«Non siamo mai stati così liberi come sotto l'occupazione tedesca. Avevamo perduto ogni diritto e prima di tutto quello di parlare; ci insultavano apertamente, ogni giorno, e dovevamo tacere; ci deportavano in massa, come lavoratori, come ebrei, come prigionieri politici; ovunque - sui muri, sui giornali, sugli schermi - ritrovavamo l'immagine immonda e insulsa che i nostri oppressori volevano darci di noi stessi: ma proprio per questo eravamo liberi. Il veleno nazista si insinuava nel profondo dei nostri pensieri e quindi ogni pensiero giusto era una conquista; una polizia onnipotente cercava di costringerci al silenzio e quindi ogni parola diventava preziosa come una dichiarazione di principio; eravamo braccati e quindi in ogni nostro gesto gravava il peso dell'impegno. Le circostanze spesso atroci della nostra lotta ci rendevano finalmente in grado di vivere, senza trucchi e senza veli, questa situazione straziante, insostenibile che chiamiamo la condizione umana».
La nuova edizione del Bariona, prima opera teatrale di Sartre scritta nel 1940, è oggi arricchita di numerose pagine recentemente ritrovate negli Archivi-Sartre di Parigi, che mettono in luce aspetti diversi rispetto alla prima edizione pubblicata nel 2003 nella nostra "Collana Sartriana". Compare in questa nuova edizione il titolo originario che Sartre aveva dato al suo lavoro: Bariona o il gioco del dolore e della speranza (al posto di Bariona o il figlio del tuono) più rispondente a quella dialettica tra opposti che Sartre stava sviluppando in quegli anni. Il testo è ricco di spunti poetici, ma sembra delineare una diversa rappresentazione di Maria, colta come impenetrabile e cupa, proprio - dice Sartre - come una foresta di notte. È insolito immaginare la Madonna dell'Annunciazione presa da un momento di umana paura e persino di cupo smarrimento, Lei che è sempre stata rappresentata come generatrice di luce. Originali interpretazioni figurano in questa nuova edizione che non possono non suscitare la curiosità del lettore.
Muovendo da un'analisi del senso della storia e dell'ambivalenza di cui sono portatrici le azioni umane, Sartre ricerca le origini della violenza e dell'oppressione come momenti strutturali della storia, descrivendo - nel corso di questo studio ontologico, antropologico e fenomenologico - una serie di "figure" della libertà e dell'oppressione che richiamano l'andamento della fenomenologia dello spirito hegeliana. L'analisi, complessa e ricchissima, porta il lettore alle soglie di una "conversione morale", il cui compito sarebbe quello di superare l'inferno delle relazioni interpersonali descritto ne "L'essere e il nulla", la figura della "generosità" rappresenta un nuovo, fragile paradigma di relazione umana e azione storica.
Chi è Jean Genet? Lungo, ma tutt'altro che monotono, il rosario che lo descrive: bambino innocente ma bastardo, ladro e scassinatore, soldato, frocio, battona, guitto, vagabondo e accattone, mendicante e spacciatore di monete false, omicida, carcerato. Jean Genet, il pansessuale e panmorale, l'indecente peccatore, il blasfemo, il sacrilego, il traditore, Caino. Santo Genet, commediante e martire. L'enigma che esige una soluzione. Genet esce di scena, entra Jean-Paul Sartre, che spiega: la radicale rinuncia a sé per giungere all'intuizione dell'universale è da chiamare Santità. Chi si odia fino all'autodistruzione, chi annienta la propria umanità assurge al sacro, raggiunge l'eternità. Genet ha desiderio non di vivere, ma di morire la propria vita: la vuole perduta, vuole essere la canaglia più furba per meritare il nome di Santo. Ottenere l'ascesi attraverso la discesa, questo il suo metodo per acquistare la libertà dell'essere dal nulla. Ma un simile lavoro di distillazione deve sfociare nella parola: dall'etica del Male Genet approda all'estetismo nero e, fattosi artista, si disegna, si crea leggenda. Tutto, nel suo canto, è furto, perversione, mistificazione. Falsi romanzi scritti in falsa prosa, con un verbo rubato, truccato, estorto: un'infedele autobiografia più vera della biografia. Sartre si appropria dell'automitologia generata da Genet e fonda la critica letteraria esistenzialista - nella più piena accezione del termine. Perché il caso limite Genet è per Sartre paradigma della condizione di ogni uomo. Con una nuova prefazione di Francesco M. Cataluccio, il Saggiatore ripropone "Santo Genet. Commediante e martire": un intenso ritratto psicologico; un capolavoro di critica letteraria; una delle creazioni più intime e ispirate di Sartre, anello di congiunzione dialettica tra tutti i grandi temi della sua filosofia e preludio agli sviluppi successivi. Soprattutto, l'opera in cui il genio di Jean-Paul Sartre incontra il genio di Jean Genet, e i due antieroi più trasgressivi e controversi del canone letterario novecentesco mettono in scena la guerra tra l'essere e il nulla trasposta in parole.
