Virtù giuridica, morale e politica: il coraggio di praticarla Chi esercita o dovrebbe esercitare la clemenza: il giudice misericordioso, il politico mite, il padre indulgente, l'insegnante comprensivo? Né pietà né perdono, la clemenza è virtù «gerarchica» per eccellenza, poiché descrive la disposizione benevola del superiore verso l'inferiore, talora richiesta alla giustizia, talora dalla giustizia concessa, quando con la grazia risparmia al condannato la vita o anni di pena. Attraverso un restauro storico-concettuale, tra metafore e immagini antiche, moderne e contemporanee, riscopriamo una parola vitale e multiuso, che non si inscrive nel solo ambito del diritto, ma ha a che fare con quello dell'etica e della politica.
Alla luce associamo il bene, la conoscenza, la verità, la giustizia. E al buio? Solo falsità, ignoranza, oscurantismo? Eppure, se le cose fossero sempre immerse nella luce, finiremmo per ubriacarci di un'illuminazione insopportabile per occhi e mente, condannati a non cogliere più nemmeno la bellezza di un cielo stellato. Momento di attesa e decantazione del pensiero, il buio abita nelle regioni dell'immaginazione e può essere fonte di idee irraggiungibili alla chiara luce del giorno: con Omero e Leopardi, Lucrezio e Diderot, Rousseau e Novalis, e più vicino a noi Camilleri, un invito a riscoprire il buio come esperienza che ci riconsegna a noi stessi.
E' il vizio che si vede, perché inscritto nella carne, oltre che nell'anima: cosa si può dire che non sia già stato detto sulla gola, sul vizio che con la sua diffusione planetaria è alla base del fenomeno dell'obesità globale o "globesity", come viene chiamata l'epidemia mondiale del sovrappeso? Si possono illustrare, accanto ai caratteri tradizionalmente attribuiti a questo peccato, tutti gli aspetti moderni che l'hanno modificato, attraverso gli eccessi del fast food e della McDonaldizzazione da un lato, e la ricerca dello slow food, del cibo genuino, biologico dall'altro. Il libro ripercorre le vicende dell'ingordigia, dagli smisurati e tragici banchetti del mondo antico ai menu del commissario Montalbano, dagli abusi gastronomici delle tavole imperiali all'insaziabile ingurgitare di Pantagruele. Se il rapporto col cibo è sempre stato difficile, ancor più difficile è trovare una misura tra concessione e proibizione. Ma poi peccato o malattia? Vizio volontario o predisposizione genetica, come si chiedono oggi dietologi e medici?
Francesca Rigotti insegna nelle Università di Lugano e di Zurigo. Per il Mulino è autrice di "La filosofia in cucina" (II ed. 2004), "Il filo del pensiero. Tessere, scrivere, pensare" (2002) e "Il pensiero pendolare" (2006). Ha inoltre pubblicato "Il pensiero delle cose" (Apogeo, 2007).
In questo libro si parla di un tipo particolare di movimento, il movimento del pendolo, che accompagna un tipo particolare di pensiero, il pensiero pendolare. Il pendolo è qui simbolo di esperienza e modello di conoscenza: oscilla fra un estremo e l'altro, avanza e poi ritorna arricchendosi ad ogni passaggio, sta nella propria tradizione ed esperienza, e poi ne esce, entra nel nuovo e nell'ignoto, per ritornare ancora nel consueto. Del pendolo e del movimento pendolare l'autrice traccia una mappa culturale in cui, accanto ai riferimenti mitologici, letterari e filosofici, trova spazio anche la sua esperienza autobiografica.
Questo non è l'ennesimo libro di ricette, bensì un testo di filosofia, ma di una filosofia particolare. Quella che elabora il pensiero come se fosse cibo, lo prepara, lo cucina, lo serve da mangiare. E' un libro sull'analogia tra il nutrimento della mente e il nutrimento del corpo. Filosofare e cucinare, attività antichissime entrambe, sono rimaste sovente estranee l'una all'altra anche per la differenza di genere tra coloro che le svolgono: ambito per eccellenza femminile la cucina, territorio squisitamente maschile la filosofia.