio, inquietanti incursioni nel cuore di tenebra dei sobborghi americani, avventure ambientate in gigantesche discariche di rifiuti e algidi esperimenti di fughe dal mondo. E dispiega con pienezza le sue tematiche ricorrenti: la critica all'imperialismo occidentale, la nevrastenia delle società opulente, gli splendori e le miserie della scienza e della tecnologia, l'ostinata difesa di chi è debole e non riesce a far risuonare la propria voce. Il tutto con quello stile che fonde insieme slang e linguaggi tecnici, dal cinema all'economia, dai fumetti ai maestri del Novecento letterario, che lo ha reso il capofila della letteratura nordamericana più innovativa, dal postmoderno fino ai nostri giorni.