In contrasto con la lunga tradizione speculativa della filosofia occidentale, Jean-Paul Sartre - narratore, drammaturgo e pensatore fra i più influenti del Novecento - rifiuta ogni conclusione positiva e edificante per interrogare la frattura dolorosa, l'incrinatura impalpabile che separa la coscienza dalla realtà oggettiva. Ne risulta un conflitto inesausto tra il destino dell'uomo di autotrascendersi e la sua impossibilità di raggiungere una dimensione di pienezza. L'uomo di Sartre, "un Dio mancato", è allora sempre tentato dalla prospettiva elusiva della totalità e di una vita in pieno accordo con il mondo che lo circonda, cui è chiamato a dare senso e significato. Comparso per la prima volta nel 1943 e tuttora considerato un caposaldo della filosofia contemporanea, L'essere e il nulla - nella storica traduzione di Giuseppe Del Bo - non è solo il manifesto dell'esistenzialismo francese e il testo teorico di Sartre di maggior respiro, ma un'opera imprescindibile per chiunque voglia avvicinarsi al pensiero di un grande maestro, e scoprire la forza, e l'angoscia, del nostro dono più grande: la libertà.
"Le mosche" e "Porta chiusa" sono tra i testi più significativi del teatro esistenzialista, due sguardi sull'abisso, due drammi che affrontano alcuni dei temi più cari a Sartre: la libertà, il valore delle scelte, il rapporto con gli altri e il senso dell'esistenza. "Le mosche" (1943), singolare rifacimento delle "Coefore" di Eschilo, ha per protagonista Oreste, il giustiziere matricida che prende su di sé, con atto di personale responsabilità, il rimorso di Egisto e dell'intera città di Argo per l'assassinio di Agamennone. Compiuta la vendetta, Oreste tornerà alla sua solitudine e con lui si allontaneranno anche le mosche, simbolica materializzazione del rimorso collettivo. "Porta chiusa" (1944) è quasi un manifesto dell'impossibilità del rapporto interpersonale: "l'enfer c'est les autres", l'inferno sono gli altri, scrive Sartre. La porta attraverso la quale vengono introdotti i tre ospiti-prigionieri in realtà non è affatto chiusa, ma la vera prigionia è sancita dal cerchio infernale dei rapporti, dall'impossibilità di comunicare nonostante la necessità vitale della convivenza.
Pensare l’arte come museo immaginario delle opere più amate e frequentate da Jean-Paul Sartre: dagli americani Hare e Calder, agli artisti da lui scoperti, come Wols, fino a Giacometti, Masson, Lapoujade e Rebeyrolle, ai quali era legato da profonda amicizia. Testimoni di questi rapporti restano i saggi raccolti nel presente volume, che offrono materiale indispensabile per ripercorrere le riflessioni di Sartre sull’arte figurativa, dai Mobiles di Calder, 1946, fino ai quadri di Rebeyrolle, 1970; essi inoltre sono rivelatori della sua familiarità con le opere dei maggiori esponenti delle avanguardie artistiche: Picasso, Breton e il Surrealismo, senza dimenticare Klee e Van Gogh.
Un percorso entusiasmante attorno agli avvenimenti che animano l’arte moderna. Sartre intuisce, senza indugi, la direzione in cui si sta verificando un proficuo rinnovamento artistico, significativo sia dei suoi interessi estetici, sia della stagione culturale che il filosofo sta vivendo da acuto testimone del suo tempo. Attivamente presente e partecipe al dibattito sulle arti figurative – surrealismo, realismo, astrattismo – Sartre ne promuove le poetiche sulla rivista Les Temps Modernes.
