Scritti probabilmente in una fase della sua vita in cui era ormai lontano dalla politica (62 d.C.), i sette libri del dialogo De beneficiis studiano il rapporto tra il dare e il ricevere e definiscono in base a tale scambio il fondamento di ciò che regola le relazioni degli uomini organizzati in società. Quel che muove a beneficiare gli altri con il nostro dono è riportato a quella ragione che regola tanto le intenzioni e la volontà degli uomini quanto gli stessi avvenimenti naturali. Ma questo testo rappresenta non solo una sofisticata riflessione sulle motivazioni del donare. Attorno all'idea del dono Seneca restituisce tutto intero il sistema dei rapporti etici e politici di una società - quella imperiale - che egli ha tentato di rifondare da precettore e ministro di Nerone, e che in quest'opera descrive nei dettagli, conservandone i tratti fondamentali per la posterità.
«Nella dottrina di Senaca "il problema morale è un 'problema di forza': costituire una forza intima e personale contro le forze naturali e sociali che ci premono e ci urtano da ogni parte e munire l'anima propria come una fortezza in cui si racchiuda la nostra vita e da cui muova il nostro amore per la vita degli altri".» (Dall'introduzione di Concetto Marchesi)
Scritto a partire dal momento del ritiro di Seneca dalla politica nel 62 d.C., il lungo dialogo De beneficiis in sette libri è un trattato sul rapporto tra il dare e il ricevere e, contestualmente, sul ‘criterio’ che deve regolare il comportamento e le relazioni tra gli uomini organizzati in società. Seneca lo individua nella voluntas o animus dandi beneficia, ossia nella ‘volontà’ o ‘intenzione’ di beneficare i propri simili. In questo concetto del dare beneficia dove la ‘volontà’ sostanzia e dirige la conoscenza, il filosofo vede il motore di una società, quella imperiale, che egli ha voluto rifondare sul piano etico e politico quand’era precettore e poi ministro di Nerone, e di cui ora intende tramandare, quasi si trattasse di un suo personale beneficio alla posterità, i principi ispiratori.
La traduzione italiana e la cura sono di Martino Menghi su testo critico messo a punto da François Préchac per la “Coll. Budé” (Les Belles Lettres, Paris 2003).