«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari)
Sin dal suo inizio storico la filosofia è stata la volontà di incarnare il sapere assolutamente innegabile. Ma come è possibile «la stabile conoscenza della verità», si chiede Emanuele Severino, «in un clima come quello del nostro tempo, dove non solo la scienza, ma la filosofia stessa ha quasi ovunque voltato le spalle a ciò che essa ritiene il "sogno" di un sapere siffatto». In realtà, già nel modo in cui la «scienza della verità» compie i primi passi è presente l'errare più radicale in cui l'uomo possa trovarsi, quello che per Severino è la Follia estrema: «la fede nella quale si crede che le cose diventano altro da ciò che esse sono ... affermando che l'evidenza suprema è che le cose escono dal nulla (dal loro non essere) e vi ritornano». Tutta l'opera di Severino, sin dal suo primo libro ("La struttura originaria", 1958), è volta dichiaratamente allo «smascheramento della Follia di questa fede», per «consentire al linguaggio di testimoniare l'assoluta innegabilità del destino della verità». E in queste pagine l'intero percorso viene ripresentato nell'insieme dei suoi tratti fondativi, con l'approfondimento di alcuni temi centrali quali l'interpretazione, il rapporto tra destino e scienza, l'essenza linguistica del sapere originario, il senso ultimo dell'esser uomo e la storia infinita dell'uomo, il senso della salvezza. Un percorso, dunque, attraverso l'intero 'terreno' di Severino, da cui il lettore potrà spaziare con lo sguardo: «Non basta possedere un campo: bisogna coltivarlo. Il campo di cui qui si tratta è l'insieme dei 'miei scritti'. Un linguaggio, dunque. E anche questo libro intende indicare l'autentica "pianura della verità"».
Gli scritti di Severino indicano un senso della "storia" profondamente diverso da quello presente nelle varie forme di cultura: nel suo significato più radicale la storia è l'infinito e sempre più ampio apparire degli eterni in ognuno dei "cerchi dell'apparire del destino della verità". Ogni cerchio è l'essenza di ciò che chiamiamo "un uomo". Gli eterni, quindi, non sono res gestae. Che esistano res gestae - cose che son fatte esistere e che escono poi dall'esistenza - è la "follia estrema". Solo gli eterni hanno Storia, solo essi possono "morire" e rimanere eterni: la loro Storia prosegue all'infinito anche dopo la loro morte. La totalità infinita degli eterni è la Gioia, la Pianura che dà spazio all'infinito, e sempre più ampio, apparire degli eterni nella "costellazione" dei cerchi.
La parola dike, comunemente tradotta con "giustizia", nasce in un contesto religioso e poi giuridico, ma ha in realtà un significato più profondo, che compare per la prima volta nella più antica testimonianza del pensiero filosofico: il frammento di Anassimandro. Si può dire che l'avvento della filosofia coincida con l'avvento di tale significato - quello che Aristotele chiama "il principio più stabile". Dike designa l'incondizionata stabilità del sapere. E richiede la stabilità incondizionata dell'essere. Riguarda tutto ciò che l'uomo può pensare e può fare. In rapporto con essa si svolge l'intera storia dell'Occidente. Se nel "Giogo" Severino aveva puntato l'attenzione sulla conseguenza decisiva per l'uomo della tradizione occidentale, resa esplicita da Eschilo, ovvero che l'incondizionata stabilità del sapere e dell'essere è il "vero" rimedio contro il dolore e la morte, e sul rapporto tra Eschilo e Anassimandro, in questa sua nuova opera si volge invece verso le radici di quel significato. Soprattutto perché dike e l'Occidente, che ne è dominato, sfigurano il volto della stabilità autentica: il volto del destino della verità. Affrontando il rapporto tra il puro volto del destino e il suo volto sfigurato da dike, questo libro compie alcuni passi avanti rispetto agli scritti precedenti, da cui pure trae origine.
Il significato radicale che il "nulla" ha assunto nella riflessione filosofica occidentale accompagna come un'ombra non solo questa forma di pensiero, ma l'intero tragitto della nostra civiltà. Radice prima dell'angoscia, il nulla turba anche e soprattutto per il suo carattere sommamente ambiguo: già Platone, infatti, si accorge che pensare il nulla e parlare del nulla significa pensare qualcosa e parlare di qualcosa - come se il nemico che si ha di fronte si sdoppiasse, ingannandoci sulla sua identità. Questa nozione spaesante, che esige di essere interpretata alla luce delle forme più rigorose della speculazione, è stata affrontata da Severino a partire da "La Struttura originaria" (1958) e fino a "La morte e la terra" (2011): a queste due opere, e alla seconda in particolare, si ricollega "Intorno al senso del nulla", dove da un lato si mostra come l'ambiguità sia ben più profonda di quanto possa sembrare e dall'altro si indagano "le condizioni che rendono possibile la via d'uscita". Approfondimento quanto mai necessario, giacché se si rinunciasse a discutere le aporie suscitate dal senso del nulla resterebbe in sospeso la stessa tesi di fondo del pensiero di Severino: che l'uomo e ogni altro ente "sono da sempre salvi dal nulla".
