Il biennio 146-145 a.C. costituisce uno spartiacque in genere non considerato della storia del mondo mediterraneo: in quegli anni Roma si impadronì di fatto di tutto il Mediterraneo, distruggendo Cartagine, sottomettendo la Grecia e riducendo Egitto e Siria a stati fantoccio alle sue dipendenze. L'espansione del potere di Roma si accompagnò a un grave regresso culturale, finora largamente ignorato, che viene qui illustrato nei suoi vari aspetti: il crollo della scienza, la fine delle ricerche filosofiche e linguistiche, la profonda trasformazione della tecnologia, che recise ogni legame con la scienza e la cultura scritta, e la drastica riduzione delle conoscenze geografiche. Il volume mostra come quel tracollo e l'oblio che lo ha avvolto abbiano fortemente condizionato tutta la successiva cultura occidentale fino a oggi.
Ci sono giunte diverse opere di Archimede, ma solo pochi specialisti le leggono. Alcuni suoi risultati, come il calcolo del volume della sfera o il famoso principio di idrostatica, sono insegnati a scuola, ma senza accennare al modo in cui Archimede li aveva ottenuti. Il pensiero del principale esponente della scienza ellenistica continua così a essere ignorato anche da classicisti e scienziati, mentre la sua fama presso il pubblico è affidata solo al ricordo di alcuni aneddoti leggendari. L'analisi critica degli episodi trasmessi dalla tradizione è qui accompagnata dall'esposizione di una parte consistente dei risultati di Archimede, sufficiente per vedere all'opera il suo metodo scientifico, mostrandone la potenza e l'eleganza. La sua scienza era profondamente unitaria: non conosceva l'attuale distinzione tra matematica e fisica, univa strettamente il rigore dei ragionamenti all'intuizione visiva e permetteva a un singolo scienziato di controllarne tutti gli aspetti, dalla scelta dei postulati alle applicazioni tecnologiche. Il suo studio ha un grande interesse epistemologico e didattico e può dare un significativo contributo alla ricostruzione dell'unità della cultura.