Come suggerisce Michel Sicard, nell’introduzione, il costante riferimento a temi quali spazio, tempo e movimento, bellezza o modernità, rivelano le coordinate di un’estetica, mai scritta da Sartre. Questo volume raccoglie per la prima volta, tutti insieme e in versione integrale, i lavori di Sartre sull’arte contemporanea, mai pubblicati così finora neanche in Francia. Ed è questo il grande merito del libro.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Tra le sue maggiori opere ricordiamo, per la filosofia, L’essere e il nulla e la Critica della ragione dialettica e per la narrativa, fra tante, La nausea. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
La Christian Marinotti Edizioni si fa promotrice di una nuova iniziativa di grande interesse per gli studiosi e per gli appassionati lettori di Jean-Paul Sartre. Si tratta della pubblicazione dei testi letterari giovanili del noto filosofo francese, elaborati negli anni 1922-1927, e per la prima volta tradotti in italiano. Romanzi, novelle, un quaderno di pensieri e citazioni, scritti ironici ed autoderisori, offrono un ritratto di Sartre poco noto, ma di estremo interesse per comprendere il suo percorso intellettuale davvero singolare, ove il pensiero si intreccia con i ricordi biografici e la storia di una vita. Vi si annuncia un programma che Sartre inizia a delineare, ma che solo le opere della maturità consentono di svelare. La lettura di questi scritti offre l'occasione di ripercorrere nel suo divenire tutto l'itinerario della sua vasta produzione, itinerario complesso e, per molti versi, ancora inesplorato.
"La liberté cartésienne" di Jean-Paul Sartre è uno scritto emblematico nella storia della filosofia del Novecento. Pubblicato nel 1946, subito dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, ripropone il problema del libero arbitrio a ridosso di un momento storico in cui la libertà era stata soffocata in gran parte d'Europa. Il saggio apparve nella collana "I classici della libertà", fondata da un importante studioso dello "spirito borghese", Bernard Groethuysen. Secondo il modello editoriale, cui partecipò anche lo storico Lucien Febvre, il saggio introduceva a un autore che documentava con i suoi scritti la continuità e la trasformazione dell'ideale "classico" di libertà nella storia della coscienza europea. La nozione di libertà che Sartre delinea trae origine dal recupero del concetto di libertà, così come pensata da Cartesio, caratterizzata dalla possibilità e dall'autonomia della scelta. Al di là dei confini confessionali, il libero arbitrio è proposto come un valore "transtorico", "secolarizzato", oggi si direbbe dell'uomo multiculturale. Sartre considera Cartesio come il filosofo che in un'epoca "autoritaria" pensa la libertà dei moderni. A lui fa risalire con la dottrina del cogito, la dottrina della democrazia. Questo testo sartriano, inedito in Italia, viene qui presentato insieme con i brani di Cartesio ai quali Sartre fa riferimento. L'edizione offre così una lettura comparata e quasi un dialogo tra due maestri del pensiero occidentale.
Concepito assieme a "L'immaginazione", l'altro saggio dedicato all'immagine, costituisce una pietra miliare nel panorama della fenomenologia del xx secolo e, più estesamente, delle teorie contemporanee dell'immaginario. Sulla scorta delle indagini degli anni universitari e degli approfondimenti della fenomenologia compiuti durante un soggiorno a Berlino, Sartre riprende autonomamente i cardini del pensiero di Husserl e imbocca un cammino che lo porta a una nuova definizione della coscienza nei suoi rapporti con l'immagine. La tesi radicale di questo saggio denso e meditato è quella dell'incommensurabilità di percezione e immaginazione, nodo teorico che permette a Sartre di ridefinire la natura della coscienza immaginativa e dell'immagine quale oggetto irreale. Andando oltre Husserl, Sartre conferisce così alla coscienza immaginativa uno statuto nuovo e più originario rispetto alla percezione. Questo gesto filosofico è gravido di conseguenze: da una parte viene aperta la strada a una considerazione della vita immaginaria fin nelle sue molteplici manifestazioni (dal sogno all'opera d'arte), attraverso il territorio oscuro dei rapporti tra l'immagine e il pensiero; dall'altra vengono poste le basi di una teoria della libertà dell'immaginario e di un'estetica sui generis che si realizzeranno compiutamente negli scritti filosofici e letterari caratterizzanti, nel secondo dopoguerra, la grande stagione dell'esistenzialismo francese.