Per quanto grandi siano le speranze e le supposizioni umane," scrive Severino sulla soglia di questo suo nuovo libro "esse si accontentano di poco, rispetto a ciò da cui l'uomo è atteso dopo la morte e a cui è necessario che egli pervenga". Nel proseguire, con ammirevole rigore speculativo, quel temerario percorso filosofico che da "Destino della necessità", attraverso "La Gloria", è approdato a "Oltrepassare", Severino procede qui "risolvendo un problema decisivo, lasciato ancora aperto": se "la terra isolata dal destino è oltrepassata dalla terra che salva e dalla Gloria", nondimeno su "'questa nostra vita' - si potrebbe dire - incombe la morte, e continuamente vi irrompe". Sorge quindi un interrogativo ineludibile: "L'attesa della terra che salva continua anche dopo la morte (e che cosa appare in questo prolungarsi dell'attesa? sonno, sogni, incubi?), oppure con la morte ha compimento anche l'attesa?". Nell'architettura del grandioso edificio teoretico che il filosofo è andato solitariamente costruendo nel corso degli anni, "La morte e la terra" appare dunque un vertice dal quale lo sguardo si spinge oltre ogni confine, giacché Severino non teme di consegnare risposte definitive: "Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi all'Immenso della terra che salva della Gioia".
La formula vuota e ipocrita che denuncia l’attuale «crisi della politica» nasconde, in realtà, una crisi molto più profonda e inquietante, che accomuna non solo «tutte le forze della tradizione occidentale», ma esse stesse alla loro distruzione, compiuta dalla modernità: un’«“intima mano”, assolutamente più intima (e terribile) di quanto possa supporre Herder, quando, volgendosi al “santo Cristo” e al “santo Spi no za”, si chiede: “Quale intima mano congiunge i due in uno?”». Nel suo nuovo libro, Ema nuele Se verino mette a fuoco questo grande occultamento, accompagnandoci nel «sottosuo lo essenziale» del pensiero filosofico del nostro tempo. Severino ci mostra anzitutto la conflittualità e insieme la specularità di tali forze: l’incerta «identità europea», improntata dal duumvirato Usa-Urss, ovvero il più potente «monopolio legittimo della violenza» dell’ultimo secolo; il marxismo defunto e un capitalismo incapace di offrire alternative all’incremento del profitto privato quale «scopo supremo» della società; il cristianesimo e l’Islam come opposti dogmatici accomunati da una rigida connotazione antimoderna; lo Stato e la Chiesa, distinti sulla base di un Concordato «ambiguo» che lede le ragioni di entrambi. Al tempo stesso Severino rileva come tutte quelle forze convergano nell’asservimen to a una «tecnica» modellata dal «sapere ipotetico» della scienza e fondata sul solo «valore della potenza», e dunque sintesi e strema dell’«errore» dell’Occidente: l’«a gire» come un carattere separato dall’es sere, e il percorso dell’uomo come un procedere «tra nulla e nulla». Fitto di spiazzanti provocazioni intellettuali (sull’ancipite idea di Provvidenza, e stesa dal cattolicesimo ai totalitarismi; sulla contiguità tra vecchia e nuova Guer ra Fredda; sulla teologia di Benedetto XVI), L’intima mano è così uno sguardo «a volo d’aquila» sugli snodi essenziali della contemporaneità e un invito a inquadrarli al di là, e al di fuori, della loro ingannevole contingenza.
In questo libro - analisi del movimento, segreto e palese, che governa il nostro tempo - Emanuele Severino mette il suo pensiero alla prova dei fatti che ci circondano. Fatti enormi, secondo la convinzione di tutti, mutamenti epocali. Ma in quale direzione? Che cosa significa, per esempio, la decadenza dell'Europa? Non va forse insieme, questo fenomeno, al diventare planetario del dominio della tecnica, che è il frutto specifico del pensiero europeo? E qual è il rapporto della tecnica con la scienza? Che cosa significa la preoccupazione, oggi sempre più insistente, di porre limiti alla ricerca? E si può parlare di un'etica della scienza? Sono questi solo alcuni dei temi che vengono affrontati da Severino. Temi gravissimi, ma troppo spesso abbandonati agli opinionisti dei quotidiani, i quali offrono, appunto, opinioni. Qui invece questi temi trovano il loro luogo strategico all'interno di una costruzione speculativa rigorosa.
L'angoscia più profonda dell'uomo, che da sempre lo accompagna, è che la morte uccida ogni possibilità di salvezza. Tuttavia Emanuele Severino ha mostrato, nella "Gloria", come la salvezza dalla morte sia una necessità, non una semplice possibilità: "L'uomo è atteso dalla terra che salva". Ma nella "cadenza primaria" di "Oltrepassare", che della "Gloria" è al tempo stesso "rischiaramento" e sviluppo, appare come in realtà "la terra che salva sia 'infinitamente' più ampia, cioè più salvatrice" di quanto lo scritto precedente lasciava intendere, e come il senso autentico del divenire "mostri una complessità che nella "Gloria" non viene ancora indicata". Severino ha dedicato molti scritti a una rigorosa messa in atto del principio aristotelico di non contraddizione. E proprio in quanto mostrava le aporie su cui si reggevano celebri edifici della metafisica il suo pensiero suscitava un provocatorio interrogativo: che cosa si apre al di là della contraddizione?
Il principio di non contraddizione, che Aristotrele chiamò il "principio più saldo di tutti", è da sempre considerato il fondamento stesso del pensiero. Un passaggio obbligato che si presenta tuttavia come un'ardua strettoia, giacché se per Aristotele a quel primo principio è connessa "la necessità che sia sempre compiuto l'opposto dell'errore, cioè l'essere nella verità", anche l'essere nell'errore richiede un fondamento. Già Platone si sentiva infatti "turbato" di fronte all'interrogazione su come sia possibile l'esistenza, in quanto tale, dell' 'opinione falsa' - di quell'errore di cui la contraddizione è l'essenza stessa. Il volume presenta un saggio inedito composto tra il 2003 e il 2004, accanto a testi apparsi tra il 1955 e il 1963.