L'autore o gli autori del Codex Purpureus Rossanensis certamente non potevano prevedere il successo e la risonanza che a distanza di secoli avrebbe avuto quell'opera per loro certamente di normale attività letteraria. Oggi, peraltro, la sua notorietà è stata rilanciata dal suo riconoscimento ed inserimento, il 9 ottobre 2015, nel Registro della Memoria del mondo (Memory of the World) da parte dell'Unesco, che è valso ad accrescere il fascino e quasi l'alone di mistero che da sempre lo hanno circondato. Il Codex non finisce di meravigliare e di stimolare gli studiosi, provocandoli e quasi sfidandoli a tentare ogni altro tipo di approccio nuovo per penetrarne quegli aspetti innovativi che immancabilmente arrivano. La bellezza del prezioso Evangeliario sta anche in questo: chiunque vi si può accostare e perdersi in una visione di immensità e di luce trasparente inimmaginabile. Chi non resta ammaliato dai colori sempre freschi delle miniature? Dalle simbologie nascoste negli stessi personaggi raffigurati? Dalla forza estetica ed estatica che promana dalla porpora, dagli ori e dagli argenti delle scritte? Il Codex riesce ad essere ancora oggi, dopo quasi sedici secoli, tutto questo e molto di più. Un problema non di poco conto da definire è la sua destinazione d'uso. E un codice-oggetto destinato ad evidenziare lo status symbol del suo possessore? È un libro liturgico per le grandi celebrazioni sacre bizantine? Questo studio presuppone proprio la destinazione liturgica del Codex e, richiamandosi ai soggetti ed ai personaggi specificatamente raffigurati nelle miniature, non solo evidenzia la fondatezza del loro rapporto stretto con le iconografie quotidiane della Settimana Santa bizantina, anche quella ancora oggi praticata nell'Eparchia di Lungro in Calabria, ma arriva a considerazioni che inducono a stabilire una successione diversa delle Tavole, la cui attuale collocazione è da ritenere posticcia e non coerente con le esigenze liturgiche della Settimana Santa bizantina.