Questo libro fortemente organico, che segna la piena, raggiunta maturità di un poeta, si impone per l'identità forte della sua struttura e per le articolazioni di una narrazione lirica condotta attorno all'emblematica figura di un protagonista, volutamente anche troppo umano, pur cangiante nel suo apparire, e proposto con il nome di Caino. Un nome che rivela la forte nostalgia di un paradiso perduto, nell'apparizione dei «molti colori del male» che segnano il nostro essere nel mondo, dunque nella storia e nei luoghi, nelle diverse generazioni e civiltà e nella memoria. Alessandro Rivali compie in questi suoi versi un viaggio apertissimo e inquieto, e ne dà un resoconto d'impronta lirica, ma che spesso si avvicina, anche per i toni, a un vero e proprio disegno epico. Eccoci allora, per non citare che qualche episodio, dai Sumeri e Gilgamesh ai congelati del Don nel '42, con esempi di violenza e guerra, ma non di meno con il manifestarsi delle opere di grandi artisti come Leonardo Bistolfi, Arturo Martini, Marc Chagall o Miró, ma anche di Ezra Pound, orrendamente ingabbiato nel '45, eppure capace di splendidi versi dei "Cantos". Tra i molti luoghi in cui il viaggio poetico si svolge, domina peraltro Genova, città natale dell'autore, con il popolo di morti del cimitero di Staglieno. Ma il dolore non esclude affatto l'amore, la ricerca di un volto paterno totale, il riparo della tenerezza, così come l'aprirsi in momenti nei quali si manifesta improvviso un realismo dai vivi contorni marcati. Alessandro Rivali realizza una poesia nella quale si impone la potenza delle immagini guidate dal pensiero, nella continuità di una insolita e densissima energia espressiva, che nelle terzine del testo finale, dedicato al commovente monumento funebre di Margherita di Brabante di Giovanni Pisano, trova un sensibilissimo, delicato compimento esemplare.
Alessandro Rivali, poco più che trentenne, è già un poeta inconfondibile, importante. Intatta da ogni cedimento minimalista, o sentimentale, coraggiosa e imprudente, la sua poesia visionaria e sontuosa si staglia con la forza divampante del fuoco eracliteo: le sue visioni di Bisanzio, delle civiltà che sorgono e vengono mutate dal tempo in polvere, la ruota del destino contro cui stoicamente l’uomo combatte propongono una poesia epica, bronzea, dai bagliori poundiani, che pare attingere a certe grandi (e poco o nulla seguite) esperienze poetiche del Novecento, come quella dell’americano Hart Crane (inizio secolo) e del serbo Ivan Lalic (seconda metà del secolo). La poesia nel nodo agonico, amletico tra essere e non essere, lampeggiante di visioni e oscurata da presagi. Originario e presente il conflitto tra luce e buio, tra divenire e sospensione del tempo, appare in turbinose scene di lotta dell’uomo tra destino e divenire, travolto da un’energia spirituale spesso inafferrabile, o non percepita, o fraintesa, come un fuoco fuggente. Attingendo alle fonti della tradizione occidentale Rivali riscopre la storia (Historia), genere letterario e filosofico inventato in Occidente, come pelle, immagine del mito, come la stoffa di cui il mito è tessuto e da cui è tramato per assumere forma visibile. Ispirato dai tragici greci e dal cinema di Kurosawa, antico nella posizione morale ma mai anacronistico, il suo libro riporta nella poesia lirica il brivido dell’avventura e la tormentosa domanda sul destino del mondo, in una perenne ricerca di una luce ulteriore presente ma spesso, nel tempo terreno, inattingibile o offuscata dal turbine degli eventi.
(Roberto Mussapi)
Un'appassionata meditazione sulla storia: può così definirsi "La Riviera del sangue", libro d'esordio di Alessandro Rivali, che dalle suggestioni del secondo conflitto mondiale si sviluppa fino alle inquietudini contemporanee, in particolare approfondendo il tema assoluto della guerra. Nelle pagine dell'autore rivivono le opere e i giorni degli uomini alla luce frontale di un destino individuale e collettivo, consapevole che gesta e pensieri echeggeranno nell'eternità. Nel percorso ossessionato dalla memoria Rivali torna a visitare il fluire del tempo, in cui non vede vuoti o il succedersi di eventi privi di senso, ma l'insieme degli anelli che ci chiamano dall'abisso alla superficie.